In Germania sembrava finita lì, e invece, purtroppo, ancora no. Dopo i preoccupanti fatti di Colonia a Capodanno (http://www.vitanuovatrieste.it/ancora-su-colonia-e-lattualita/) nuovi episodi di violenza di gruppo sulle donne locali sono infatti accaduti la scorsa settimana a Berlino, nel corso del Carnevale delle culture, una festa itinerante di tre giorni in cui nelle principali strade cittadine, con musiche, canti e balli, si promuove la dimensione multiculturale della metropoli mitteleuropea. Finora sono già nove le donne tedesche (di varia età) che hanno sporto denuncia alla Polizia per molestie sessuali, ma il numero, secondo gli inquirenti berlinesi, è in incremento. Simili, da quello che è emerso, anche le modalità e i protagonisti dell’aggressione: le vittime sarebbero state tutte inseguite da gruppi composti di più uomini, accerchiate e quindi spintonate e abusate. Il profilo degli aggressori indica finora una prevalenza di uomini di provenienza turca e – come qualcuno ha fatto rilevare – è già questo un segnale importante da parte delle autorità (a Colonia, come si ricorderà, queste ultime preferirono invece non dichiarare la nazionalità degli aggressori – definiti solo genericamente come ‘maghrebini’ – per evitare d’incitare alla xenofobia, o almeno così in molti pensarono). Certo è che il fenomeno sta diventando sempre più inquietante e, a suo modo, ci pare, dica anche qualcosa di specifico riguardo all’innegabile conflitto interculturale che sta avendo luogo in questi mesi nel Paese più importante d’Europa. Come molti altri Paesi, in effetti, la Germania negli ultimi anni – soprattutto all’indomani della riunificazione – ha praticato una politica di inclusione verso gli immigrati che più inclusiva non potrebbe essere. Con il fantasma spaventoso del Nazionalsocialismo sempre vivo alle spalle e nella memoria collettiva a distruggerne l’immagine, la classe dirigente di Berlino ha praticamente fatto l’impossibile per fare della cultura tedesca una cultura orgogliosamente cosmopolita, dalla appassionata accoglienza del diverso, soprattutto se straniero ed extracomunitario. Anche se ultimamente sta riemergendo, l’estremismo di qualsiasi tipo – culturale quanto politico – è stato così sostanzialmente estromesso dalla scena pubblica, grazie a Dio, ma con riflessi concreti su scala ben visibili nella composizione della popolazione stessa (si pensi solo alla presenza stabile sul territorio proprio della comunità turca, ormai a quota due milioni, senza contare quelli in transito). E in molte grandi città, come Berlino, i quartieri non solo vagamente multietnici ma persino copiosamente interreligiosi sono una realtà compiuta. Poi però accadono episodi del genere e la gente sconvolta e amareggiata si chiede: ma dove abbiamo sbagliato?
La risposta, probabilmente, va cercata nella domanda stessa. Nel senso che è la domanda ad essere sbagliata. Nell’ottica della nostra comune educazione civica occidentale infatti una violenza, e specialmente una violenza così brutale, è sempre razionalmente argomentata: deve esserci una causa, e quindi un effetto, o almeno così siamo stati abituati a pensare, e mai verbo fu più equivoco. Abituati, per l’appunto. Ma l’abitudine, dice un proverbio, fa brutti scherzi. Il paradosso è che chi indossa questi abiti mentali di solito è un progressista sincero. Hai voglia a fargli osservare che anche il ‘progressismo’ è una categoria derivata dal nostro modo di pensare europeo e dunque occidentale. La verità è che in tantissime altre culture, e religioni, la cosa semplicemente non esiste. Così, per rispondere alla questione: non c’è uno sbaglio, semplicemente da che mondo è mondo in molti contesti non evangelizzati (non cristiani) se un uomo, o un branco di uomini, vuole una donna, questo se la prende. Letteralmente. Punto e basta. A maggior ragione nei contesti in cui la mentalità tribale ha trovato una sponda ideologica formidabile in un pensiero para-religioso che disprezza la dignità della donna negandogli tutte le facoltà dell’essere persona e inizia a realizzare il suo dominio di un territorio proprio – anche – da questo punto di vista. Come la terra in cui si fa la preghiera viene ‘spiritualmente’ marcata e, fosse pure davanti a una cattedrale mariana, diventa improvvisamente terra dei sedicenti militanti del profeta, così – specularmente – le donne che abitano la terra, chiunque siano, diventano donne libere materialmente a disposizione dei militanti stessi, dal momento che il territorio è loro. E, dal punto di vista tribale che sorregge questa logica tanto primitiva quanto folle c’è una certa coerenza, se si vuole. Ecco, visto da questa prospettiva si capisce bene come i discorsi retorici sul rispetto delle norme fondamentali della Costituzione tedesca che è il patto di cittadinanza dello Stato e le chiacchiere politicanti sulla lealtà verso la comunità civica che ti ospita sono tutte cose senza senso, o almeno con lo stesso senso che può avere parlare la lingua finlandese a un coreano. Non so se ci siamo capiti. Noi pensiamo che tutto il mondo ragioni come noi ma noi abbiamo avuto il Vangelo, poi la civilizzazione cristiana con la codificazione dei diritti umani sulla base della trascendente dignità della persona quale riflesso del dogma dell’Incarnazione del Verbo, la tradizione e l’etica permeate dall’amore biblico, la riflessione bi-millenaria sulla carità politica e il rapporto pubblico tra carità, misericordia (spirituale e corporale) e verità, poi lo sviluppo organico della Dottrina sociale della Chiesa, la bussola del Magistero e chi più ne ha più ne metta, ma in tante altre parti non è mai stato così, o perlomeno, di sicuro, non lo è più oggi, ammesso pure che lo sia stato un tempo lontano. Il punto è che fare questi discorsi è, ovviamente, politicamente scorrettissimo, costa consensi elettorali, comporta un serio impegno di responsabilità e, bene che vada, parte subito il linciaggio massmediatico: il problema, però, esiste eccome, drammaticamente e qualcuno – prima o poi – a Colonia, Berlino e altrove, dovrà decidersi ad affrontarlo. Magari, possibilmente, prima che sia troppo tardi.
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