Lunedì 15 settembre Francesco Agnoli è stato relatore al secondo Incontro con l’Autore organizzato dalla Cattedra di San Giusto e della Associazione della Repubblica. La conferenza è avvenuta nella sala “Piccola Fenice” in via san Francesco 5. È cospicua la pubblicistica dello scrittore cattolico Francesco Agnoli sulla questione del rapporto tra scienza e fede, come riferimento sostanziale nello sviluppo storico della nostra civiltà. Lo abbiamo contattato per alcuni chiarimenti preliminari sulla prossimità tra fede e ragione.
Il secolo XIII è noto per i lavori astronomici, geofisici o matematici di molti chierici (Roberto Grossatesta, Ruggero Bacone, Raimondo Lullo, Giovanni Buridano, ecc…). È possibile includere quest’epoca nel periodo di formazione della scienza in senso moderno, propria del tempo di Galilei e Newton (secoli XVI e XVII)?
Credo sia necessario usare il termine «nascita della scienza» in modo piuttosto esteso, nel senso che – tramite l’allegoria della gestazione materna – con Galileo Galilei il bambino ce lo abbiamo già in braccio. Ma prima che nasca il bambino devono passare nove mesi. Nel caso della scienza, la gestazione è stata molto lunga: non si può difatti immaginare che il pensiero scientifico possa sorgere all’improvviso, da una singola persona. In realtà un pensiero scientifico in embrione, ovvero un pensiero prescientifico, lo troviamo già nel mondo greco precristiano e poi, soprattutto, in epoca medievale. Durante il medioevo, accanto alla crescita demografica, alla nascita dei comuni, allo sviluppo dell’artigianato e alla fondazione dell’università, si viene a delineare la civiltà cristiana europea. La stessa università è un’affermazione di fiducia nella ragione umana. Tra i docenti vi sono ad esempio i francescani, il cui pensiero non può prescindere dalla Rivelazione e guarda alla natura come al luogo dove trovare le tracce di Dio.
C’è una consuetudine laicista moderna, che suole riferirsi alla Scienza (al singolare e con la maiuscola), da contrapporre alla religione, considerata come superstizione o fondamentalismo. Non sarebbe meglio, invece, distinguere tra scienza, come sinonimo di sapienza e scienze naturali, fisiche o matematiche?
Questa distinzione sarebbe piaciuta a Galileo e a tanti altri, perché nessuno dei grandi scienziati ha mai creduto che la scienza sperimentale – la scienza con la “s” minuscola – esaurisse la conoscenza. Nessuno di loro ha mai sottratto all’ambito scientifico discipline come la musica, l’arte, la letteratura o la teologia. Però essi comprendevano bene che, se anche le scienze sperimentali fossero state in grado di raggiungere un sapere certo, tuttavia questa forma di sapere sarebbe comunque rimasta ad un livello molto basso, senza dare una risposta ai “perché” fondamentali sul mondo, sull’uomo e su Dio. Il matematico Carl Friedrich Gauss diceva a questo proposito: «non cerco certo nella matematica, ma nel Vangelo la verità sull’uomo».
Nel suo libro “Scienziati in tonaca” (ed. La Fontana di Siloe, 2013), lei cita i padri Scolopi. Si può parlare, in riferimento agli Scolopi o ai Gesuiti, di una specifica vocazione scientifica, oltre che religiosa?
Molti Ordini religiosi, come appunto gli Scolopi e i Gesuiti, avevano una vocazione educativa. E, per questo, hanno sempre ritenuto che l’educazione passasse essenzialmente per due punti: la Bibbia e la natura. Pertanto, in una visione educativa, anche la natura è un libro. L’educare, insomma, non rappresentava solo una questione intellettualistica, ma era pure un mettersi a contatto con i modi in cui Dio ci parla: e la natura è uno di questi. È prassi della filosofia cristiana cominciare da considerazioni sulle creature. Essa non parte mai da un pensiero privato o da una qualche elucubrazione mentale.
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