A Vienna la seconda Conferenza sull’intolleranza anticristiana




A quattro anni dalla prima svoltasi a Roma nel 2011 l’OSCE (l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) ha tenuto nei giorni scorsi a Vienna, nei pressi della sua sede centrale, la seconda conferenza internazionale sull’intolleranza e la discriminazione contro i cristiani. Alla presenza di varie delegazioni in rappresentanza dei 57 Stati aderenti all’organizzazione – tuttora la più grande al mondo sui temi della sicurezza interregionale – nonché di altre ONG sensibili al tema dei diritti umani e di una rappresentanza della Santa Sede, si sono affrontati gli episodi più recenti relativi ai cosiddetti hate crimes che hanno visto come vittime singole persone o gruppi di fede cristiana i quali sono stati presi di mira proprio in ragione della loro appartenenza religiosa. Come era già da tempo noto agli addetti ai lavori, il quadro della libertà religiosa a livello internazionale è in deciso peggioramento e a farne le spese sono in primis i cristiani che stando ai numeri registrati emergono obiettivamente come il gruppo religioso più discriminato e perseguitato a livello globale. Le regioni più delicate in assoluto appaiono ad oggi quelle dell’Asia Orientale (dalla Corea del Nord al Vietnam) e del Maghreb sul Mediterraneo ma la situazione non è confortante nemmeno all’interno della stessa area-OSCE. A tal proposito la delegazione della Santa Sede ha fatto presente anzi come “particolarmente preoccupante è il fatto che in tutta la regione dell’OSCE una linea di separazione netta è stata tracciata tra fede religiosa e la pratica religiosa, in modo che ai cristiani viene spesso ricordato nel discorso pubblico o anche nei tribunali, che possono credere ciò che vogliono in privato, e celebrare il loro culto come vogliono nelle loro chiese, ma semplicemente non possono agire a partire da quelle credenze in pubblico”. Si arriva così, paradossalmente – o forse non troppo, a ben vedere – a sancire pubblicamente il primato della tolleranza intollerante, e non è un gioco di parole: “la tolleranza verso un punto di vista non dovrebbe portare all’intolleranza verso gli altri. L’intolleranza in nome della ‘tolleranza’ deve essere chiamata per quello che è, e condannata pubblicamente. Negare un posto nella sfera pubblica ad argomenti morali religiosamente informati è intollerante, anti-democratico e anti-religioso”. La nota della Santa Sede si conclude poi con l’auspicio che i crimini d’odio per motivazioni religiose siano affrontati e finalmente combattuti dagli Stati-membri dell’Organizzazione della cooperazione e che tutti i cittadini siano sempre trattati in modo eguale davanti alla legge. Posto che l’OSCE è altro dall’Unione Europea e non gode di particolari potestà legislative o normative che possano influenzare concretamente le politiche o il diritto interno dei singoli Stati, si è trattato comunque di un’iniziativa d’informazione e anche di orientamento culturale lodevole e sicuramente da salutare positivamente, auspicandone semmai una riproposizione a più breve termine nel prossimo futuro.

Sempre a Vienna ha sede poi anche l’Osservatorio sull’intolleranza e la discriminazione anticristiani diretto dalla professoressa Gudrun Kugler che pure nei giorni scorsi ha reso pubblico il suo Rapporto annuale che ha registrato circa 150 episodi nel solo anno 2014 d’intolleranza anticristiana in Europa (la versione on-line si può leggere integralmente  qui: www.intoleranceagainstchristians.eu/fileadmin/user_upload/reports/Report_2014_Release_May_4th_2015.pdf) sottolineando nell’occasione come se è vero che in Europa non siamo ancora ai livelli simil-genocidari raggiunti in altre parti del mondo dove la persecuzione sui credenti è fisica e condotta quotidianamente con le armi, tuttavia la panoramica sinteticamente presentata mostra come gli spazi di libertà di coscienza e della manifestazione della libera espressione (dalla scuola, all’università ai mezzi di comunicazione) si stiano ultimamente assottigliando sempre più anche in Occidente dando luogo a dei singolari capovolgimenti nell’interpretazione politica e giuridica dei fondamenti stessi degli Stati di diritto come li abbiamo conosciuti fino ad oggi. Eppure se guardiamo all’informazione ‘mainstream’, diciamo così per capirci, la rappresentazione del reale è abitualmente di segno opposto: che si tratti di un notiziario, di un programma di approfondimento o di un documentario scava scava, quale che sia l’argomento di cui si discute, alla fine la parte dei brutti e cattivi se ci fate caso la fanno quasi sempre (per non dire sempre) i cristiani. Ora, a nostro avviso bisognerebbe cominciare a riflettere proprio a partire da questo dato apparentemente marginale perché la storia bi-millenaria del Cristianesimo insegna invece che le grandi ondate di persecuzione sono state sempre precedute dal dileggio giornalistico e/o dalla diffusione a macchia d’olio di un clima culturale irridente e dichiaratamente antireligioso. Almeno finora, guardando al passato, è successo con una tendenza quasi costante, da non crederci. Beh, per una volta, speriamo decisamente di sbagliarci.

 

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