A spasso nel Mercatino francese




Che senso di nostalgia! Nostalgia di altri suoni, profumi, tempi e ritmi di vita. Passeggiando tra le bancherelle del Mercatino natalizio francese, allestito in piazza Sant’Antonio a partire da sabato 16 novembre fino al 2 dicembre, ci si sente trasportati in un altro tempo e in un altro spazio. Il tempo in cui la vita si svolgeva  tra le mura di piccole città o tra campagne e boschi, in mezzo a poche cose, essenziali e durevoli, con poco rumore intorno e tanto più silenzio. I giorni di Mercato erano una gioia per tutti: si aspettavano con trepidazione, non era cosa abituale vedere tante e belle cose raccolte tutte insieme: cibi, oggetti lavorati a mano, saltimbanchi e cantastorie, stoffe, spezie, almanacchi per tutti i gusti. Anche in piazza Sant’Antonio c’erano i saltimbanchi: il giullare mangia fuoco con la tipica berretta a sonagli e un misterioso personaggio coperto da un tappeto da cui sbucava una figura di legno che si inchinava e salutava con grazia i passanti. Impossibile non ricompensare con qualche moneta questi epigoni dell’arte popolare, del divertimento di strada semplice ma fantasioso che un tempo teneva viva l’immaginazione e sveglia la curiosità. Ormai siamo sazi di tutto, i cibi buoni possiamo mangiarli ogni giorno, in casa abbiamo quanto ci serve e anche di più, possediamo un vestito per ogni giorno dell’anno e per ogni occasione, per non parlare della stordita opulenza di storie, spettacoli e notizie di cui in ogni istante ci circondano i media. E tuttavia non siamo soddisfatti e al Mercatino ci rechiamo con lo stesso stato d’animo con cui andiamo al supermercato. La gente si affolla ai chioschi delle spezie, dei dolci, dei formaggi, degli indumenti e di tutti gli oggetti e i manufatti tipici della Francia – tovaglie, candele, saponi, lampade -, con la stessa fretta, prepotenza e maleducazione con cui gremisce i centri commerciali. La fiabesca originalità del nuovo è perduta: tanto possiamo trovare le stesse cose anche nei nostri negozi, tutto è a disposizione di tutti, quale curiosità e desiderio può nascere in un mondo in cui nulla è più remoto, sconosciuto e misterioso? Eppure io qui ritrovo un sapore che non avverto nella quotidianità, nel susseguirsi dei giorni comuni. Anche se intorno il chiasso è quello di sempre, l’idea stessa di un mercatino natalizio d’oltralpe mi evoca immagini desuete e peregrine, di tempi in cui c’erano poche e buone regole di vita, una quotidianità semplice e avvolta di silenzio, una povertà esteriore certo maggiore ma una ricchezza di sentire oggi smarrita. Nei piccoli paesi e villaggi c’era poco, ma quel poco era assaporato e apprezzato; le notizie arrivavano di tanto in tanto, colpivano, facevano pensare, discutere insieme davanti a un bel fuoco di sera. Quando era giorno di mercato o di festa, quando arrivavano in paese commedianti, poeti e artisti di altri luoghi, il cuore era contento. Oggi chi è contento? Chi aspetta più questi momenti che scandiscono la vita, chi ha più il senso della festa, del ciclico rinnovarsi delle cose, delle stagioni con il loro corteo di luce e colori? Chi sa più che cos’è il silenzio, l’essenziale, il gusto per le cose, il senso del valore di ciò che abbiamo o possiamo avere? La vita contadina di mezzo secolo fa, quale più volte mi è stata narrata dalla mia famiglia, aveva davvero questi sapori e queste gioie. Non si tratta di retorica o di idealismi bucolici da cittadino stanco e frastornato. Io credo che sia ancora possibile ritrovare i sapori dimenticati, magari approfittando di momenti come questo. Giochiamo un po’ di fantasia e di stupore. Per imparare di nuovo a meravigliarci, ad attendere le occasioni e i momenti speciali, quelli in cui il tempo si ferma e nell’aria c’è tanto buon profumo di nuovo e di antico.

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