A proposito di Anita Pittoni




Una spettrale e triste figura si aggira per il mondo. In tutto il mondo, in tutti i luoghi, chiusi e aperti, privati e pubblici, fastosi o dimessi. A parte pochi spazi ancora intatti, ove la natura e le reliquie di un passato migliore ci corroborano il corpo e lo spirito, ovunque sia passata, questa figura ha alitato sulle cose un soffio di morte, di tristezza e di grande desolazione. Si tratta della bruttezza, quella vera, non quella comunemente intesa in base ad un criterio estetico puramente esteriore e soggetto alla moda, ma quella intimamente unita alla verità e al bene. L’estetica che è anche ontologia ed etica. Una personalità artistica e intellettuale triestina che visse intensamente questa decadenza fu Anita Pittoni (1901-1982), che seppe declinare il proprio talento e la propria ispirazione su uno spartito di linguaggi artistici multiformi. È uscito da poco, a cura di Walter Chieregin e dell’Istituto Giuliano di Storia, Cultura e Documentazione, un pregiato volume (pp. 159, euro 20,00) che raccoglie gli Atti della Giornata di Studio dedicata ad Anita Pittoni il 22 novembre 2012, all’interno delle numerose manifestazione che hanno celebrato il 30° anniversario della sua morte.

Il volume, oltre alle relazioni tenute alla Giornata triestina di Studio contiene disegni, bozzetti, testi autografi e fotografie della Pittoni. Il ritratto che esce da queste pagine dense e appassionate restituisce i più diversi aspetti della personalità umana, artistica e intellettuale di Anita: la visione estetica (Cristina Benussi), l’artigianato artistico (Laura Vasselli), la produzione lirica in dialetto (Fulvio Senardi), l’archivio (Gabriella Norio), l’influenza culturale dell’amato zio Valentino (Marina Rossi), le creazioni tessili (Michela Messina), i celebri martedì culturali nella sua casa di via Cassa di Risparmio (Claudio Grisancich), la prosa in lingua italiana (Irene Visintini), la sensibilità moderna (Rossella Cuffaro) e la pittura (Sergio Vatta). Il suo laboratorio di maglieria e tessitura – attività manuali ricondotte dalla Pittoni allo splendore, all’originalità e alla bellezza dell’antico artigianato – e la sua casa editrice “Lo Zibaldone”, entrambi allestiti nel suo appartamento, sono il centro di una rosa di iniziative, espressioni e attività che aggregarono allora le migliori voci della cultura e della letteratura triestine e rielaborarono in una forma creativa e armoniosa le principali suggestioni della cultura novecentesca.

Come rileva nel suo intervento Crsitina Benussi, la Pittoni trasse le linfe migliori proprio dalla crisi della cultura e dei valori tradizionali del suo tempo. Mentre molti artisti ed intellettuali uomini cedettero al disfacimento dei vecchi quadri conoscitivi ed artistici arretrando in una posizione di sfiducia e di pessimismo, donne come la Pittoni trasformarono il naufragio della logica e della ragione nell’approdo all’isola incantata della libera creatività, dell’immaginazione e della bellezza. Per Anita il lavoro di maglieria, di tessitura, di disegno di bozzetti e figurini per il teatro fu tutt’uno con la scrittura, la riflessione e l’arte. Tutto andava strappato agli schemi rigidi – e strettamente maschili – della vecchia cultura, per essere sciolto nelle acque primordiali dell’eterno femminino. Non una femminilità oscura, divoratrice e irrazionale, ma luminosa, sia pure degli argentei e dolci riflessi della luna, feconda e creatrice, dotata di un’intelligenza morbida, aperta, duttile e profondissima. Come nota sempre la Benussi, alla rigida linea retta tracciata da un punto preciso ad un altro punto dalla ferma mano maschile, la mente femminile preferisce il punto del ricamo che disegna un anello, simbolo di una circolarità ricca e fertile che, ritornando su se stessa, affina il disegno, lo rileva, lo profila con diversi colori, lo fa più denso, più chiaro e insieme più ricco.

Questa valorizzazione del femminile, vivissima in un’altra artista come Leonor Fini che nello stesso periodo animò per alcuni anni la vita intellettuale ed artistica triestina, rese possibile una produzione di manufatti e di opere pittoriche e letterarie improntate ad una bellezza e a una ricchezza che il livellamento capitalistico andava sempre più esiliando dal mondo. Con lei rivivevano anche nella nostra città le stupende intuizioni di William Morris, di John Ruskin e dei preraffaeliti, i quali opposero alla rigidità dell’epoca vittoriana una stagione artistica che voleva contrastare i guasti dell’industrializzazione con il recupero del prestigio e della bellezza dell’artigianato, dell’arte e dell’architettura antichi, specie medioevali. Contro la massificazione e la razionalizzazione imperanti, questi artisti e intellettuali vollero porre l’arte al centro di un risveglio dell’uomo e della società, in cui la bellezza e l’armonia ritrovate fossero anche i perni dell’etica, della fede, della giustizia e di tutte le altre strutture del mondo. Una grande rivoluzione, dal carattere ben paradossale se voleva capovolgere le cose riportando in auge il passato, gli stili perduti come il romanico ed il gotico in cui l’artigiano era anche artista e uomo di fede e operatore di bellezza.

Gli echi di questa stagione, che si protrarranno anche nei tempi della riproduzione in serie, raggiungono la nostra Anita e permeano le sue maglie, i suoi ricami, i suoi abiti, gli arredi della sua casa. Ogni cosa è unica, modellata sulla quintessenza irripetibile di cose e persone, luoghi e tempi, atmosfere e memorie.

L’incanto della sua meravigliosa personalità si sprigiona integra dalle pagine di questo libro, in cui pare di avvertire il fruscio delle stoffe, il ritmo dell’ago che ritorna ripetutamente sullo stesso punto, la cadenza regolare dei telai che quieta il pensiero e risveglia la fantasia. Il mondo femminile arcaico in cui «gli stessi movimenti, persino la fattura, la struttura dei miei tessuti, a maglie concatenate e non a fili tesi, corrispondono allo svolgimento dei miei pensieri».

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