Siamo in piena secolarizzazione. I cristiani sono un piccolo gregge e sono chiamati a un compito epocale: ri-significare (per se stessi) le proprie feste.

1 e 2 novembre: riappropriarsi della propria memoria




1 e 2 novembre: solennità dei Santi e commemorazione dei Defunti. Credo che per l’occasione possiamo proprio fare l’elogio del nostro tempo perché ci consente di tornare al “clima” delle primitive comunità cristiane.

Ormai, persa la “societas christiana”, l’1 e il 2 novembre, ogni anno sempre di più, percepiamo essere feste solo della comunità dei cristiani. Per il mondo anche italiano quelli che abbiamo nominato sono semplicemente “i giorni di Halloween”: altro che “festa dei Santi e dei morti”! Interessante come per motivi semplicemente economici anche nella nostra Italia una festa praticamente sconosciuta alle nostre latitudini in quindici anni si sia radicata così fortemente anche nelle scuole e negli asili…

Siamo in piena secolarizzazione. I cristiani sono un piccolo gregge e sono chiamati a un compito epocale: ri-significare (per se stessi) le proprie feste. E devo dire: per fortuna!

Elogio del nostro tempo

Perché faccio l’elogio di questo nostro tempo? Perché ogni volta che ci sentiamo minoranza (non minoranza arrabbiata o ideologica…) torniamo allo spirito della Chiesa primitiva.

Quando Paolo ha portato l’Evangelo alla città portuale di Corinto ha fosse passato del tempo ad arrabbiarsi col sistema politico di Corinto perché le sue leggi e i suoi costumi non corrispondevano al cristianesimo o forse ha cercato di fare “restare salata” la porzione di popolo di Dio che stava nascendo in quella città, perché con la sua vita potesse narrare un “modo di vivere” gioiosamente diverso e “alternativo”?

Ecco: credo la seconda soluzione. Nella primitiva Chiesa non c’era la preoccupazione di difendere nostalgicamente un passato in cui “tutti si era cristiani”, in cui “tutti si respirava l’aria di essere dei nostri”. La Chiesa subapostolica era una Chiesa più leggera, meno arrabbiata della nostra, meno nostalgica e molto più preoccupata di “vivere altrimenti” piuttosto che impegnata a sponsorizzare manifestazioni in piazza in difesa di quello o di quell’altro “valore” urlato in faccia agli “altri” ma poco vissuto.

Ecco perché facciamo l’elogio di questo nostro tempo, in altre parole: perché in occasione del 1 e 2 novembre piuttosto che iniziare a fare gli spergiuri a questa società che “perde i valori fondamentali” (discorsi che lasciano tutti il tempo che trovano), noi cristiani siamo invitati a vedere se almeno per noi questi due giorni hanno ancora una qualche parvenza di significato e se soprattutto ci fanno diventare più fedeli all’Evangelo.

E allora credo che la riflessione su questi due giorni chiede a noi cristiani di affrontare seriamente, al nostro interno, almeno due pericolose “rimozioni”.

Che cosa è la rimozione in linguaggio psicanalitico? Detta proprio in parole molto povere (mi scuseranno gli psicoterapeuti per la rozzezza del concetto…) la rimozione è un meccanismo di difesa della nostra mente che scatta quando i nostri ricordi e il nostro vissuto ci fanno entrare in luoghi che ci ricordano ferite, sofferenza e “qualcosa” che oggi, ricordandolo, ci “sconvolge” per vari motivi. Cosa fa il meccanismo inconscio della rimozione? Semplicemente mette “una bella mano di bianco” su questo ricordo o su questo fatto e questo “magicamente” scompare dal nostro orizzonte mentale. Ce lo “dimentichiamo”, perché in questo modo (falsato) riusciamo a “proteggerci” da esso.

Ecco: i cristiani hanno fatto due rimozioni molto pericolose riguardo ai santi e ai morti, molto più pericolose del fatto che queste due feste abbiamo perso “appeal” nei confronti di Halloween. Quali sono queste rimozioni?

La rimozione dell’1 novembre

La prima rimozione riguarda l’1 novembre. E riguarda il concetto di “santità”. Come mai il concetto di “santo” nella mentalità ricorrente cristiana fa venire in mente le facce scolorate dei “santini” e, in ultima analisi, la sensazione comune è che se uno è santo è un po’ triste, un po’ “fuori dal mondo”, un po’ uno che “sta con i piedi sulle nuvolette”, uno che non ha mai “provato” la vita… o che è bravo perché non ne ha mai sbagliata una nella vita?

Oggi Francesco d’Assisi, Agostino d’Ippona, Maria Maddalena sarebbero santi, secondo il nostro “modello di santità” che ho descritto? No. Troppo poco chiara la loro adolescenza e la loro giovinezza… Come sopportare che Francesco non è andato in seminario in prima media, Agostino che prima di diventare vescovo aveva avuto pure un figlio e Maria Maddalena proprio non era cresciuta in uno studentato di suore?

Perché la Chiesa dei primi secoli “non aveva paura del passato” di queste persone e le ha proclamate “sante” senza neanche un (costoso) processo canonico, ma per “acclamazione” popolare? Proprio perché credeva molto più di noi che ciò che fa la santità non sono primariamente le belle opere del santo, ma l’incontro con Cristo che cambia la vita. E fa diventare un “disastro” di persona, la possibilità di essere “un uomo nuovo”.

Ecco la prima rimozione del nostro cristianesimo contemporaneo: non ci crediamo più così fortemente che Cristo cambia la vita. E allora abbiamo paura: confondiamo il vero concetto di santità con una persona che “è bravo lui”: e quindi, in ultima analisi, non crediamo per nulla ciò che San Giovanni Paolo II ci ha ripetuto centinaia di volte: che dobbiamo essere santi tutti, che la santità non è un club, ma che è un compito per tutti. Non importa da dove parti: l’importante è che ti lasci cambiare la vita da Gesù! Ed è quello il tesoro della santità: non la tua bella (finta) faccia!

Riusciremo a dire questo concetto “rimosso” il 1 novembre nelle nostre chiese o saremo tutti impegnati a scagliarci contro il mondo per vedere quanto Halloween ha “contaminato” la “purezza cristiana” dei nostri quartieri?

La rimozione del 2 novembre

E quale è la seconda rimozione? Riguarda il 2 novembre, la Commemorazione dei defunti.

Come vivevano i cristiani il ricordo dei morti? Si distinguevano dai “pagani” almeno per tre motivi.

I cristiani non abitavano le “necropoli” (che significa “città dei morti”), ma hanno inventato i “cimiteri” (che significa: “luogo dove si riposa”). Sì, per il cristiano il cimitero è il luogo dove si entra in un riposo in attesa del “risveglio” della risurrezione. Pensate quante cose si possono dire con una semplice parola cambiata!

E poi i cristiani si distinguevano dai pagani perché in questi cimiteri deponevano uno accanto all’altro i corpi dei loro cari. Perché fosse come un grande “dormitorio” in cui si custodiva e onorava anche il corpo, in nome dell’incarnazione di Gesù, che si era fatto carne per dirci che la salvezza passa dal corpo e quindi anche il corpo dei morti doveva essere onorato e conservato. Erano i pagani a bruciare i corpi, i cristiani si distinsero da subito per questo “diverso modo” di trattare i corpi, vedendo anche in questo un chiaro rimando all’Incarnazione e alla risurrezione della carne.

Inoltre in questi cimiteri o “catacombe” il ricordo dei morti era spesso collegato alla celebrazione dell’eucarestia: i cristiani dei primi tre secoli che non avevano ancora le grandi cattedrali costantiniane celebravano la messa o nelle case o nei pressi di questi “cimiteri” (pensiamo per esempio a papa Sisto II, che fu sorpreso dall’imperatore e condotto con i suoi diaconi al martirio proprio mentre celebrava l’eucarestia nelle attuali Catacombe di San Callisto, sulla via Ardeatina a Roma…). I cristiani facevano la Pasqua e celebravano l’eucarestia ricordando i defunti: non facevano liturgie di commiato con discorsi mondani o sbrigative benedizioni sul corpo in attesa della cremazione, a meno di 24 ore dalla morte. Quasi che il corpo di un cristiano valga meno di quello di un cane…

Proviamo a domandarci: come stiamo vivendo il culto dei morti noi cristiani di Trieste? Come è il nostro rapporto con il cimitero? Quanti cristiani quando muoiono a Trieste fanno celebrare la messa? O ricordano ancora nelle messe i loro defunti? Quanti si sono ormai convinti che la mentalità (pratica ed economica) migliore è quella di fare “cremare”, “tanto ormai anche la chiesa lo consente” e soprattutto fare tutto questo nel modo più veloce possibile, perché la morte è qualcosa che bisogna “rimuovere” in fretta dalle nostre vite e dalle nostre faccende quotidiane?

Siamo proprio sicuri che alla fine non siamo diventati noi i primi pagani? Ecco la seconda rimozione: prima di andare a fare le scarpe al mondo perché con i fantasmini di Halloween ha confuso le idee delle nostre feste, non è forse il tempo di domandarci come cristiani triestini se non rischiamo di essere “diventati pagani” nel nostro culto dei morti, esattamente come i pagani della Roma 2000 anni fa?

Ricordare i defunti non è per renderci tristi, ma per fare una seria riflessione sulla vita, su quanto essa è preziosa e su quanto Cristo ha vinto la morte e ci porta con Lui a risurrezione. Riusciremo a narrare tutto questo nelle nostre liturgie del 2 novembre e nella prassi delle nostre comunità cristiane?

 

 

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