“Verranno presto giorni in cui ai figli non basteranno lacrime per piangere gli errori dei propri genitori…”




Il recente fatto accaduto a Roma, dove giovani della città-bene si sono macchiati di un efferato delitto per il gusto – si dice – di “vedere l’effetto che fa”, obbliga ancora una volta a porsi un interrogativo fondamentale: “Ma come mai si è arrivati tanto?”.

Certo, le spiegazioni sono molteplici. Non è affatto da trascurare (almeno io non lo trascuro, mi rideranno dietro, non mi interessa!) una lettura “teologica”: quando la Vita di Grazia diminuisce, come sta terribilmente diminuendo, il demonio prende il sopravvento e governa all’impazzata. D’altronde basterebbe uno studio serio, senza contaminazioni di antropologia culturale alla moda, per capire quanto il gusto della violenza fine a se stessa abbia animato le cosiddette “civiltà” precristiane. Ma non è nemmeno da trascurare un’altra spiegazione (che non esclude la precedente), cioè quanto questi fatti siano l’esito di una “rivoluzione culturale” a 360 gradi dove si sono volute mettere in discussione le categorie di bene e di male arrivando perfino ad affermare che non deve esistere né un bene né un male. Certo – si può obiettare – ma chi compie certe cose non conosce nulla, vive nella più profonda ignoranza… È vero, ma per agire non occorre leggere, occorre “respirare”. E l’“aria” che oggi si respira è ammorbata di un nichilismo voluto, teorizzato, propagandato e realizzato. Ecco perché san Pio da Pietrelcina un giorno disse “Verranno presto giorni in cui ai figli non basteranno lacrime per piangere gli errori dei propri genitori”. Quei giorni sono arrivati da un pezzo e i giovani stanno pagando i nostri errori. La mia generazione ha tradito, e i giovani stanno pagando questo vile tradimento.

Convinto di questo, ripropongo un articolo che scrissi un bel po’ di tempo fa, dal titolo “Il Surrealismo e il delirio di dissoluzione”.

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Se, da una parte, il senso del limite costringe l’uomo a valutare la propria finitezza e forse (ma non sempre) ad avvertire il rammarico di non poter essere di più; dall’altra, costituisce la definizione dell’uomo e il fondamento più convincente dell’utilità di una vita sottoposta alle regole e alle leggi. Insomma, proprio perché non basto a me stesso, vuol dire che dipendo da un altro.

Da questo punto di vista il limite non è solo una negazione, un’impossibilità, ma diviene l’occasione per conoscere meglio se stessi e sapersi definire nel proprio stato di uomo bisognoso di un significato che non può darsi da solo. Per far questo, però, c’è bisogno di una pre-condizione, che non è sempre facile da accettare. È il convincersi umilmente che la verità è data all’uomo e non è un prodotto della sua coscienza, un qualcosa che può creare a suo piacimento. Occorre la pre-condizione di accettare il senso dell’autorità, di capire di non poter bastare a se stessi. Un po’ come il bambino di fronte al giocattolo, i suoi occhi si riempiono di stupore perchè sa che quell’oggetto gli è dato e non lo ha fatto lui, si presenta meravigliosamente e improvvisamente al suo sguardo. Ha scritto Tresmontant: «La nostra esistenza, la nostra natura, il nostro corpo, la nostra anima sono per noi una sorpresa e un oggetto inesauribile di stupore».

Veniamo al dunque.

Il delirio rivoluzionario (intendendo per “rivoluzione” la sovversione dell’ordine naturale) ha costantemente lottato contro questa pre-condizione. Questo delirio, infatti, si fonda sull’illusione di rendere l’uomo autosufficiente e norma a se stesso. Il mito di un progresso senza limiti, la pretesa di sconfiggere definitivamente la sofferenza e la morte nascono all’interno e in funzione di questo delirio. Ma il risultato e il relativo fallimento sono sotto gli occhi di tutti.

Eppure su questo fallimento (e qui sta il mistero) il delirio rivoluzionario non si è arreso. Se è vero che l’uomo non può divenire illimitato, è pur vero che questa impossibilità è vincolata dalla realtà e dalla logica…e allora non resta che distruggere tanto la realtà quanto la logica. È il sogno gnostico che non è mai sparito sul palcoscenico della storia. La regina cattiva della favola di Biancaneve, dopo aver saputo che è finito il suo tempo e che non è la più bella del reame, invece di accettare la dura sentenza, decide di distruggere lo specchio, cioè la fonte della verità. Sta qui il passaggio dalla modernità alla postmodernità. Nella modernità vi è l’illusione di un’onnipotenza umana nella realtà (le certezze religiose si sostituiscono con certezze scientifiche); nella postmodernità, constatato il fallimento della prima, si passa a una seconda illusione, e cioè a un’onnipotenza umana nel sogno e nell’irrazionale (si nega il concetto stesso di certezza, religioso o scientifico che sia).

All’interno della postmodernità troviamo tanti movimenti. Uno dei più rappresentativi è senz’altro il cosiddetto surrealismo. Un movimento filosofico, ma soprattutto artistico e letterario, che ha segnato il XX secolo coinvolgendo famosi poeti, artisti, cineasti e intellettuali di almeno tre generazioni.

Il surrealismo si prefisse di esprimere la profondità dell’io liberandolo dalla razionalità, dal realismo della visione e del linguaggio. L’arte sarebbe ciò che il pensiero detta in assenza d’ogni controllo esercitato dalla ragione, al di fuori d’ogni preoccupazione estetica e morale. Da qui la rivalutazione del sogno, del meraviglioso, del causale e dell’azione rivoluzionaria. C’è tanto l’influenza di Freud quanto quella di Marx: l’arte deve mirare a raggiungere il punto in cui reale e immaginario coincidono (influenza di Freud), cercando di trasformare radicalmente il mondo (influenza di Marx).

Il surrealismo nacque in Francia come movimento d’avanguardia in seno a un altro movimento, il dadaismo, sorto contemporaneamente in Svizzera e in America verso il 1916 con l’intenzione di demistificare tutti i valori della cultura attraverso un’azione che esaltasse l’idea di primitivismo, di spontaneità creativa e irrazionale.

Se proprio si vuole una data ufficiale, possiamo dire che il surrealismo nacque nel 1919, anno di fondazione della rivista “Littérature” voluta da intellettuali come Breton, Aragon, Eluard e Soupault. L’esponente più significativo fu proprio Andrè Breton che, influenzato soprattutto dalle opere di Freud e di Lautreamont, teorizzò la liberazione del linguaggio dell’inconscio tramite una “scrittura automatica”, cioè non più controllata dalla ragione. Nella sua riflessione ha un ruolo centrale il concetto di “surrealtà” (da cui la definizione di “surrealismo”), che indica una dimensione in cui convergono stati opposti come sogno e veglia.

Eccoci tornati al punto di prima: dal momento che l’uomo non può divenire onnipotente, piuttosto che rinunciare alla pretesa, bisogna demolire i vincoli della realtà e della logica che costringono continuamente alla constatazione della limitatezza umana.

Dunque, è chiaro come il surrealismo (così come la postmodernità) siano all’interno del delirio di dissoluzione, che a sua volta è figlio del fallimento del sogno di un antropocentrismo radicale.

Meglio distruggere tutto che constatare di vedere fallire le proprie pretese. E a proposito di distruzione di tutto, fu proprio Andrè Breton ad affermare che l’azione più “surrealista” sarebbe (sono sue testuali parole) “prendere una pistola e sparare a caso sulla folla”.

di Corrado Gnerre

Fonte: http://www.civiltacristiana.com

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