Intervista a Giancarlo Cerrelli, consigliere centrale dell’Unione giuristi cattolici italiani: «Il Consiglio di Stato ha fatto un’ammissione implicita del diritto all’obiezione di coscienza»

Unioni civili. «I sindaci obiettori saranno additati come mostri all’opinione pubblica»




Via libera alle unioni civili, vietata l’obiezione di coscienza: all’indomani della decisione del Consiglio di Stato che ha dato parere favorevole al decreto-ponte sulle unioni civili (un decreto transitorio che renderà già possibili le registrazioni nei Comuni, in attesa che le norme attuative definiscano l’applicazione concreta della legge Cirinnà), giornali e media accendono titoli e riflettori sul superamento del nodo della “coscienza individuale” sollevato nei mesi scorsi da molti sindaci. «Del diritto all’obiezione di coscienza circa le celebrazioni delle unioni civili, invero, non se ne parla né nella legge, né nel decreto attuativo», spiega a tempi.it Giancarlo Cerrelli, consigliere centrale dell’Unione giuristi cattolici italiani ed esperto di Diritto canonico, «ma il tema è trattato dal parere del Consiglio di Stato, del 15 – 21 luglio 2016, n. 1695, allo schema di decreto del presidente del Consiglio dei Ministri recante “Disposizioni transitorie necessarie per la tenuta dei registri nell’archivio dello stato civile ai sensi dell’art. 1, comma 34, della legge 20 maggio 2016, n. 76”. Con tale parere il Consiglio di Stato ha dato il via libera al decreto-ponte sulle unioni civili, composto da 10 articoli, che di fatto rende possibili, in tempi brevi, le registrazioni nei Comuni delle unioni civili, in attesa che le norme attuative definiscano, da qui a dicembre, l’applicazione della legge varata a maggio dal Parlamento».

Sembra che il diritto all’obiezione di coscienza sia implicitamente riconosciuto nella misura in cui la legge non imputa all’ufficio del sindaco la titolarità esclusiva del dovere di celebrare le unioni civili ma parla di “ufficiale di stato civile”: è così?

Il Consiglio di Stato nel suo parere ha ritenuto che il rilievo giuridico di una “questione di coscienza”, per cui soggetti pubblici o privati possano sottrarsi legittimamente ad adempimenti cui per legge sono tenuti, è dato soltanto dal riconoscimento che di tale questione ne faccia una norma; sicché detto rilievo non può derivare da una “auto-qualificazione” effettuata da chi sia tenuto, in forza di una legge, a un determinato comportamento. Il Consiglio di Stato sostiene, ancora, che in un sistema costituzionale e democratico sia lo stesso ordinamento che deve indicare come e in quali termini la “coscienza individuale” possa consentire di non rispettare un precetto vincolante per legge, ribadendo che «quando in passato il Legislatore ha contemplato (si pensi all’obiezione di coscienza in materia di aborto o di sperimentazione animale) l’apprezzamento della possibilità, caso per caso, di sottrarsi ad un compito cui si è tenuti (ad esempio, l’interruzione anticipata di gravidanza), tale apprezzamento è stato effettuato con previsione generale e astratta, di cui il soggetto “obiettore” chiede l’applicazione». Il Consiglio di Stato ha, dunque, sostenuto che la previsione dell’obiezione di coscienza non è stata prevista dalla legge n. 76/2016 e che, anzi, dai lavori parlamentari risulta che un emendamento volto ad introdurre per i sindaci l’“obiezione di coscienza” sulla costituzione di una unione civile è stato respinto dal Parlamento, che, così, ha fatto constare la sua volontà contraria, non aggirabile in alcun modo nella fase di attuazione della legge. Osserva, ancora, l’organo di giustizia amministrativa – riguardo al riferimento alla “coscienza individuale” atto ad invocare la possibilità di “obiezione” – che la legge, e  il decreto attuativo, pongono gli adempimenti a carico dell’“ufficiale di stato civile”, e cioè di un pubblico ufficiale, che ben può essere diverso dalla persona del sindaco. «In tal modo il Legislatore ha affermato – continua il Consiglio di Stato – che detti adempimenti, trattandosi di disciplina dello stato civile, costituiscono un dovere civico e, al tempo stesso, ha posto tale dovere a carico di una ampia categoria di soggetti – quella degli ufficiali di stato civile – proprio per tener conto che, tra questi, vi possa essere chi affermi un “impedimento di coscienza”, in modo che altro ufficiale di stato civile possa compiere gli atti stabiliti nell’interesse della coppia richiedente». Così il Consiglio di Stato conclude che il problema della “coscienza individuale” del singolo ufficiale di stato civile, «ai fini degli adempimenti richiesti dalla legge n. 76/2016, può agevolmente risolversi senza porre in discussione il diritto fondamentale e assoluto della coppia omosessuale a costituirsi in unione civile». È, invero, un’ammissione implicita del diritto all’obiezione di coscienza, ma a me sembra un modo per aggirare il problema. La legge positiva diventa il metro di giudizio della coscienza. Tutto ciò è pericoloso. Progressivamente per legge ci verrà sempre di più limitata la libertà di coscienza e così il diritto di dissentire dal male. Il Consiglio di Stato considera diritto fondamentale e assoluto quello della coppia omosessuale a costituirsi in unione civile, ma, in verità, questo non è un diritto è solo un mero desiderio.

Se un sindaco volesse motivare il suo no, facendo appello a un’obiezione di coscienza non richiesta, andrebbe in corso ad accuse di discriminazione?

Se sarà approvata la legge anti-omofobia che al momento giace in Senato, dopo l’approvazione alla Camera, saranno quasi certe delle conseguenze negative; ma anche attualmente, non in vigenza della legge anti-omofobia, un diniego da parte di un sindaco a voler celebrare un’unione civile sarebbe indicato come un atto deplorevole e l’obiettore dovrebbe essere pronto a essere rappresentato dall’opinione pubblica alla pari di un mostro.

Che valore ha l’obiezione di coscienza nel momento in cui viene derubricata a fenomeno estraneo alla legge e di nessuna efficacia?

Il Consiglio di Stato indica una via d’uscita nell’istituto della delega, che non è in alcun modo previsto né dalla legge, né dal decreto-ponte. Il delegato, a sua volta, potrà chiedere di essere esonerato e la delega potrà essere conferita ad altri. Rimangono, in ogni caso, sottesi i problemi sottolineati sopra e che indicano che ci troviamo sempre di più in un contesto di dittatura del pensiero unico.

Ci ricorda in quali casi l’obiezione di coscienza è consentita dall’ordinamento italiano? Ha senso per la sua natura invocare la libertà di esprimerla in materia di unioni civili e, se sì, perché?

L’obiezione di coscienza è prevista dal nostro ordinamento per il servizio militare, poi è stata prevista anche in materia di aborto, fecondazione artificiale e sperimentazione animale. L’obiezione di coscienza avrebbe senso invocarla per le unioni civili, perché queste intaccano la disciplina concernente il matrimonio, istituto che costituisce un pilastro essenziale della convivenza civile e riguarda necessariamente le più profonde convinzioni morali e religiose. In questo caso, poi, c’è anche un fondamento civile, basta leggere la Costituzione italiana. Chi deciderà di fare obiezione di coscienza nel celebrare unioni civili, nel suo piccolo testimonierà il proprio dissenso a una ridefinizione della famiglia.

La legge non parla di celebrazione ma di registrazione dell’unione: si tratta di una differenza nominalistica o c’è una ipocrisia formale nel non volere omologare unioni e matrimonio giocando sulla terminologia?

Se la legge non parla di celebrazione, la bozza del decreto-ponte sembra parlare, invece, di cerimonia. La cerimonia è, infatti, a prescindere dalla previsione normativa, elemento fondamentale con il profondo ruolo ideologico di fornire un messaggio preciso: la piena equiparazione tra matrimonio e unioni civili omosessuali. La gente vedendo, o partecipando a cerimonie di unioni civili,  che saranno in tutto simili a quelle matrimoniali si abituerà a chiamare matrimonio anche le unioni civili e tale trasbordo ideologico inavvertito serve a persuadere il corpo sociale, soggiogato ormai dalla dittatura del pensiero unico, che non vedere alcun male nel fatto che il nostro ordinamento un giorno approvi il matrimonio omosessuale. Chi partecipa alla cerimonia, invero, collabora materialmente all’atto e fa passare questa mentalità. Le unioni civili con l’annessa celebrazione hanno una chiara valenza simbolica e ideologica. Chi non vuole indurre il popolo italiano dal punto di vista culturale a equiparare i due istituti deve, pertanto, avere diritto all’obiezione di coscienza che ha una valenza più profonda e significativa rispetto al diritto di delega, che il Consiglio di Stato ha, comunque, provvidenzialmente ammesso.

di Caterina Giojelli

Fonte: http://www.tempi.it

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