Unione Europea e Mitteleuropa




Può sembrare paradossale ma è un fatto che più si afferma l’Unione Europea e più svaniscono, o tendono a scomparire, l’idea e la realtà della Mitteleuropa. Da queste parti la civiltà mitteleuropea è stata sempre presente, ora più ora meno, ma come un dato distintivo del nostro ambiente, del nostro modo di vivere e di pensare. Intendiamoci, definire con precisione la Mitteleuropa è forse una delle cose più difficili da fare in assoluto dal momento che, anche se ha anche fare con la cartina della geografia, non limita certo a quello il suo significato; con la Mitteleuropa c’entra molto anche la storia recente di questo pezzo di terra, il suo rapporto con quello che fu il complesso mondo politico e sociale dell’Austria-Ungheria del XIX secolo e la dinastia asburgica, ma nemmeno questo in fondo da solo basterebbe. Come nelle cose più raffinate della vita, forse la peculiarità speciale della Mitteleuropa, al pari del buon vino d’annata, è proprio nel fatto che lo riconosci dal gusto più che da una descrizione, da un’esperienza sensoriale più che da una nozione libresca, quando si offre lì davanti a te come un panorama che aspetta solo di essere catturato dall’obiettivo di una fotografia. Ora, quello che si nota negli ultimi anni è che esperienze del genere sono sempre più rare. Se, per dire la prima cosa che viene in mente, un tempo Vienna e Praga erano luoghi dell’identità forte mitteleuropea più che nomi di capitali amministrative, profondi e diversi nella loro complessità socioculturale, anche se parte della stessa patria comune mitteleuropea, ora i mondi si avvicinano, anzi sembrano confondersi l’uno con l’altro in nome – per l’appunto – di un processo di omologazione verticale per cui dal cibo, alla lingua, all’arte, tutto finisce per assomigliarsi e tu non sai più qual’era – se mai c’era – l’originale. Non vogliamo essere troppo severi, né pessimisti, ma chi avrà a cuore quel certo mondo non potrà non trovarsi d’accordo. Per la verità, anche sulla fine della Mitteleuropa c’è in giro– non da oggi – un dibattito vivace, come si sa. C’è chi dice – citando Werfel – che la Mitteleuropa è morta a Sarajevo nel 1914, quando ebbe inizio la Grande Guerra che segnò la fine non solo dell’ultimo impero cattolico in Europa ma anche – tout court – la fine dell’idea stessa di Mitteleuropa. Poi, c’è chi sposta invece la data più avanti, all’altro conflitto mondiale, nel 1945, perché da quel momento sarebbe cominciata l’epoca contemporanea a tutti gli effetti, quell’epoca che – dal punto di vista del costume – ha significato una vera e propria rivoluzione epocale giacché ci sono indubbiamente più punti in comune, per dire, tra una donna del 1730 e una del 1950 che tra una del 1950 e una di oggi. Infine c’è chi nota che la fine sarebbe iniziata proprio all’indomani della caduta del Muro, nel 1989, non perché la Mitteleuropa avesse di per sé qualcosa a che fare con il socialismo reale ma perché l’accelerazione e il distacco dalle proprie radici all’indomani dell’Ottantanove sono stati repentini e poi sempre più vertiginosi. Anche George Steiner, uno degli studiosi più colti e ammirati di questo mondo, ultimamente la vede così: può darsi che non sia tutta colpa dell’Unione (indubbiamente anche la diffusione globale di internet ha giocato un suo ruolo per una civiltà che aveva fatto della Memoria una sorta di vera e propria divinità laica) ma è un fatto che, per chi ha amato e ama quel mondo la sua fotografia appaia sempre più lontana e distante non come se fosse una cosa di ieri – come è cronologicamente parlando – ma di ancora prima dell’altroieri, se ci passate la metafora. E’ anche un discorso che ha a che fare con la visione educativa e culturale complessiva di una società: da questo punto di vista la Mitteleuropa è legata indubbiamente a un retroterra classico in cui il mito, ad esempio – tanto quello greco e latino, quanto quello germanico e nordico – svolge un ruolo di primo piano nell’immaginario simbolico collettivo e popolare fino a mobilitarne le migliori forze ideali e artistiche, se non politiche. Insomma, anche per conoscere le mutazioni dell’ambiente circostante da evangelizzare, sarebbe utile chiedersi quando e come tutto questo sia effettivamente iniziato e da quando questo processo di marcia ha accelerato la sua corsa verso l’ignoto, non perché siamo nostalgici del tempo che fu – anche se non ci sarebbe nulla di male, anzi – ma perché quando si ama una cosa, fosse anche una civiltà dello spirito, come in questo caso, si fa di tutto per conservarla e tenerla viva. Se poi qualcuno per caso non è d’accordo – non si offenda – è perché probabilmente non ha mai veramente amato niente e nessuno in vita sua.

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