Una stralunata Rettore




“Sono splendido splendente, io mi amo finalmente, ho una pelle trasparente come un uovo di serpente”.

 

Con questo brano: “Splendido splendente” del 1979, Donatella Rettore anticipava drammaticamente l’ideologia gender stracolma di egoismo e di presunte illusorie libertà: “Come sono si vedrà, uomo o donna senza età, senza sesso crescerà, per la vita una splendente vanità”. La cantante nativa di Castelfranco Veneto, figlia di Teresita Pisani, nobildonna ed attrice goldoniana, manifestava tutta la sua ribellione e depravazione con l’allusiva canzone : “Il Kobra”, classificatasi addirittura seconda al Festivalbar del 1980: “Il kobra non è un serpente ma un pensiero frequente che diventa indecente quando vedo te…”. La Rettore, così come voleva essere chiamata quasi a nascondere un nome che potesse rivelarne una precisa identità: “Non capisco perché tutti quanti continuano a chiamarmi Donatella” ,ha rappresentato la sfrenatezza dei sensi e l’istinto animalesco fino ad un emotivismo incontrollato che ha dilaniato ogni barlume di ragionevolezza. Come si evince dal titolo e dai testi di alcune sue emblematiche canzoni, come: “Leonessa” e “Gattivissima”, i temi della mancanza di virtù e del lasciarsi andare istintivo hanno il sopravvento: “Mi stiro le membra con golosità, io la tua leonessa in cattività…” e ancora: “Gatta gattivissima sarò, tra un po’ faremo festa, c’è un gatto che mi va…”. Non sorprende quindi che la Rettore abbia interpretato, direi quasi diabolicamente, la sfrontatezza della rivoluzione sessuale fino allo spasimo, inneggiando al suicidio, come in Giulietta del 1982: “E ci si può ammazzare specialmente per amore…”. Cantando si impara, con Donatella Rettore, che se non si pone un freno all’estasi di un sentimento si arriva al pervertimento della ragione ed allo sfigura mento della persona stessa; in una parola, come nel titolo di un’altra sua canzone: “Delirio” si approda all’inferno dei sensi: “Dipinta d’argento e di grandi passioni, scavo nei pensieri e mi ritrovo tentazioni e lamenti e respiri freddi…”. Una stralunata Rettore non poteva non emergere in tutta la sua anarchica repulsione per ogni orizzonte ordinato, come nel pezzo omonimo: “Senza meta, chi lo sa se l’ho mai avuta…Ho cambiato troppe strade, troppi amori e poca fede, troppa vita che non so dov’è finita…”. Il suo non serviam quasi luciferino è ribadito sin dal titolo di un altro suo brano: “Presto che è tardi” ,che contrasta il rasserenante e cristiano motto: “Non è mai troppo tardi”. Nel testo di questa sua canzone sta tutto lo stolido ed avvilente carpe diem: “Oggi è già domani, quello che ti perdi non sai. Non ti voltare indietro…”. Anche nel brano: “Amore stella” presentato al Festival di Sanremo del 1986, la Rettore non fa che sprofondare e cercare di trascinare con sé verso il basso in un ipotetico ed avventuroso viaggio estremo: “Da te mi lascerei bruciare e giù all’inferno e anche più giù, se proprio in fondo fossi tu…Amore stella che non ho, dove ti ho perso, in che universo?”. Già nel 1977, sempre al Festival di Sanremo, provocatoriamente, cantando: “Carmela” lanciava caramelle  al pubblico. Un’altra sua canzone: “Stregoneria” alludeva ad ali di velo, sangue del cielo, stregoneria, dolce mania…. Nell’emblematica Estasi, la Rettore così la definiva: “Estasi è volare, è buttarsi e cadere senza neanche sentire il rumore…”. Ripensando alle sue sensazionali copertine dei dischi ed agli stupefacenti e stordenti titoli dei suoi album: “Brivido divino”, “Magnifico delirio”, “Estate clamorosa” emerge ancor più il ritratto di una cantante sensuale e folle, come traspare dall’altra sua canzone: “Di notte specialmente”,presentata al Festival di Sanremo del 1994: “Le avventure avute facilmente sono acqua che mi sfiora leggermente…La voglia è conturbante, i sensi sono tesi strenuamente…”. Cantando si impara che, a giocare con l’ironia, ci si può fare davvero male. Troppo egoismo, troppo ricercato piacere, troppa sensualità possono essere fatali: “Come sono affascinante, faccio cerchi con la mente, mi distinguo tra la gente”. Nemmeno finché si è giovani (parafrasando il titolo di un’altra sua canzone) è possibile combinare un tale scempio. Di splendido splendente non rimane proprio nulla e solo l’oblio può sanare un successo senza valori: “Mi hanno svuotato, buttato in un cestino, vivevo per le maschere e mi han chiamato burattino”.

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