Intervista a Raffaello Vignali, deputato alla Camera, “padre” della legge sullo Statuto delle imprese e dell’“Iva per cassa”.

C’è una cultura ostile all’impresa




Secondo le stime più accreditate nel 2012 le imprese italiane hanno chiuso al ritmo di 34 al giorno, ma l’export è aumentato, la domanda interna è scesa ai minimi storici, ma l’anno appena trascorso ha chiuso con 8,8 miliardi di surplus della bilancia commerciale aggregata (saldo di parte corrente fra esportazioni e importazioni). Sono dati paradossali, che ci parlano di una economia stremata, segnata da un crollo di produttività verticale, ma anche da una nascosta vitalità del suo tessuto imprenditoriale profondo. 

Delle cause di questa crisi, e delle possibili vie di uscita, si è parlato lunedì 8 aprile presso il Palazzo dei Congressi “Stazione Marittima” di Trieste con l’on. Raffaello Vignali, deputato alla Camera, “padre” della legge sullo Statuto delle imprese e dell’“Iva per cassa”. 

È necessario cambiare rotta immediatamente. Abbiamo una grande tradizione alle spalle. Ed è da lì che dobbiamo partire per ritrovare la speranza, perché, come dice Marco Gabrielli, che ha presentato il Relatore, citando Peguy, «per sperare bisogna aver ottenuto, ricevuto una grande grazia… e quel che è facile e istintivo è disperare, ed è la grande tentazione».

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On. Vignali, nell’annus horribilis appena trascorso decine di migliaia di imprese hanno chiuso. Perché siamo arrivati a questo punto?

Perché viviamo immersi in una cultura ostile alle imprese. Da noi chi fa impresa è guardato con sospetto, come un nemico, un potenziale evasore, e non come uno che fa il bene del suo territorio. Un esempio: tutti parlano di start up. Ma se fai un’impresa nel garage di casa ti arrestano. Bill Gates e Steve Jobs hanno iniziato facendo impresa in un garage.

Da dove nasce questa inimicizia?

In Italia c’è una cultura diffusa, di cui una certa sinistra è corresponsabile, che ritiene che l’unica impresa degna di questo nome sia la grande impresa sindacalizzata (e quindi controllata dallo Stato). Il piccolo imprenditore, non sindacalizzato, è un truffaldino per definizione, va messo sotto tutela attraverso controlli ossessivi e una miriade di adempimenti burocratici. 

La pressione fiscale sull’economia regolare è di 7 punti superiore a quella della Francia, di 15 rispetto alla Germania, di 27 rispetto agli Stati Uniti. Siamo davvero la Repubblica delle tasse?

Sì, abbiamo una pressione fiscale esorbitante. Ma non c’è solo questo. Le tasse in Italia oltre a essere alte sono difficili da pagare. Abbiamo un fisco complicatissimo. Le nostre imprese spendono ogni anno un sacco di soldi in commercialisti per non aver problemi col fisco. A tutto ciò dobbiamo aggiungere il freno della burocrazia.

In che senso?

In economia la variabile tempo è fondamentale. Un mio amico ha aperto una fabbrica di pannelli fotovoltaici in Svizzera in 3 mesi. Da noi se va bene ci vogliono 3 anni. E questo è un delitto. In questo modo noi buttiamo via Pil e occupazione.

L’evasione fiscale, che si stima elevatissima, è una conseguenza o una causa dell’elevata imposizione fiscale?

Guardi, in questo paese abbiamo un tassa, l’Irap, che si applica anche alle perdite, una specie di tassazione negativa, una pazzia. In una situazione così la tentazione di evadere è altissima. Negli Stati Uniti se evadi vai in galera, ma le tasse sono al 30%. Siccome non siamo in un mondo kantiano, teorico, dobbiamo aiutare gli uomini a non cadere in tentazione. Einaudi, che non era un pericoloso evasore, diceva che il modo migliore per combattere l’evasione fiscale è abbassare le tasse. Penso che l’evasione vada combattuta, ma non con mezzi repressivi come il redditometro, ma col contrasto di interesse.

Cioè?

L’evasione si fa sempre in due. Prendiamo il caso delle detrazioni del 55% sulle ristrutturazioni delle case. In quel settore lì è sparita l’evasione perché a chi si ristruttura la casa conviene farsi fare la fattura. Poi i controlli servono, come pure le tasse, ma nel rispetto dei principi del diritto. Non è possibile che venga invertito l’onere della prova. Se il fisco mi accusa di aver evaso, deve dimostrarlo. Oggi invece viene da me imprenditore e mi dice: «Tu hai evaso, dimostrami che non è vero».

Come far ripartire l’economia di questo Paese?

Bisogna “liberare l’impresa”. La crescita non si fa per decreto; le leggi possono rallentare lo sviluppo, non accelerarlo. Per questo dobbiamo “liberare l’impresa”, cioè mettere chi ha voglia di lavorare e rischiare in condizione di creare ricchezza per tutti. In Italia abbiamo uno dei tassi imprenditoriali più alti del mondo, un potenziale enorme. Bisogna partire da una stima per chi, assumendosi il rischio in proprio, costruisce e fa il bene comune.

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