Tesori d’ Albania




Se ci pensate bene è incredibile come nel nostro tempo le idee diffuse superficialmente a livello popolare possano arrivare ad oscurare i dati di fatto più acclarati e la sapienza della storia ci ha preceduto. Da questo punto di vista il recente viaggio del Papa in Albania è stato un’autentica boccata d’aria fresca. Infatti, fino a ieri, eccettuati i soliti quattro gatti che studiano – per mestiere o per passione – la complessità del vicino mondo balcanico fin nelle sue più estreme profondità che cosa sapevamo inter nos dell’Albania? Qualcosa sul comunismo e sulla dittatura, qualcosa sugli esodi biblici degli anni Novanta, qualcos’altro ancora sulla manovalanza esclusivamente made in Tirana di scafisti, narcotrafficanti e piccoli o grandi criminali che fossero. Ma che l’Albania avesse anche scritto pagine non di poco conto nella storia della fede questo eravamo poco propensi a crederlo. Siamo soliti legare le grandi epopee cristiane alla tradizione spagnola, francese o portoghese magari, se non altro perché hanno nel corso dei secoli hanno avuto regni e sovrani attivamente impegnati nell’evangelizzazione. Che cosa potrebbe mai opporre un Paese piccolo come l’Albania al confronto? Nulla, apparentemente. Ma, per l’appunto, solo apparentemente. In effetti, per secoli, fino al XV in pratica, l’Albania era stato un Paese cristiano. Di più: uno dei suoi eroi nazionali – tuttora onorato come padre della Patria – Giorgio Kastriota (1405-1468), detto ‘Skanderbeg’, che combattè a lungo contro gli invasori turchi, sconfiggendoli sempre, si guadagnò allora per le sue gesta l’appellativo di ‘atleta di Cristo’, nonché quello – ugualmente significativo – di ‘difensore della civiltà occidentale’. Fu solo dieci anni dopo la sua morte che gli islamici riuscirono a sconfiggere la resistenza del Principato dando inizio a una penetrazione che oggi ci appare ovvia, viste le numerose comunità islamiche presenti laggiù. Archeologia dell’età moderna? No, non è solo una vecchia storia del Quattrocento. La Santa oggi forse in assoluto più amata nel mondo, da credenti e non, è un’altra albanese: Madre Teresa di Calcutta. Ormai la consideriamo indiana d’adozione, vista la sua vita nelle baraccopoli di Calcutta, ma la religiosa delle Missionarie della Carità era albanese, originaria di una famiglia albanese praticante che darà (nel ramo parte della madre) anche dei sacerdoti alla Chiesa. Che oggi non sono certo famosi quanto lei ma che hanno comunque contribuito a salvare la trasmissione della fede nei lunghi decenni (dal 1944 al 1990) in cui il Paese ha visto – non metaforicamente – l’inferno sulla terra. Non basta: se si scorrono le pagine del grande martirologio della Chiesa d’Albania del XX secolo si vede pure una gran quantità di francescani e gesuiti, come il Papa gesuita sa bene. Neanche loro erano lì per caso, o di passaggio. Avevano celebrato Messa, confessato e predicato per secoli ed erano albanesi proprio come gli altri. Tra questi c’era anche Padre Daniel Dajani (1906-1946), il carismatico rettore del Seminario pontificio di Scutari condannato a morte per fucilazione dal regime criminale di Enver Hoxha nel 1946.
​Andiamo avanti? Che dire di don Andrea Zadeja (1891-1945), don Pjeter Çuni (1914-1948), don Dedë Maçaj (1920-1947) o don Anton Muzaj (1919-1947) che hanno fatto la stessa fine tra atroci e a volte raccapriccianti torture che mettono paura soltanto a leggerle? Andando in Albania Papa Francesco forse non ha inteso – almeno così ci pare – solo rendere un omaggio pubblico, per quanto importante, alla memoria dei martiri (non ancora canonizzati) ma tornare anche su alcuni aspetti oggi misconosciuti della militanza cristiana. Il primo, se capiamo bene, è la dimensione dell’ecclesialità: nessuno si salva da solo, per dirla con le parole della Spe Salvi. Perchè magari a volte anche noi siamo tentati di derubricare alcune testimonianze di santità nel più totale soggettivismo, come se la Chiesa non fosse un fatto di popolo ma un fatto di eremi con degli eremiti che vagano qua e là e – prima o poi, ogni tanto – qualcuno riesce a santificarsi. Non è così: quei preti morti ammazzati vengono da famiglie cristiane che avevano praticato la fede in famiglia e l’avevano trasmessa ai figli, per mezzo dei sacramenti, e quindi dell’azione salvifica della Chiesa. L’altro elemento è l’universalità del cattolicesimo: oggi molti – come accennato – sono portati ad identificare l’albanese con il musulmano come se le due cose fossero intimamente legate l’una all’altra dalla notte dei tempi. Prima ancora qualcuno aveva fatto lo stesso giochetto con albanese e comunista. E’ da un bel pezzo che qualcuno non diceva albanese uguale cristiano. Ora, la vocazione naturale della Chiesa invece è proprio universale e passa anche per Scutari, se non altro perché prima ci sono passati Skanderbeg, Madre Teresa, Dajani, Zadeja, Çuni, Macaj e Muzaj. Che non saranno significativi per molti ma lo sono di certo per noi. E guai se non fosse così. D’altra parte le radici cristiane si difendono e si diffondono alimentando con convinzione anche la loro memoria e le loro testimonianze. Come disse una volta una persona molto anziana che da quelle parti ne aveva viste tante: quando entri in una Chiesa, se puoi, oltre a inginocchiarti, bacia il pavimento e pensa che qualcuno, forse, un giorno lontano in cui tu non eri neanche nato aveva offerto la sua vita in olocausto giusto a pochi metri da lì affinché chi fosse venuto dopo avesse potuto trovare quello stesso Tempio di Dio ancora in piedi e pregare, adorare e lodare il suo Creatore senza chiedere il permesso a niente e a nessuno. Né per respirare, né per vivere.

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