Solo una scuola libera potrà migliorare l’istruzione




L’editoriale di uno dei quotidiani storici del nostro paese, come quello pubblicato lunedì da Susanna Tamaro (Educare, non solo istruire. Contro il buonismo di Stato, Corriere della Sera, 9 gennaio 2017), non dovrebbe passare inosservato. E sarebbe bello se chi è al potere e ha la possibilità -e il dovere!- di favorire la soluzione dei gravi problemi che ci affliggono, prendesse sul serio il grido di allarme che ne emerge: «Questa scuola sommamente democratica è sempre più classista – scrive Susanna Tamaro – un disastro partorito da un sistema che, in nome del lassismo, della demagogia, del vivi e lascia vivere “tanto l’importante è il pezzo di carta”, ha costantemente abbassato il livello delle pretese».
L’articolo si presenta come un’analisi lucida e spietata, che grida pietà per le nuove generazioni che, ormai da anni, subiscono inconsapevoli, talvolta addirittura difendendolo, un sistema scolastico caratterizzato da lassismo, sindacalizzazione, incapacità di offrire una formazione/educazione al passo coi tempi; il tutto, poi, condito da una serie di “educazioni” (come quella gender…), che poco o nulla hanno a che fare con una reale crescita della persona ma sono funzionali solo ai disegni ideologici -spesso dannosi- di chi si trova al potere.
È tanto vero questo, che chi può (e tanto spesso anche gli stessi politici che avversano la libertà di scelta educativa), «già da tempo manda i figli negli istituti privati, se non all’estero; chi ha meno possibilità ma è consapevole della catastrofe, supplisce con l’impegno personale. Per tutti gli altri non c’è che la deriva del ribasso».
Di chi la colpa? Non usa mezze misure, la Tamaro: le colpe sono in parte del sistema politico, «che ha sempre considerato il Ministero dell’Istruzione come un jolly da tirar fuori dal cappello nei momenti di bisogno». Il metodo è ormai noto: «Una botta ai sindacati, una botta ai concorsi, un po’ di fumo soffiato in faccia alle famiglie per mascherare che sotto il fumo non c’era nessun arrosto e avanti così, inventando pompose rivoluzioni che, alla prova dei fatti, si sono mostrate, per lo più, drastiche involuzioni».
Come darle torto? La vera emergenza nazionale del nostro paese è l’educazione; eppure, i nostri governanti continuano a non fare nulla (o, meglio, quello che fanno non serve a nulla…) per affrontare davvero il problema, avendo probabilmente bisogno di una scuola che sia solo una riserva di voti e un ammortizzatore sociale per combattere la disoccupazione, con un lavoro spesso precario e per di più mal pagato…
Le conseguenze sociali di questa miopia sono sotto gli occhi di tutti, e su questo aspetto è proprio necessario riportare per intero la requisitoria della Tamaro: «Educare richiede l’esistenza di un principio di autorità, principio ormai scomparso da ogni ambito della vita civile. Chi educa oggi? Le poche famiglie che caparbiamente si intestardiscono a farlo si trovano a vivere come salmoni controcorrente. Il “vietato vietare”, con la rapidità osmotica dei principi peggiori, ormai è penetrato ovunque, distruggendo in modo sistematico tutto ciò che, per secoli, ha costituito il collante della società umana. Dalle maestre chiamate per nome, ai professori ai quali si risponde con sboccata arroganza, al rifiuto di compiere qualsiasi sforzo, all’incapacità emotiva di reggere anche una minima sconfitta: tutto il nostro sistema educativo non è altro che una grande Caporetto…».
Perfetto. Ma come uscirne? Ecco, quello che mi pare debole nello splendido e accorato attacco della Tamaro è proprio il punto sulle soluzioni. Non perché non sia necessario destinare più risorse alla scuola e offrire agli insegnanti – che svolgono un lavoro di grande responsabilità altamente usurante – uno stipendio finalmente dignitoso, ma perché non può essere questo a far ripartire il sistema e restituire ai docenti il gusto «per educare veramente le giovani generazioni».
No, non può bastare una migliore retribuzione. Fatte salve le gravi responsabilità dei governanti, dato che il centralismo del sistema, con la sua asfissiante burocrazia che costringe a dedicare tempo ed energie ad adempimenti noiosi e soprattutto inutili, ha contribuito certamente allo sfascio, occorre tenere presente che una parte del problema sono proprio i docenti: figli di questo tempo nichilista e relativista, molto spesso non sanno più cosa proporre, essendo essi stessi privi di solide motivazioni per cui valga la pena vivere e studiare.
Per rimettere in gioco tutte le risorse (economiche, gestionali, culturali, affettive, ideali) che servono per fare scuola come si deve, occorrono innanzitutto libertà di educazione e piena autonomia scolastica. Una reale libertà di scelta per le famiglie e una autonomia effettiva per le scuole, che permetta anche di assumere liberamente gli insegnanti, a partire dai più meritevoli. Un sistema in cui ogni scuola possa fare una proposta formativa significativa, realmente vicina alle necessità del territorio, e i docenti possano decidere se condividerla o meno.
Utopia? Non direi, dato che è quello che già accade in quei paesi di cui tanto spesso si elogiano i risultati formativi e la posizione nelle graduatorie internazionali, come i paesi scandinavi. Diversamente, la vedo nera, e ogni grido di allarme, per quanto giustificato e condiviso, finirà nel dimenticatoio delle buone intenzioni.
di Marco Lepore
Fonte: http://www.lanuovabq.it

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