La Francia è sempre stata centralista per tradizione. Più ancora lo è oggi, dopo le iniziative del governo socialista Hollande-Ayrault prima e Hollande-Valls, dopo le elezioni amministrative del marzo scorso.

Il Francia la sussidiarietà è malata




La Francia è sempre stata centralista per tradizione. Più ancora lo è oggi, dopo le iniziative del governo socialista Hollande-Ayrault prima e Hollande-Valls, dopo le elezioni amministrative del marzo scorso. L’azione dell’esecutivo si è distinta, nell’ultimo biennio, nello scavalcare le proprie competenze e rinforzare la prassi statalista, specialmente negli ambiti dell’economia e dell’educazione giovanile.

Ne è seguito un periodo di crisi acuta, che perdura tutt’oggi, con l’aumento inarrestabile del tasso di disoccupazione e con il tentativo di decomporre l’istituto familiare. Tutto questo ha originato un vasto movimento popolare antilaicista, non solo d’estrazione cattolica, che ha contrastato le riforme del governo, scendendo nelle piazze e manifestando pubblicamente il dissenso.

Però nemmeno l’ultimo insuccesso elettorale del Partito socialista francese, in minoranza anche al Parlamento europeo, ha fatto deflettere Hollande dalle sue convinzioni politiche antisociali e fallimentari. Il 18 giugno prossimo, infatti, il Presidente della Repubblica presenterà al Consiglio dei ministri un progetto per il taglio del numero delle regioni metropolitane, che potrebbero passare dalle attuali 22 a 14. Si tratterebbe, cioè, di una fusione regionale sburocratizzante, per risparmiare una ventina di miliardi di euro. Così, almeno, ipotizza Hollande, assieme ai suoi ministri.

L’obiettivo della riforma territoriale, perseguito con un certo criterio, potrebbe essere più che opportuno: semplificazione amministrativa, risanamento del debito pubblico, riduzione degli sprechi. Non solo, ma il premier Manuel Valls ha parlato (già in aprile) di una «décentralisation» – «decentralizzazione» – del potere e delle competenze, che sembrerebbe contrastare il centralismo, a favore della sussidiarietà. Dove per ‘sussidiarietà’, a livello politico europeo, s’intende la ridistribuzione delle competenze e delle capacità decisionali e legislative sulle amministrazioni locali. C’è anche un ‘principio di sussidiarietà’, riferito alla dottrina sociale della Chiesa (Dsc), in base al quale «tutte le società di ordine superiore devono porsi in atteggiamento di aiuto («subsidium») – quindi di sostegno, promozione, sviluppo – rispetto alle minori» (Compendio della Dsc, n. 186).

In realtà, più che di una riforma, quella del governo si potrebbe paragonare ad una rivoluzione, attuata con «brutalità», come affermava Claudy Lebreton, presidente dell’Associazione dei dipartimenti di Francia (Adf), a Le Parisien (del 08/04/2014). Lebreton – pure lui membro del Partito socialista, da cui è partita l’iniziativa – si era detto «esterrefatto» dalla proposta Hollande-Valls, se non altro perché l’Adf non è stata nemmeno interpellata per un parere.

Ancora da sinistra, poi, giunge l’ennesima tra le molte critiche: Christian Favier, senatore comunista, parla di «condanna a morte della decentralizzazione», sul sito Fronte de gauche (Fronte di sinistra) della Val-de-Marne. Valls – spiega Favier – si è, in concreto, ispirato al piano territoriale «millefoglie» di Nicolas Sarkozy, per l’abolizione dei dipartimenti. Continuando la politica sarkozysta, Valls ha annunciato «la riduzione degli stanziamenti ai governi locali di dieci miliardi di euro, l’eliminazione della clausola di competenza generale per i dipartimenti e le regioni, […] il raggruppamento forzato delle regioni e, infine, la soppressione di tutti i dipartimenti nel 2021».

Il premier sarebbe «ossessionato dalle aspettative degli imprenditori e dai mercati finanziari», a scapito «della democrazia e dei servizi pubblici locali». Secondo Christian Favier, Valls starebbe attuando una «ricentralizzazione tecnocratica», cancellando «in un solo colpo trent’anni di decentralizzazione». Insomma, il governo si appresterebbe a rafforzare il centralismo, fingendo di sburocratizzare e togliendo danari alle amministrazioni locali.

Di parere simile è Jean Spiri, dell’Unione per un movimento popolare (Ump, centrodestra) e vice sindaco di Courbevoie, che non è per nulla convinto del risparmio di danaro a seguito della riforma territoriale (su Le Figaro Vox, 03/06/2014). Ma la questione più grave – secondo Spiri – è l’insistere sull’«idea inconcludente» che i francesi hanno «della decentralizzazione», che oggi è «datata e inefficace». Lo Stato – scrive – «delega i politici, ma non permette alle comunità, se non assai parzialmente, di condurre delle autentiche azioni differenziate, sui territori»: e «sono proprio queste politiche pubbliche che consentirebbero di ridurre le disuguaglianze». Politiche, peraltro, ben note alla cittadinanza, che vorrebbe suscitare un nuovo dinamismo politico.

Spiri si lamenta per l’assenza «di un’autentica autonomia delle politiche» regionali, in nome «di una visione congelata dell’uguaglianza giacobina». Ovvero, si vogliono eliminare i «punti di contatto tra le realtà vissute e le astrazioni politiche», come afferma Pierre Rosanvallon [sociologo e storico francese, citato da Spiri, ndr]. L’esecutivo Hollande-Valls, dunque, concepirebbe lo Stato come «l’iniziatore di tutte le politiche pubbliche», ai danni della «sussidiarietà», che è nel «cuore del dibattito sulla nostra Repubblica [francese]», anche relativamente all’Europa. Lo Stato – osserva Spiri – dovrebbe limitarsi ad essere «l’esaminatore, il giudice» e, inoltre, l’istituzione deputata ai «mezzi di correzione, al fine di garantire una reale parità tra i nostri concittadini».

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