Santa Matilde e le tre Avemarie




Sempre più raramente oggi nell’immaginario comune collettivo la Germania viene associata al cattolicesimo: tra il presente segnato dall’apostasia dilagante in cui la Chiesa si trova ad essere una minoranza nella minoranza e l’ombra passata di Lutero – con tutto quello che ha rappresentato, teologicamente e culturalmente – costantemente all’orizzonte, il fatto che invece un tempo da quelle parti si vivesse sul serio di Eucarestia e Devozione mariana appare ormai come una fiaba leggendaria per animi ingenui e sempliciotti. Invece questo tempo c’è stato sul serio, ad esempio nel Medioevo, dove, nel XIII secolo, troviamo figure di santità notevole come la monaca benedettina Santa Matilde di Hackeborn (1240-1298), a cui – per dirne una – pare che si sia ispirato nientemeno che Dante quando nel Purgatorio canta le glorie della poesia dell’amore divino. Matilde al tempo era infatti nota soprattutto per le sue straordinarie doti canore e per essere l’esigente direttrice del coro del suo monastero, a Hefta, in Sassonia, dove la sorella maggiore Gertrude era tra l’altro badessa. Tempi in cui avere figlie consacrate nel chiostro era visto come una benedizione, un onore e un vanto per tutta la famiglia, ma non era di questo che volevamo parlare. Santa Matilde in effetti successivamente è diventata famosa anche per altri aspetti della sua vita straordinaria, non ultimo quello mistico, condensato in una delle opere capitali dello spirito della Cristianità medievale mitteleuropea – il Liber Gratiae specialis (“Libro della Grazia speciale”) – e in una devozione mariana, quella della recita delle tre Ave Maria quotidiane in onore della Santissima Trinità. E’ il caso d’intendersi qui. Oggi le devozioni antiche, in generale, non godono di buona stima, persino in ambienti insospettabili. La tendenza, in parte naturalmente di per sé giusta e comprensibile, è quella di rimettere al centro della meditazione e della pratica del popolo di Dio il nucleo fondante e necessario della Fede: essenzialmente la Messa, i sacramenti, le principali preghiere del buon cristiano, il digiuno e la penitenza. Tutto il resto non assume la stessa importanza, si dice, e quindi si tende ad emarginarlo, se non a eliminarlo del tutto. Una reazione eccessiva a un tempo o a uno stile religioso in cui gli aspetti secondari forse prevalevano sui Comandamenti e la vita di Grazia, chissà. Non staremo qui a sociologizzare, adesso. Però è strabiliante considerare che cosa è riuscita a generare questa apparente ‘devozione come un’altra’ nella storia della Chiesa. Anzitutto va detto che l’origine della devozione risale proprio a Maria Santissima che apparendo alla Santa – angosciata per le tentazioni che avrebbe avuto nell’ora della morte – la confortò dolcemente dicendo che non avrebbe avuto nulla da temere ed Ella l’avrebbe assistita in quel momento di passaggio con tutte le Grazie necessarie a patto che la monaca l’avesse onorata quotidianamente – per l’appunto – con la recita di tre Ave: la prima per il potere straordinario di mediatrice concessole dall’Eterno Padre, la seconda per il dono della sapienza superiore a quello di tutti gli angeli e di tutti i santi concessole dal Figlio, la terza per l’amore misericordioso concessole dallo Spirito Santo.

Voi direte: vabbè, visioni astratte di mistici, vai a capire fino a dove si trova la verità. Al contrario: la cosa venne presa talmente sul serio che venne accolta e benedetta da fior di Pontefici come Leone XIII (che consigliò di recitare le tre orazioni ordinariamente al termine di tutte le Messe), San Pio X, Benedetto XV, San Giovanni XXIII, il Beato Paolo VI. Non basta. Alla devozione furono tenacemente legati Santi di prima grandezza come Alfonso Maria de’ Liguori, il Curato d’Ars, Giovanni Bosco, Gemma Galgani e Pio da Pietrelcina che contribuirono a conservarla e a diffonderla presso i giovani che istruirono così come presso le numerose anime che diressero. Vi viene ancora da ridere? Ora forse è un po’ più difficile, vero? Certo, l’apostolato delle tre Ave Maria non per questo diventa l’undicesimo comandamento o la nuova beatitudine evangelica ma la storia affascinante di questa vicenda – partita da un lontano monastero della fredda e buia Sassonia secoli e secoli fa – ci dice che davvero le vie di Dio non sono le nostre vie e a volte, come dice il Salmo, si burla proprio dei sapienti, o supposti tali. Forse il peccato grande della nostra epoca, soprattutto in Mitteleuropa, ma non solo, è proprio quello di reputarci sempre e comunque migliori di chi ci ha preceduto, anche nella trasmissione della fede, come se da chi è venuto prima non ci fosse nulla, o quasi, da raccogliere. Un peccato di orgoglio che porta a guardare ai tempi passati con aria di supponenza e sufficienza, il sorrisetto strafottente di chi la sa lunga, e non ha bisogno di maestri. Poi, alla fine, uno scopre storie del genere e qualche domandina se la fa. Nella fattispecie: può essere che così tanti Papi e Santi si siano fatti tanto impressionare da una robetta del genere? E perché mai? Non è che forse ci siamo sbagliati noi a bollare come inutile tutto quello che non ci appare pienamente in sintonia con la mentalità moderna? Continuiamo a leggere libri e libroni su questo e quest’altro tipo di spiritualità e teologia e poi non ci rendiamo conto che in quel piccolo momento di raccoglimento mariano avveniva una catechesi popolare formidabile: ci veniva ricordato che il nostro Dio è trinitario e che si è incarnato nella storia umana, che il mezzo di questa incarnazione è stata una donna reale, Maria di Nazareth, che avendo concepito il Figlio di Dio è diventata anche Madre nostra, cioè di ognuno di noi, e della Chiesa, che sacramentalmente ci genera alla vita eterna. E il tutto avveniva in tre-minuti-tre: beh, dottrinalmente cattolicesimo puro al suo massimo, ragazzi, cattolicesimo.   cura e dirige

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