Il monaco – un certo tipo di monaco – non può farsi mancare nulla, perché sa di avere avuto tutto da Dio. Questo monaco vuole ridare tutto a Dio, dopo che ha compreso che Dio è il Tutto. San Benedetto da Norcia nella memoria liturgica.

San Benedetto: edificare la città di Dio prima della fine dei tempi




I monasteri sono tutt’altro che frugali. Sono imponenti. Hanno la forma di cittadelle abbarbicate ai monti. Chiostri ordinati. Stanze riccamente intarsiate di affreschi. Biblioteche, farmacie, torrioni, grotte, terrazze, cripte, cortili, pozzi, scalinate, chiese. Il monaco – un certo tipo di monaco – non può farsi mancare nulla, perché sa di avere avuto tutto da Dio. Questo monaco vuole ridare tutto a Dio, dopo che ha compreso che Dio è il Tutto.

L’intuizione, poco più di un’intuizione, l’ha avuta Benedetto da Norcia, fattosi monaco attorno all’anno 500 quando già il monachesimo era attivo da due secoli. Centinaia di migliaia di persone, in Palestina e in Egitto, come anche in Italia, avevano da gran tempo lasciato il mondo per l’eremo, avevano trovato la conversione e, dopo essere vissuti nella pace, in pace erano morti. Ma cosa intuì Benedetto di tanto speciale, che gli altri monaci santi non percepirono, o percepirono in modo non decisivo? Il monaco in genere, da sant’Agostino in poi, fugge dalla città dell’uomo per raggiungere la città di Dio, già in questa vita. E fa bene: il regno di Dio, dice Gesù, non è di questo mondo. Il penitente, cioè, non è mondano.

Ci sono, però, due strade – o due fiumi – che portano alla città di Dio e che corrispondono a due scelte sante: o allontanarsi dalla città dell’uomo, o sostituirla, per edificare la città di Dio prima della fine dei tempi. San Benedetto fu colui che inaugurò la seconda strada e navigò sul secondo fiume.

La peculiare idea benedettina di monachesimo

Non subito, però. Egli dovette «sopportare e superare» tre difetti anticristiani, che sono le «tre tentazioni fondamentali di ogni essere umano», ovvero «la tentazione dell’autoaffermazione e del desiderio di porre se stesso al centro, la tentazione della sensualità» e quella dell’«ira e della vendetta». Così osserva Papa Benedetto XVI all’Udienza generale del 4 aprile 2008. Sembrano cosette da nulla, ma se l’uomo non le vince, ogni illusione di poter guadagnare gli altri a Cristo si traduce in certezza di fallimento. Per questo motivo il futuro fondatore di cenobi e comunità monastiche si guardò bene da iniziative avventate e visse per tre anni in solitudine completa, dentro una grotta ad est di Roma, pervenendo comunque a perfezione in breve tempo. Non comprese altrettanto rapidamente la peculiarità della sua vocazione, poiché fondò i primi monasteri nei pressi di Subiaco, lontano dai centri abitati, secondo la prassi dell’epoca. I Padri del deserto egiziano, ad esempio, fuggivano dalle città e si rifugiavano presso zone impervie, difficilmente accessibili, sia che scegliessero la vita solitaria (eremiti), sia che si riunissero in comunità (cenobiti).

Benedetto, invece, dopo l’esperienza del Subiaco, ebbe un’illuminazione. Si trasferì a sud, sul Monte Cassio (Montecassino), certamente in luogo appartato, ma non impervio, tanto che il primo modesto cenobio era visibile e raggiungibile dagli abitanti della vallata. Potrebbe sembrare una decisione che non avrebbe cambiato granché. E, invece, cambiò tutto. Lo spiega lo stesso Joseph Ratzinger nell’Udienza: «la vita monastica nel nascondimento ha una sua ragion d’essere, ma un monastero ha anche una sua finalità pubblica nella vita della Chiesa e della società, deve dare visibilità alla fede come forza di vita». Il progetto benedettino, difatti, prevedeva due momenti nella vita quotidiana del monaco. La Regola di san Benedetto mette a fondamento dell’attività del penitente la preghiera. Mai e per nessuna ragione il monaco avrebbe dovuto allontanarsi dall’orazione, prevista ad orari stabiliti, compresa la notte. Eppure, aggiunge il santo, la contemplazione ha un senso solo se si traduce in azione, in fatti, in opere.

È difficile dichiarare con certezza che san Benedetto pensasse non solo alla salvezza eterna delle persone, ma pure alla realizzazione concreta della città di Dio sulla terra. In ogni caso fu proprio quel che accadde, nel senso che quella prassi, intenzionalmente o meno, innescò proprio la nascita di una nuova civiltà secolare.

La fondazione dell’Europa cristiana

Attorno e dentro il monastero di Montecassino, come anche in altri monasteri, si riuniscono in breve non solo monaci, ma anche molti laici secolari, uomini e donne, proprio per via della facilità di vedere e raggiungere le strutture. E cosa fanno questi laici? Coltivano i terreni abbandonati, imparano i mestieri, vengono evangelizzati dai monaci, sviluppano un sistema economico, ricevono un’istruzione, sono curati dai farmacisti. Non che la Regola benedettina prevedesse tutto questo, né si trovano indicazioni circa una qualche attività intellettuale, ma tutto si articolò spontaneamente, al di là forse anche delle intenzioni di san Benedetto. Egli, in fondo, si era servito di materiale già esistente: c’erano altre Regole e sussisteva l’attività comune dei monaci descritta nelle vite dei santi.

Forse fu del tutto conseguente che, nel mezzo della guerra tra Bizantini e Ostrogoti (535-553), la gente vedesse nel monastero un centro religioso e culturale, che potesse arginare la barbarie diffusa. In un mondo fratturato tra il dissolvimento degli Imperi romani d’Oriente e d’Occidente e dove l’arianesimo spopolava tra Goti, Vandali e Longobardi, il monastero doveva apparire una realtà completamente nuova, se non altro per la forza spirituale che riusciva ad emanare. Il monachesimo si diffuse per tutta l’Europa, anche per merito di Carlo Magno, che incaricò Benedetto d’Aniane di unificare i monasteri proprio sul modello della Regola benedettina. Non va poi dimenticata la dimensione unificante della liturgia, per cui le popolazioni della latinitas e della germanitas trovarono progressivamente, nell’unità del culto, anche l’unità civile e sociale. E all’unità liturgica si aggiunse l’unità culturale, in seguito alle attività legate alla trascrizione e alla diffusione dei codici. Le abbazie divennero importanti centri di cultura, dotate di scriptorium e di biblioteca: molto dello scibile patristico e classico greco-romano venne copiato, studiato e tramandato.

Quanto all’Occidente, non vi fu elemento storico più unificante del monachesimo cristiano medievale, al punto da rintracciare in esso la causa maggiore della stessa edificazione dell’Europa e, più in generale, di quella comunemente chiamata civiltà cristiana o cristianità.

Cluniacensi, cistercensi e camaldolesi

San Benedetto da Norcia fu il padre spirituale di molti santi abati, che a lui s’ispirarono per una riforma della Chiesa nel senso di un recupero del fervore e dell’ascesi. Nel VII secolo san Colombano fonda monasteri nella Francia meridionale e san Benedetto Biscop introduce il monachesimo in Inghilterra. Nell’VIII secolo è la volta della Germania, con l’edificazione dell’abbazia di Fulda, da parte di san Bonifacio. Lo stesso Carlo Magno raccomanda l’istruzione giovanile dei cristiani presso le abbazie, tanto che ordina a tutti i monasteri dell’Impero, nell’Admonitio generalis del 789, d’istituire scuole per i figli dei cristiani.

Dopo un periodo di crisi, il monachesimo benedettino risorge nel X secolo con la riforma cluniacense. Il movimento monastico di Cluny produsse più di mille monasteri in Francia e qualche centinaio nel resto d’Europa. Nuove figure di grandi santi operarono a favore dell’evangelizzazione e dell’istruzione dei popoli europei. Nel 1098 nascono i Cistercensi, dopo la fondazione di un monastero a Cîteaux. Sempre nell’XI secolo è la volta dei Camaldolesi, a seguito della fondazione dell’eremo di Camaldoli, nel Casentino, da parte di san Romualdo. Solo il fatto che il Casentino diede i natali a Guido monaco, inventore delle note musicali, dà l’idea di quanto in profondità abbia inciso il monachesimo a favore della cultura di una civiltà.

Il monachesimo e l’insegnamento sociale di Cristo

Sembra allora che il monachesimo abbia contribuito, in modo determinante, alla diffusione e alla realizzazione dell’aspetto sociale dell’insegnamento di Gesù Cristo, creando almeno le condizioni per la successiva organizzazione della politica, dell’economia, della tecnica e della cultura in Occidente. Sono queste abbazie, in fondo, le realtà dove s’impose e si tramandò la dottrina sociale della Chiesa più che altrove, nel senso di una costruzione della città di Dio e in quello della signoria di Gesù Cristo, anche sulle realtà materiali.

Ciò che venne spontaneo nel Medioevo oggi non è riproponibile, se non a prezzo di grandi sforzi di pochi. È tuttavia il monachesimo la prova più evidente che non è possibile uscire da un’epoca di crisi, se non curando l’anima, rimettendo Dio al centro, edificando la città di Dio giorno per giorno e fuggendo dal mondo su alture elevate e sante.

5 risposte a “San Benedetto: edificare la città di Dio prima della fine dei tempi”

  1. Anna ha detto:

    Si, dopo aver conosciuto la comunità cistercense dell’Abbazia di Fiastra ho riscoperto l’enorme importanza che il fenomeno del monachesimo ha avuto sulla nostra civiltà europea…ho iniziato a leggere libri a fare ricerce su internet al fine di cogliere qualche elemento che mi aiutasse a comprendere quale starda la nostra società esausta e decaduta potesse intravvedere per una possibile ripresa. …e sono arrivata anch’io alla stessa conclusione: non è possibile alcuna ripresa senza prima riallacciare i rapporti con Dio.
    I monaci infondo cercavano luoghi appartari per pregare, per curare la loro anima, per rimettere al centro della loro vita il Signore. Ed è stato così che Dio ha potuto elargire i suoi doni.
    Grazie per l’articolo.

  2. Silvio Brachetta ha detto:

    Grazie Anna per questa sua preziosa condivisione.

  3. Pier Emilio Salvadè ha detto:

    Grazie di cuore, carissimo Silvio, in non tante parole una splendida sintesi del monachesimo benedettino ….In diocesi abbiamo le Benedettine…un’ oasi di frescura orante seppure silente ; dietro la grata pulsa una intensa vita spirituale di donne che pregano, lavorano,offrono la loro vita , la loro vecchiaia,qualche dolore…don pier Emilio grazie !

  4. Silvio Brachetta ha detto:

    Grazie a te don Pier Emilio per le parole di edificazione. Sì, ho conosciuto anch’io le Benedettine “nostrane” e mi hanno fatto un’ottima impressione.

  5. Elisabetta Chiudina-Piaceri ha detto:

    Articolo edificante, grazie!

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