Ricordando Eluana Englaro




Otto anni fa moriva Eluana Englaro. Moriva per disidratazione, come consentito da alcuni giudici su richiesta del padre. Un altro padre, quello di Terri Schiavo, scrisse una lettera a Beppino Englaro prima che ad Eluana fosse applicato il protocollo di morte stabilito dal tribunale, invitandolo a ripensarci, e a non permettere che ad Eluana fosse sottratta l’acqua. Terri aveva subìto un trattamento analogo negli Usa, e l’esperienza dei genitori, che avevano combattuto perché la figlia restasse in vita, era stata terribile.

“Questo tipo di morte è crudele e barbarico. I sostenitori dell’eutanasia Le diranno che far morire di fame e di sete una persona con danni cerebrali non causa dolore. Sono stato testimone di questo tipo di esecuzione e posso dire che è falso. È di gran lunga la morte più dolorosa che un essere umano possa sperimentare. Questa è la ragione per cui accade sempre nella più stretta riservatezza, al riparo di testimoni e cineprese. Se Lei ha intenzione di fare questo a Sua figlia, Le consiglio di prepararsi a come soffrirà. Verrà ridotta a pelle e ossa. Gli occhi usciranno dalle orbite. I suoi denti diventeranno sporgenti in un modo abnorme e i suoi zigomi si ingrandiranno. Non c’è bisogno che Le dica altro, sua figlia soffrirà in un modo incredibile. Mia figlia sembrava un detenuto di quelli che si vedono nei documentari sui campi di sterminio nazisti. Negli ultimissimi giorni della sua vita, quando chiesi che i media potessero essere testimoni della sua morte, mi fu negato. Io non voglio che qualcun altro muoia in questo modo”.

Per salvare la vita ad Eluana si scatenò una enorme mobilitazione, una battaglia alta e nobile nel paese e in Parlamento, dove si arrivò al conflitto istituzionale tra il presidente del consiglio, Berlusconi, e il presidente della repubblica, Napolitano. Non riuscimmo a salvarle la vita, ma abbiamo impedito che altre persone morissero come lei: in questi otto anni non ci sono stati più altri casi Englaro, perché la sua morte solitaria, lontana dalla famiglia e dalle suore che per quasi vent’anni se ne erano prese cura, ha gelato l’opinione pubblica, e ha spento le fanfare eutanasiche. Non è più accaduto, da allora, che lo stato, attraverso la magistratura, consentisse di dare la morte a una persona.

Dopo tanti anni, però, è tornato in parlamento il tema del testamento biologico, e alla Camera stiamo discutendo una legge sul fine vita con forti rischi eutanasici. Una legge che permette di far morire un essere umano per disidratazione e denutrizione. L’ha imposta il Pd – che alla Camera ha la maggioranza senza bisogno di alleanze – insieme ai 5stelle, e la sta portando avanti a ritmi serrati, minacciando anche le sedute notturne pur di arrivare in fretta in aula. Di nuovo si propone la morte per fame e per sete come vessillo dell’autodeterminazione, come se si trattasse di un irrinunciabile diritto. Ma se tutti noi siamo liberi di farci del male, di suicidarci, di rovinarci la salute e la vita, la nostra libertà non si traduce automaticamente in norme che legittimano e consentono questi comportamenti: non tutte le libertà, come non tutti i nostri desideri, si possono declinare in diritti.

Ricordando Eluana, la parola diritto ci sembra tragicamente fuori luogo, e alla mente ci torna soltanto il volto sorridente di una ragazza che è morta sola.

di Eugenia Roccella

Fonte: https://www.loccidentale.it

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