Riconduzione all’Uno




Nell’omelia per la S. Messa per gli universitari del 7 novembre 2012, l’Arcivescovo Crepaldi aveva accennato alla «reductio ad unum» – «riduzione» o «riconduzione all’Uno» – cioè a quel procedimento logico e metafisico che, esaminati gli effetti, risale alle cause che li hanno prodotti.

La «riduzione» (o anche «induzione») è l’opposto logico della «deduzione», che invece procede da postulati generali o universali e giunge a conclusioni particolari, ovvero considera le cause e ne deduce gli effetti. Se ad esempio, per principio generale, dico che tutti gli uomini sono mortali, che Paolo è un uomo e, da queste premesse, concludo che Paolo è mortale, ho espresso un sillogismo deduttivo (deduzione, deductio), perché da una considerazione generale sulla mortalità ho dedotto qualcosa circa l’individuo particolare Paolo. Ma se dico che Tizio e Caio sono mortali e che, inoltre, sono persone alte e concludo che tutte le persone alte sono mortali, evidentemente ho tratto un giudizio generale da realtà particolari e, dunque, ho espresso un sillogismo riduttivo (riduzione, reductio).

Deduzione, induzione, sillogismo, intuizione: processi logici e metalogici, sui quali si fonda ogni scienza speculativa, naturale o soprannaturale. Li introdusse estesamente Aristotele di Stagira e li descrisse con cura nei sei tomi di logica assemblati in un unico “Organon” da Andronico di Rodi, seguace dello Stagirita. Ma l’autentico successo di Aristotele fu decretato dal pensiero teologico e filosofico basso-scolastico medievale (XIII secolo). Attinsero al Filosofo – così Aristotele era abitualmente citato – i domenicani e, soprattutto, san Tommaso d’Aquino. Ma anche i francescani: specialmente san Bonaventura da Bagnoregio apprezzò l’opera dello Stagirita (anche se critico delle conclusioni filosofiche dei pensatori pagani) e ne attinse diffusamente categorie e principi. E prima ancora, Aristotele fu introdotto, studiato e commentato dalla teoresi ebraica (ad esempio Mosè Maimonide) ed islamica (Averroè ad esempio, o Avicenna).

Eppure il Medioevo cristiano elaborò la sintesi più credibile ed efficace tra logica, metafisica e teologia – tutti concetti, tra l’altro, riconducibili all’aristotelismo – che innescò quasi spontaneamente la scoperta dell’indagine fisico-matematica della natura. I medievali compresero che il respiro della vera conoscenza, non solo deve contemplare l’unica fonte gnoseologica in Dio creatore, ma si realizza mediante due movimenti del “polmone” speculativo. È possibile “espirare” – emettere l’aria – mediante intuizione e successiva deduzione. In tal modo, in Dio, s’intuiscono i principi (le cause) e se ne deducono gli effetti. Dall’universale delle forme si deduce il particolare del composto forma-materia. Dalla sintesi deduttiva “a priori” la creatura imita il Creatore e spiega il molteplice dall’Uno. Ma questo movimento non è sufficiente alla conoscenza, perché l’uomo, ferito nella sua natura dal peccato originale, può commettere degli errori. Allora, umilmente, la mente deve attingere alle creature stesse con minuziosa analisi e ripercorrere la via a ritroso, “a posteriori”: la mente, in questo modo, “inspira” la luce del sapere e «riduce», «riconduce» tutte le cose a Dio, all’Uno, al sommo Bene. Così la scienza diventa «sapida scientia», scienza saporosa e gustosa, che si serve in umiltà delle intuizioni, ma le mette alla prova della realtà stessa che s’impone, che non è fabbricata ex novo come ritennero falsamente gl’idealisti.

Così, tutta la teologia di san Tommaso da Dio si muove verso l’uomo e la creatura, per poi tornare circolarmente verso Dio, riconducendo tutto a Lui. L’Aquinate analizza la realtà fisica e la riconosce contingente, ordinata, in movimento, concatenata di cause ed effetti, non messa a casaccio, ma creata per un fine. E da quest’analisi dimostra la ragionevolezza di concepire un Creatore necessario, ordinatore, motore immobile, causa prima e fine di tutta la realtà visibile ed invisibile, naturale e soprannaturale.

Il francescano san Bonaventura, allo stesso modo di san Tommaso, espira ed inspira con il polmone speculativo e comprende che tutte le forme del sapere umano sono da «ridurre» o «ricondurre» alla teologia (nell’opera “De reductione artium ad theologiam”) e che le stesse facoltà umane del volere e del ragionare sono da «ridurre» o «ricondurre» all’essenza dell’anima.

E così pure la struttura della società medievale è fortemente gerarchizzata, perché riconosce e si sottomette alla stessa gerarchia divina. Per san Francesco d’Assisi come per Dante Alighieri tutto procede da Dio, tutto è ordinabile e ordinato in Dio, tutto ha un senso profondo, niente è creato per la dissoluzione e per la morte. Si riconosce al cosmo una propria autonomia, ma non la separazione o addirittura la contrapposizione, in senso moderno, tra l’ambito della fede e quello della ragione.

Che poi questo pensiero abbia condotto al futuro successo delle scienze sperimentali, si riscontra nella metodologia di Galileo Galilei ed Isaac Newton, che fondarono gli studi sul metodo aristotelico deduttivo-induttivo.

Scrive Isaac Newton nell’Ottica (questione 31): «Come in matematica, così nella filosofia naturale lo studio delle cose difficili, mediante il metodo analitico [“reductio”, ndr], dovrebbe sempre precedere il metodo sintetico [“deductio”, ndr]. Questa analisi consiste nel fare esperimenti e osservazioni e trarre da questi mediante l’induzione, conclusioni generali, non ammettendo contro di esse obiezioni, salvo che siano derivate da esperimenti o da altre verità certe. […] Mediante questo metodo analitico possiamo procedere dalle cose composte alle cose semplici, dai movimenti alle forze che li producono e in generale dagli effetti alle loro cause, e dalle cause particolari a quelle più generali, fino a giungere alle cause generalissime ». A Dio, appunto.

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