A sud di Ypres, la notte di Natale del 1914, ci fu una tregua, non concordata dai comandi militari, ma dichiarata dai soldati inglesi, francesi e tedeschi. Era la benefica onda lunga della cristianità europea.

Quel Santo Natale del 1914 tra le trincee nemiche




Belgio, settore settentrionale del fronte occidentale, trincee delle Fiandre, sud di Ypres, 25 dicembre 1914: è il primo Natale della prima guerra mondiale. Nelle trincee contrapposte si affrontano tedeschi da una parte e francesi e inglesi dall’altra. Sono passati cinque mesi dall’inizio della guerra. I combattimenti si sono rapidamente trasformati in una logorante guerra di posizione, ma molti sperano ancora che il conflitto si possa risolvere in pochi mesi […] Intorno a Ypres si combattè ininterrottamente per tutti i cinque anni della prima guerra mondiale […] Nel pieno di questo orrore, nella notte di Natale del 1914 avvenne qualcosa di impensabile: ci fu una tregua. Non fu ordinata per un accordo tra i comandi dei due schieramenti: fu una tregua spontanea dichiarata dai soldati, francesi, inglesi e tedeschi. La notte di Natale qualcuno nelle trincee si mise a cantare canti della tradizione natalizia, e i soldati scoprirono che, pur con parole diverse, si trattava delle stesse melodie. Le luci delle candele furono poste sui bordi delle trincee. Qualcun altro propose di smettere di sparare. Sorprendentemente la proposta fu accettata, e i soldati sui due fronti uscirono allo scoperto e si incontrarono nella ‘terra di nessuno’. Si parlarono, si strinsero la mano, si abbracciarono, fu celebrata una Messa. La mattina di Natale seppellirono i caduti delle due parti e ci fu una funzione funebre” (Tratto da Alberto Del Bono (a cura di) La tregua di Natale. Lettere dal fronte, Lindau, Torino 2014, pagg. 11-12).

 

Da nemici a fratelli

Raramente la storia dell’umanità ha conosciuto esperienze del genere eppure l’avvincente narrazione di uno dei libri usciti quest’anno nel centenario della tregua di Natale durante la Grande Guerra coglie in pieno nel segno senza nulla concedere alla fantasia: davvero, nel bel mezzo della spaventosa Prima Guerra Mondiale, il giorno di Natale tedeschi e inglesi lasciarono le loro rispettive trincee per stringersi le mano, abbracciarsi e persino pregare insieme. L’evento – già diventato oggetto di film di successo, come Joyeux Noel del 2005, e persino di spot pubblicitari, come quello recentissimo della catena di supermercati inglesi Salisbury’s – merita tuttavia di essere rievocato proprio e anzitutto per il grandioso senso religioso, oggi dimenticato, che l’Europa intera ancora nel 1914 manifestava a ogni latitudine.

 

Figli di uno stesso Padre

In effetti quella che passò alla storia come la ‘Tregua di Natale’ fu possibile solo perché i soldati delle varie Nazioni che si fronteggiavano erano tutti cristiani e si riconoscevano sinceramente figli di una religione e di un Padre comune. Entrambi celebravano le stesse festività natalizie, cantando le stesse canzoni della tradizione e gli stessi inni spirituali. Si dice che tutto partì da un’improvvisata “Heilige Nacht, Stille Nacht” che un soldato tedesco iniziò a canticchiare nel silenzio della notte tra lo stupore generale dei commilitoni. Ma la sorpresa ancora maggiore fu che appena questi terminò la prima strofa, dai nemici inglesi un altro soldato attaccò immediatamente la seconda, nella lingua di Sua Maestà. Così, uno dopo l’altro, tutti gli altri si unirono a seguire tra l’imbarazzo evidente dei rispettivi supremi comandi militari. Se si vuole, fu una manifestazione spontanea, ‘dal basso’, dell’esistenza condivisa delle millenarie radici cristiane. Per quanto diversi politicamente o socialmente fossero (e, talora, persino confessionalmente) i protagonisti della Grande Tregua si riconoscevano tutti indistintamente come cristiani e solo questo rese possibile una decisione che oggi – in un contesto culturale e geopolitico radicalmente mutato – si stenterebbe a credere possibile: il fatto cioè che il primato di Gesù Cristo sia superiore a quello della ragion di Stato, politica, o partitica, persino durante una guerra nazionale.

 

Il comune spirito della Cristianità 

Non fu insomma una scelta ideologicamente pacifista, come la intenderemmo noi oggi, evidentemente. La tregua era frutto di ciò che rimaneva dell’antica Cristianità e che di lì a poco – con l’avvento dei nuovi totalitarismi – sarebbe scomparsa per sempre. Alcune lettere dei soldati che furono testimoni di quell’avvenimento storico lo indicano piuttosto chiaramente. Un sergente inglese, ad esempio, ne riferisce in questi termini: “E’ stato davvero un Natale ideale, e lo spirito di pace e buona volontà era stridente, in confronto con l’odio e la morte dei mesi precedenti. Uno apprezza davvero in una nuove luce lo spirito della cristianità. Per questo è stato certamente meraviglioso che un simile cambiamento nel comportamento dei due eserciti contraposti possa essere stato generato da un evento che è accaduto una notte di duemila anni fa” (La tregua di Natale. Lettere dal fronte, op. cit., pagg. 17-18).

 

L’insensatezza totale della guerra

Ancora, negli stessi giorni si assistette a degli episodi di autentica pietà sui caduti – da ambo le parti – che nella Seconda Guerra Mondiale (solo qualche decennio più tardi) saranno completamente impensabili poiché nel frattempo – per citare uno storico celebre dell’età contemporanea, George Mosse – sarà invece intervenuta “la nazionalizzazione delle masse”, l’adozione – cioè – anche da parte del corpo sociale ancora in qualche modo legato al sentire comune e alla tradizione religiosa dei Padri di modelli di pensiero e di comportamento compiutamente ideologici e in ogni caso totalmente immanenti che opereranno una delle più forti accelerazioni del secolarismo a livello popolare dell’epoca recente. Non a caso si dice che un giovane caporale tedesco presente nelle Fiandre che assistette da lontano con disprezzo a questa scena ebbe poi a scrivere nel suo diario (pubblicato anni più tardi con il titolo Mein kampf) seccamente: “Dov’è andato a finire l’onore dei tedeschi?”. Si trattava, naturalmente, di Adolf Hitler. Ma nemmeno lui in quella circostanza potè fare nulla. Anzi, la tregua di Natale, nella sua straordinaria e semplice umanità, rese tra l’altro evidente l’insensatezza totale della guerra che allora si stava combattendo: una guerra che vedeva europei contro altri europei fronteggiarsi senza alcun reale motivo, se non la propaganda faziosa dei propri governi elitari, e che avrebbe costituito a lungo-termine una ferita mortale proprio per l’unità culturale del continente europeo.

 

La profonda umanità perduta

Oggi, a esattamente cento anni di distanza da quei fatti, non possiamo tuttavia celare una certa nostalgia per quel mondo spesso troppo superficiamente disprezzato sui grandi mass-media come se non avesse nulla di buono da offrire. Episodi come questo ci dicono invece che era un mondo di profonda umanità, anzitutto perchè imbevuto pubblicamente delle sue radici religiose, di cui pochi si vergognavano e per cui molti trovavano invece naturale battersi, come i soldati del fronte occidentale sulle Fiandre, mariti e laboriosi padri di famiglia spesso di estrazione perlopiù umile e popolare. Scrivendo una lettera ai propri genitori, un soldato inglese di Exeter testimonierà così il ‘miracolo’ dell’Europa del 1914: “E’ stato il Natale più incredibile che mi sia mai capitato. Eravamo in trincea alla vigilia, e intorno alle 08,30 il fuoco era cessato quasi del tutto. Poi i tedeschi hanno iniziato a urlarci: ‘Buon Natale!’ e a issare sui parapetti delle loro trincee un gran numero di alberi di Natale, addobbati con centinaia di candele. Alcuni dei nostri uomini si sono incontrati con alcuni dei loro a mezza via, e gli ufficiali hanno concordato una tregua fino alla mezzanotte del giorno di Natale. Poi l’hanno prolungata fino alla notte del Boxing Day, e tutti noi siamo usciti là fuori e ci siamo incontrati a metà tra le due linee, scambiandoci piccole cose: bottoni, tabacco e sigarette. Alcuni di loro parlavano inglese. Enormi falò hanno bruciato per tutta la notte, e da entrambe le parti si cantavano canti natalizi. E’ stato magnifico e la vigilia e il giorno di Natale il tempo era splendido, gelido e limpido con la luna e le stelle, di notte” (La tregua di Natale. Lettere dal fronte, op. cit., pagg. 135-136).

 

Il miracolo di una fede sincera

A volte, anche nell’attuale cultura consumista dominante che ci circonda, si è soliti associare il Natale a qualcosa di magico o di meraviglioso che irrompe nella prosaica routine del quotidiano con straordinaria semplicità e ne capovolge la logica: da cristiani, però, crediamo da sempre che il meraviglioso in quanto tale propriamente abbia a che fare solo con l’Incarnazione del Figlio di Dio nella Notte Santa, e non con altro. Dopotutto, se oggi la ‘Tregua di Natale’ del 1914 può essere raccontata anche come una fiaba ai bambini suscitando di continuo stupore e genuina meraviglia (provare per credere), il motivo è che quel miracolo reso possibile grazie ‘agli uomini di buona volontà’ un secolo fa in definitiva nacque proprio ed esclusivamente dalla professione di una fede sincera, quasi come quella dei bambini staremmo per dire, nel Mistero ineguagliato scolpito per sempre nella storia dell’umanità in quella notte di Betlemme.

 

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