Piccoli editori, opere eroiche: in libreria 1250 pagine della Gabrielli sui martiri centro-orientali da non perdere




L’editore è piccolo e poco noto ma l’opera è di quelle grandi, anzi enormi, e non passa inosservata solo a prenderla in mano: ci riferiamo alla gigantesca Testimoni della fede. Esperienze personali e collettive dei cattolici in Europa centro-orientale sotto il regime comunista curata per Gabrielli dal sacerdote polacco Jan Mikrut, docente di storia della Chiesa presso la Pontificia Università Gregoriana e specialista in storia del Cristianesimo orientale moderno e contemporaneo. Milleduecentocinquanta pagine di testimonianze raccolte tra oltre cinquanta autori, di varia estrazione, provenienza e cultura, con resoconti memorabili e quasi tutti inediti sulle vicende delle Chiese d’Oltrecortina dal 1945 al 1989, un universo tanto ampio quanto sommerso e ancora oggi relativamente sconosciuto per il grande pubblico. Il saggio collettaneo è di quelli da non perdere e mettere nella propria biblioteca custodendoli anche con una certa gelosia perché è di fatto la prima volta che uno studioso di mestiere proveniente direttamente da quelle realtà riesca a pubblicare uno studio specifico sulla realtà personale e collettiva del martirio da destinare ai lettori italiani. L’opera infatti è incentrata non solo sulle testimonianze singole di virtù eroiche di questo o quel sacerdote, vescovo o laico, magari già beatificato – o sulla via per esserlo – ma prende in esame a lungo anche quella dimensione per così dire ‘strutturale’ della persecuzione che spesso sfugge nella panoramica complessiva del martirologio rendendo così poco comprensibile il ‘sistema anti-religioso’ nel suo insieme. Occorre invece parlare di sistema concentrazionario e reti di spionaggio, educazione scolastica programmata e cultura statale asservita, di propaganda di regime e di libertà sociali represse per poter comprendere realmente la profondità del male eretto a Stato di potere distinguendo poi tra le singole realtà locali le diverse responsabilità dei vari attori: da una parte più legate al partito, da un’altra più legate al sistema del regime vero e proprio, da un’altra parte ancora equamente divise tra l’uno e l’altro. E’ soprattutto questo che oggi manca ancora nei manuali di storia che vanno per la maggiore: l’individuazione della teoria e della pratica della persecuzione di massa come di un punto-programmatico fondamentale della rivoluzione che va al potere e diventa infine totalitarismo. Da questa prospettiva, appare chiaro che se l’uomo è anzitutto la sua anima, perché è lì che coltiva i suoi pensieri più intimi, le sue credenze più care,  i suoi valori più alti e i suoi ideali, è proprio l’anima la prima cosa che un potere totalitario deve abbattere e distruggere con ogni mezzo.

E’ nota la frase del gerarca nazista Hermann Goering: “Io non ho nessuna coscienza, la mia coscienza è Adolf Hitler!”. Ora, il volume di Mikrut fa vedere che se si toglie Hitler e si mette ad esempio al suo posto il nome del tiranno o del capo del partito di questo o quello Stato le conclusioni sono poi le stesse anche se l’ideologia in questione passa per essere praticamente opposta a quella del Terzo Reich. Ma anche su questo ci sarebbe molto da dire, a cominciare dal fatto che sovietici e nazisti, prima di spartirsi l’Europa, furono ufficialmente alleati all’inizio della Seconda Guerra Mondiale. In realtà chi legge queste testimonianze di sofferenza, alcune con lieto fine, ma molte, moltissime altre purtroppo no, non può che tornare con la mente alla dichiarazione – ugualmente dimenticata – di Aleksandr Solzenicyn su Pitesti. Quando gli chiesero quale fosse a suo avviso il più grande atto di barbarie del Novecento, il Premio Nobel infatti non rispose Auschwitz, come i giornalisti che avevano fatto la domanda si aspettavano. No, rispose che secondo lui nessuna barbarie, né prima, né dopo, aveva toccato quella di Pitesti. Sarebbe interessante adesso vedere quanti, anche tra i cattolici nostrani mediamente acculturati, conoscano o sappiano dire che cosa è successo in questa località remota della Romania appena pochi decenni fa. Probabilmente – tragicamente – farebbero spallucce. Che lì, come in nessun altro posto, si sia ‘inventato’ un intero sistema di lavaggio del cervello, blasfemia e violenze sessuali indicibili fatte apposta per i credenti molti, moltissimi, ancora oggi lo ignorano. Sembra impossibile che davvero i sacerdoti lì rinchiusi fossero costretti a prendere parte alla blasfemia organizzata al massimo livello con la parodia studiata della Santa Messa, perfino nelle preghiere e nei testi liturgici, in cui il nome dei Santi e della Trinità era stato sostituito da bestemmie a ripetizione, imprecazioni a raffica e invocazioni esplicite a satana. Certamente i credenti rifiutavano: andando così incontro a violenze e sevizie bestiali di massa, in cui altri credenti venivano costretti a essere carnefici dei propri fratelli. Alcuni così impazzirono, altri non trovarono scampo nemmeno negli ospedali psichiatrici, altri ancora arrivarono a perdere ogni coscienza di sé stessi e del mondo circostante, compresi dei giovani, giovanissimi seminaristi, poco più che ragazzini. Chi riuscì – non si sa come – a salvarsi dichiarò che sì, satana esisteva eccome e la sua casa doveva essere proprio a Pitesti perché nessuna rappresentazione letteraria dell’inferno poteva mai eguagliare la spaventosissima realtà sanguinaria che egli stesso aveva visto coi suoi occhi in quel posto di perversione abissale e violenza reiterata, pensata e organizzata fin nei dettagli, come in uno studio para-scientifico. E’ per questo che certi libri non dovrebbero mancare mai nelle nostre biblioteche: non perché uno debba per forza pensare al male in quanto tale, ma perché solo pensando alla malvagità più efferata di cui può rendersi protagonista un ‘uomo normale’ (nessuno dei carnefici di Pitesti aveva studiato da serial killer, dopotutto) si può capire, più di tanti discorsi a effetto, come e quanto “senza Dio, tutto diventa possibile”.

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