Alcune osservazioni sul Caffè scientifico che si è tenuto al San Marco in preparazione all'evento “Sissa estate 2014”: il rapporto tra alterazioni della sfera percettiva e mondo dell'arte.

Perplessità sul Caffé scientifico




Stiamo forse tornando, sia pure in modo edulcorato, alle feroci teorie del Lombroso sul determinismo organico di ogni manifestazione della vita umana? Teorie che nella semplice conformazione del cranio erano in grado di individuare una personalità assassina, isterica o psicotica? Carattere, psicologia, anima, spirito: tutte categorie riducibili, per il celebre criminologo, all’ambito fisiologico, arte compresa.

Un’eco di questa impostazione specchio di un positivismo molto acceso, mi è sembrata levarsi la scorsa settimana dal tema scelto e discusso nel corso del Caffè scientifico che si è tenuto al San Marco in preparazione all’evento “Sissa estate 2014”: il rapporto tra alterazioni della sfera percettiva e mondo dell’arte. In sintesi: tutte quelle caratteristiche che rendono speciale e veramente unico un capolavoro pittorico deriverebbero, secondo alcuni studi di neurologia e critica dell’arte, da una disfunzione visiva. Un esempio: gli speciali colori di Van Gogh sarebbero il risultato del suo daltonismo. Da qui la strada si apre verso innumerevoli altre diagnosi di oculistica applicate ai più diversi e famosi artisti.

Certamente nessuno nega l’interazione tra corpo e mente nello svolgimento di tutti i processi della vita, compreso quello creativo. Ognuno di noi ha il suo codice genetico e la sua conformazione organica, come le sue disfunzioni e i suoi squilibri. Questi si ripercuotono sulla sfera psichica ed emotiva: tutti abbiamo provato le devastanti conseguenze di una feroce emicrania o di un mal di denti sulla nostra esistenza quotidiana. I mali fisici, di qualsiasi entità e gravità, ci trasformano e ci sottraggono, sia pure momentaneamente, molte di quelle energie e capacità intellettuali — nonché, nei momenti più dolorosi, le nostre buone disposizioni spirituali — che in buona salute dimostriamo di possedere.

Eppure, proprio in queste situazioni in cui il corpo ci sembra padrone assoluto della nostra vita, possiamo sperimentare un “di più” non misurabile materialmente con la ragione o l’esperimento. Avvertiamo cioè, anche quando patiamo fisicamente, che in noi abita una capacità di andare oltre la sofferenza, di riconquistare il dominio del nostro essere, addirittura di avere delle percezioni dilatate e illuminanti delle cose. Il legame tra conoscenza e dolore è del resto testimoniato sin dagli albori della cultura occidentale. Questo di “più”, che ci porta oltre ogni barriera corporea e materiale, è anche, a mio avviso, l’unica fonte di origine di un autentico processo creativo.

Anche la musica si avvale di strumenti materiali, ma non per questo quando ascoltiamo un bellissimo concerto pensiamo che siano gli strumenti ad avere “talento”. Sono il creatore e anche l’esecutore, con le loro facoltà spirituali — sempre inafferrabili e irriducibili a qualsiasi formula matematica —, a determinare il valore di un’opera d’arte.

Il corpo è un medium grandioso e ineludibile, perché attraverso i suoi organi e il suo sistema sensoriale la persona riceve ed elabora tutte le percezioni, interne ed esterne, per trarne poi, attraverso l’esercizio congiunto di ragione e cuore, la propria visione della vita (una visione passibile di continui progressi, aggiustamenti, come anche di regressi e di cadute). L’artista non è tale perché ha delle disfunzioni organiche rispetto a un ipotetico ideale di salute, ma perché nell’intimo del suo essere vive ogni giorno un mistero tutto suo di illuminazioni, scoperte, intuizioni, contemplazioni che vivono nella sua parte più intima e intangibile e che il medium del corpo semplicemente fa passare, per riprendere Aristotele, dalla “potenza” all’“atto”.

Questo mistero è proprio quel “di più” irriducibile a qualsiasi analisi ed evidenza scientifiche. Io lo chiamo “spirito”. È dal suo soffio che nasce la vera creazione artistica — quella che non si limita a stare appiccicata alla realtà più sordida, come oggi va di moda, o addirittura a deturpare il reale fino alla volgarità e alla bestemmia. Che poi Van Gogh fosse anche daltonico è del tutto irrilevante, se mai lo è stato. Si sta cercando di medicalizzare anche l’arte, a quanto sembra. Cosa diventerà la storia dell’arte? Una sequenza di cartelle cliniche? Finirà che il valore di un’opera dipenderà dal numero di magagne e di acciacchi del suo artefice. Miopia, cataratta, daltonismo e via dicendo: tutte ottime credenziali per diventare gli artisti del futuro!

Una risposta a “Perplessità sul Caffé scientifico”

  1. claudia herrath ha detto:

    A qualcuno evidentemente disturba che l’essere umano abbia un’anima.

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