Intervista al genetista Bruno Dallapiccola sulla ricerca inglese che promette di arrivare a creare embrioni senza bisogno dell’ovulo femminile

Perché la voglia di provare a creare esseri umani “senza mamma” è «scientificamente folle»




Presentati giovedì 15 settembre dal Corriere della Sera come un futuro ormai prossimo, gli sviluppi della ricerca della University of Bath assicurerebbero la creazione di embrioni umani senza bisogno dell’ovulo femminile e dunque, teoricamente, la possibilità di concepire figli con il patrimonio genetico di due genitori maschi. Attraverso il nuovo procedimento, simile alla partenogenesi (lo sviluppo di un organismo umano a partire da un solo ovocita, senza lo spermatozoo), l’idea sarebbe quella di arrivare a “fecondare” una cellula della pelle con uno spermatozoo. Pratica che permetterebbe per esempio a due uomini di «usare gli spermatozoi di un partner (…) e le cellule cutanee dell’altro», sottolinea il Corriere. Ma un’autorità internazionale come il genetista Bruno Dallapiccola, direttore scientifico del Bambin Gesù di Roma, solleva molti dubbi sulla realizzabilità di un simile progetto. E vi scorge alcuni rischi gravi.

Professore, come funziona la partenogenesi?

La partenogenesi è una forma di riproduzione che avviene senza il contributo del gamete maschile. In casi particolari e straordinari l’ovocita femminile viene attivato senza lo spermatozoo. Finora, però, non è mai accaduto che si sviluppasse fino a dare vita ad un essere umano. Anche perché alcuni nostri geni per attivarsi hanno bisogno dei cromosomi paterni, mentre altri di quelli materni. Dunque, il problema di questi esperimenti eugenetici sta nel funzionamento del genoma, di cui non si conoscono gli sviluppi.

Significa che è fondamentale la presenza sia del gamete femminile sia di quello maschile?

Mi spiego, la sequenza del Dna è influenzata da fattori esterni ad esso, come l’ambiente, le abitudini, gli stili di vita. Ma anche dalla loro provenienza: ogni gene dell’embrione si attiva o meno a seconda del sesso del genitore da cui ha ricevuto il cromosoma in questione. Cosa accadrà senza il Dna materno o paterno? Credo che proseguire senza rispondere a questa domanda sia scientificamente folle.

Ci sono altri rischi?

I rischi sono innanzitutto nella fecondazione extracorporea: l’epigenesi, ossia la differenziazione delle cellule dell’embrione, avviene durante la fecondazione, ma quando questa è prodotta artificialmente in laboratorio gli embrioni possono sviluppare un genoma mal funzionate: o perché i gameti usati non sono appropriati (è il caso, ad esempio, dell’utilizzo di uno spermatozoo proveniente da un padre che ne produce pochi) o perché i fattori ambientali in cui avviene la fecondazione (extracorporei) non sono adatti o per via delle manipolazioni in laboratorio. Non a caso i bambini nati tramite la fecondazione artificiale hanno una probabilità otto volte maggiore di sviluppare malattie genetiche rispetto ai bambini nati naturalmente. Domando, ancora: ma se questo è l’esito come mai continuiamo a procedere?

Eppure l’articolo del Corriere sostiene che in questo modo sono nati in laboratorio 30 topi sani.

Ma si dimentica di dire che se la partenogensi è funzionante nel topo non lo è mai stata nell’uomo. Quando si fanno certi annunci o si scrivono certi articoli non si può nascondere il fatto che quello che accade al topo non succede per forza all’uomo. Se, ad esempio, si inietta del cortisone in una femmina di topo gravida, suo figlio nascerà con la palatoschisi. Se lo inietto in una donna incinta non accadrà lo stesso a suo figlio.

Non c’è dunque possibilità che l’esperimento riesca?

Se si creano cellule dalla pelle affinché siano fecondate dallo spermatozoo, ammesso che si riesca, appunto, si apre un ulteriore problema: per far funzionare i loro geni occorre riuscire a far sì che queste cellule abbiano le funzioni del gamete femminile. Ma anche si arrivasse a questo punto, chi ci dice come funzioneranno? In Cina, per “correggere” gli embrioni talassemici, sono stati provocati sul Dna dell’embrione errori di altro tipo, il cui effetto si sarebbe visto solo dopo la nascita. Tanto che poi tutti gli esseri umani prodotti sono stati distrutti. Aggiungo: è lecito produrre vita in laboratorio? E distruggerla dopo averla creata come fosse una merce? È giusto usare esseri umani come cavie?

Lei cosa risponde?

Chi, come me, sta in clinica, difficilmente dimentica che quelli sono esseri umani e che lo scopo della ricerca è il bene dell’uomo. Anche chi sta in laboratorio dovrebbe tenerlo presente. Infatti la domanda vera, che bisogna porsi prima di tutte quelle che ho elencato, è: quello che stiamo manipolando è un uomo o una cosa? Certo, è più comodo non porsi la questione, magari in nome del tentativo di trovare una cura per debellare una malattia.

Si spiega solo così un simile azzardo?

Questi articoli e questi annunci chimerici spesso hanno alle spalle ragioni economiche enormi, perciò il problema etico, se si pone, è sempre all’ultimo posto.

di Benedetta Frigerio

Fonte: http://www.tempi.it

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