Ieri un sacerdote italiano è stato ferito alla testa da uomini armati. Un mese fa l’uccisione di Tavella a Dacca

Perché il Bangladesh è diventato un campo di battaglia islamista




Ieri notte, le otto del mattino in Bangladesh, un medico e sacerdote italiano è stato attaccato da tre uomini armati su una motocicletta nella città di Dinajpur, quattrocento chilometri a nord della capitale Dacca, mentre si recava in bicicletta nell’ospedale dove lavora. Piero Parolari, 64 anni, missionario del Pontificio istituto missioni estere in Bangladesh da più di trent’anni, è stato colpito alla testa ed è stato trasportato all’ospedale della città per poi essere trasferito al policlinico Bangabandhu Sheikh Mujib di Dacca – che prende il nome da Sheikh Mujibur Rahman, il primo capo del governo del Bangladesh dopo l’indipendenza dal Pakistan nel 1971. Secondo quanto riportato dal quotidiano bengalese Daily Star, Parolari ha subìto gravi ferite alla testa ma è fuori pericolo. La Farnesina ha riferito di aver istituito subito l’unità di crisi e di essere in contatto con i familiari di Parolari. Un confratello del sacerdote ha detto ad AsiaNews che Parolari “era nei pressi della fermata degli autobus di fronte a un palazzo del governo. A bordo della motocicletta c’erano tre malviventi. Uno di questi gli ha sparato al collo, ma lo ha colpito di striscio, mentre un altro ha estratto una lama (forse un coltello cinese) e ha mirato alla carotide. E’ il taglio che ha provocato il danno maggiore. Ha perso molto sangue”. Altre fonti parlano di un ferimento con un coltello, ma nella foto di quello che viene indicato come Parolari pubblicata dal Daily Star, l’uomo appare con una medicazione alla testa, il volto tumefatto, ma nessuna ferita al collo.

E’ il secondo in un mese  L’attacco a Parolari è arrivato poco più di un mese dopo l’uccisione di Cesare Tavella, cittadino italiano ucciso a colpi di pistola nella zona diplomatica di Dacca. Per l’omicidio di Tavella, veterinario originario di Casola Valsenio in provincia di Ravenna e manager di un progetto di cooperazione e sviluppo in Bangladesh, a fine ottobre sono state arrestate quattro persone. Il 3 ottobre scorso, a soli cinque giorni dall’uccisione di Tavella, è stato freddato il sessantaseienne imprenditore giapponese Kunio Hoshi nella regione rurale di Rangpur, sempre nel nord del paese. I due omicidi sono stati subito rivendicati dallo Stato islamico, anche se le autorità di Dacca hanno parlato ufficialmente di un complotto per destabilizzare il governo. Ieri Daqib, il giornale ufficiale in lingua inglese dello Stato islamico, aveva due pagine dedicate al “ritorno del jihad nel Bengala”, corredate da una foto di Cesare Tavella e da minacce esplicite nei confronti del Giappone. Riporta sempre AsiaNews che il 5 novembre scorso un gruppo di sei, sette musulmani ha tentato di dar fuoco a una casa di cristiani a Kamarpara, nel distretto di Panchagarh, accusandoli di “stregoneria”. I funzionari del governo del Bangladesh (152 milioni di abitanti, l’89,8 per cento di loro mussulmani) continuano a negare che nel paese esista un problema reale di sicurezza, legato soprattutto al fondamentalismo islamico, e il perché è da ricercare nella storia e nella guerra d’indipendenza, nella laicità dei governi e nel sostegno assicurato a innumerevoli formazioni integraliste.

Le ultime elezioni politiche, quelle del gennaio del 2014, sono state accompagnate da uno dei confronti armati più sanguinosi della storia del Bangladesh. Il Partito nazionalista d’opposizione (Bnp), legato ai gruppi islamici, ha domandato ai cittadini di boicottare le elezioni, e il partito di governo, l’Awami League, è riuscito a mantenere il controllo del paese. Il Bnp non ha riconosciuto la vittoria dell’Awami. Da un anno, dunque, qualunque forma di violenza nel paese viene considerata come un tentativo di delegittimazione del governo. “Con un reddito pro capite di soli 1.080 dollari, il Bangladesh è tra i paesi più poveri del mondo, ma ha subìto un processo di democratizzazione dopo l’indipendenza (anche se intervallato da diversi colpi di stato militari)”, scrive Alexandra Stark, ricercatrice di Relazioni internazionali alla Georgetown, sul Diplomat. E la crescente ondata di violenza politica in Bangladesh si inserisce in un contesto rischioso, per un paese che “presenta una sia una minaccia potenziale – la violenza da parte di gruppi islamici fondamentalisti che sta aumentando – sia un modello di democratizzazione in uno stato a maggioranza islamica”. Il Bangladesh è “un campo di battaglia sul ruolo dell’islam e della politica, un banco di prova cruciale per coloro che vedono l’islam come fonte di ispirazione per lo sviluppo, la democrazia e le relazioni sociali pacifiche e quelli con una visione integralista della società che vogliono esportare il terrorismo vicina India, il Pakistan e l’Afghanistan”.

Shafqat Munir, analista del Bangladesh Institute of Peace and Security Studies, ha detto a ottobre al Guardian che erano almeno dieci anni che gli attacchi contro gli stranieri erano sospesi. L’ultimo nel 2004, quando un funzionario inglese, Anwar Choudhury, fu attaccato dal gruppo affiliato ad al Qaida Harkat-ul-Jihad al-Islami (il gruppo che venne formato in Pakistan negli anni Ottanta su istruzioni dirette di Osama bin Laden). Spiega Munir: “I gruppi estremisti in Bangladesh sono stati attivi per anni e ora, visto l’aumento dell’estremismo violento nel mondo, stanno alzando la posta in gioco”, e poi: “L’uccisione di Tavella doveva essere un avvertimento. Ci piacerebbe credere che lo stato di allerta è molto alto. La mia paura è che non si fermeranno. Continuerà e sarà un’escalation”.

Ieri, tra l’altro, è stata una giornata complicata in Bangladesh. La Suprema corte ha stralciato la petizione che chiedeva al governo di commutare la pena di morte imposta dal Tribunale dei crimini internazionali – il tribunale bengalese che investiga sul possibile genocidio commesso nel 1971 dall’esercito del Pakistan durante la Guerra di liberazione del Bangladesh – nei confronti di Salauddin Quader Chowdhury, leader del Partito nazionalista del Bangladesh, e Ali Ahsan Mohammad Mojaheed, dell’Associazione Islamica Bengalese. Leader di quest’ultimo gruppo è un altro condannato a morte, Motiur Rahman Nizami, celebrato ieri sulle pagine della rivista dello Stato islamico. All’inizio di novembre, sull’Observer, K. Anis Ahmed, uno dei più famosi scrittori bengalesi in lingua inglese, scriveva: “I recenti omicidi nel laico Bangladesh sono l’eco della tragedia della fondazione di questo paese, quando le milizie islamiste ammazzarono 116 intellettuali durante gli ultimi giorni della guerra del 1971 per l’indipendenza. Da allora, gli estremisti religiosi qui hanno preso di mira gli intellettuali; tuttavia, è chiaro dai più recenti attacchi contro gli stranieri, contro gli editori e scrittori, contro i missionari moderati e i poliziotti che adesso stanno allargando il loro raggio d’azione”.

Il 31 ottobre Faisal Abedin Deepan, proprietario della casa editrice Jagriti Prokashony, è stato ucciso a colpi di ascia nel suo ufficio a Dacca, e nella stessa giornata, nella stessa città, un altro editore e due suoi scrittori sono stati accoltellati. “L’idea di invertire i nostri ideali liberali è stata istituzionalizzata con l’uccisione nel 1975 di Sheikh Mujibur Rahman, il fondatore del Bangladesh”, scrive ancora K. Anis Ahmed, “Il suo successore, il dittatore Ziaur Rahman (Zia), fondatore del Partito nazionalista del Bangladesh (Bnp), ha usato la religione per sostenere il suo regime; fece riavere un posto nella politica nazionale a Jamaat-e-Islami, il partito che si era opposto alla creazione del paese e che aveva collaborato con l’esercito pachistano. Il dittatore che gli succedette nel 1981 ha dichiarato che l’islam sarebbe stata la religione di stato. La vedova di Zia, Khaleda Zia, ha poi proseguito ad avere una relazione elettoralmente vantaggiosa con Jamaat; e come primo ministro nel 2001 ha accolto i criminali di guerra nel suo governo”.

Ed è infatti dal 1980 in poi che il paese è divenuto più “accogliente” nei confronti dei fondamentalisti islamici, con attacchi nei confronti di tutta la cultura laica – specialmente contro quei dissidenti considerati apostati, come spesso ha raccontato anche questo giornale.

di Giulia Pompili

Fonte: http://www.ilfoglio.it

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