Parla Emma, una delle “schiave di Rotherham”




Con l’Occidentale siamo stati tra i primi a denunciare in tutta la sua incredibile violenza il caso di Rotherham, la cittadina inglese dove nel silenzio complice di una intera comunità un numero ancora imprecisato di ragazzine e donne sono state molestate e violentate per anni da gang di islamici fuori controllo. Per noi si è trasformata, col tempo, in una sorta di narrazione ad anello, scoprendo, mentre approfondivamo le nostre ricerche, che il caso di Rotherham non era isolato, che c’erano altre città inglesi dove giovani donne venivano ridotte a schiave del sesso, e che le gang formate in prevalenza da asiatici di fede musulmana agiscono anche in altri Paesi europei o in terre lontane, come l’Australia. Importanti giornali italiani ci hanno riconosciuto di aver raccontato, a tempo debito, la storia, nera, nerissima di Rotherham, e a nostra volta adesso segnaliamo che questa vicenda è finita sulla prima pagina di Breitbart, il controverso ma ormai globale sito di e-news che ha sostenuto Donald Trump in campagna elettorale.

Domenica scorsa Breitbart ha diffuso la testimonianza di una delle vittime degli assalti sessuali di Rotherham, una donna intervistata da una radio inglese. “Non ho mai guardato a quegli uomini per la loro razza o religione. Io ho solo denunciato quello che avevo subito. Ma è stato sufficiente fare i nomi dei miei stupratori, per sentirmi dare della razzista, come se il problema fossi io, non le violenze sessuali che ho subito”. A parlare è Emma, una delle sopravvissute, se così si può dire, all’epidemia di stupri nella cittadina inglese (emersa con il rapporto di Alexis Jay su Rotherham). “Non mi sono mai sentita razzista, so di non esserlo”, prosegue Emma, “so che è stata un’accusa inventata per mettermi a tacere”. Emma è una delle 1.400 ragazzine la cui vita dopo quei giorni orribili è cambiata per sempre. Ha scelto coraggiosamente di raccontare la sua storia durante una trasmissione radiofonica, ospite di Katie Hopkins, una giornalista e speaker radiofonica inglese che da tempo raccoglie testimonianze del genere.

Com’era prevedibile nel regime del politicamente corretto ancora imperante, per la Hopkins, la giornalista, il fatto di essersi schierata apertamente contro i carnefici di Rotherham, tirando in ballo le responsabilità della comunità islamica inglese, ha significato finire nel tritacarne dei media. L’Huffington Post Uk, la scorsa primavera, ha dedicato alla Hopkins un lungo articolo, stigmatizzando la sua “ossessione” per l’islam, i suoi tweet che, secondo la celebre testata giornalistica, servirebbero solo a fomentare l’odio online, ad accrescere il pregiudizio verso le altre religioni e a danneggiare l’immagine dei musulmani inglesi. Fa niente se l’evidenza dei fatti ci racconta di ragazze e in certi casi bambine violentate, la Hopkins, proprio per averlo denunciato, è diventata una “islamofoba”.

Emma aveva 13 anni quando ha subito il primo stupro: “Quattordici anni fa ho denunciato quello che mi era successo. Sono andata alla polizia con i miei genitori. Ho rilasciato loro delle videointerviste, volevo collaborare. Ma quando iniziai ad entrare nei dettagli, spiegando chi erano i miei stupratori, che origini avevano, mi è stato detto espressamente di fermarmi. Di non commentare, di non indicare niente di tutto questo nelle mie testimonianze”. Quando la giornalista ha chiesto a Emma come si era sentita davanti a un atteggiamento del genere da parte degli investigatori, lei ha commentato “chi mi ha stuprata è riuscito a farmi sentire come se fossi io nel torto”. Sensazione che, purtroppo, polizia e assistenti sociali non hanno saputo scacciare. “Così ho finito per ripetermi ‘forse hanno ragione loro. Forse il problema sono io'”.

Del resto, in tutti gli episodi di stupri e molestie che, dalla notte di Colonia in Germania, al delirio di Rotherham, Regno Unito, vi abbiamo raccontato nei mesi scorsi, c’è sempre un ritornello che i maomettani ripetono a pappagallo, le vittime se lo meritavano, “perché occidentali, e perché bianche”. Con grande coraggio, Emma ha ricordato la sua adolescenza, quello che le accadeva regolarmente alla età di tredici anni, di quella volta che gli affiliati alla gang la rinchiusero in una stanza e la violentarono in gruppo, ripetutamente. “Se racconti questa storia, rapiamo anche tua madre”, la minacciavano. Emma ha anche criticato la lentezza esasperante nelle indagini sul caso. Gli stupri a Rotherham sono continuati anche dopo le prime denunce, sono continuati ai danni di ragazze come Emma e di altre sue coetanee.

“Continuavano a dirmi, è la tua parola contro la loro,” dice Emma, sottolineando che, a un certo punto, la polizia perse anche i vestiti che la ragazza indossava durante una delle violenze e che lei aveva consegnato agli investigatori. Una prova preziosa per il processo, sparita dalla circolazione. Abbandonata a se stessa e ai suoi aguzzini, Emma si sentiva puntualmente ripetere “non ci sono prove sufficienti per andare in tribunale”. La sua famiglia, alla fine, l’ha portata fuori dal Regno Unito, anche per difenderla da eventuali rappresaglie dell’islam inglese. E come Emma, tante altre ragazzine sono state costrette ad abbandonare l’Inghilterra. Ecco, questo si può dire, oggi, del più grande scandalo di abusi sessuali sui minori della recente storia inglese: i predatori delle gang se la sono cavata per anni continuando indisturbati nei loro crimini e chiunque abbia qualcosa da ridire o rivangare sul passato adesso rischia di finire a sua volta vittima delle accuse di razzismo e islamofobia.

Da domani, su BBC, andrà in onda “Three girls”, una serie Tv sulla storia di tre bambine abusate da una banda di pakistani islamici tra il 2005 e il 2008 a Rochdale. Città che come Sheffield e Rotherham è stata coinvolta nella rete di stupri. Il caso portò nel 2012 all’arresto di 9 uomini per crimini sessuali e traffico di bambine di 13 anni. Ma nel trailer che lancia la serie televisiva o nelle recensioni sulla stampa online non viene mai menzionata la religione professata dai criminali. Forse temendo la gogna mediatica, l’autrice della serie, Nicole Taylor, parlando al The Guardian ci ha tenuto a precisare che “non c’è alcuna base religiosa per quanto accaduto. E non ho voluto dare alla English Defense League (il movimento nato in opposizione all’islamizzazione dell’Inghilterra e all’introduzione della sharia, ndr) un’opportunità”.

La Taylor ha aggiunto di non essere d’accordo con la criminalizzazione dei colpevoli che viene fatta in storie del genere. Alla sceneggiatrice non interessa neppure, a quanto pare, la decisione del giudice Gerald Clifton, che ha individuato proprio nella religione dei condannati un fattore del caso Rotherham, una delle motivazioni che hanno spinto quegli uomini a commettere gli abusi. Secondo la giornalista “uno dei fattori per cui i colpevoli si sono comportati in quel modo è perché non si sentivano parte di una comunità”.  Ed è così che va la vita nei grandi media e nel mondo dell’intrattenimento occidentale, i predatori sembrano agnellini, poveri ragazzi instabili e isolati dalla comunità. I quali ragazzi, e pure adulti, per integrarsi, a quanto pare, hanno deciso di stuprare centinaia di ragazzine.

di Lorenza Formicola                                                                                                                             

Fonte: https://www.loccidentale.it

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