Incarcerato 22 anni per non aver abiurato il cristianesimo e amato il comunismo. . «Castro mi ha tolto tutto, tranne la coscienza». La stessa che oggi è «minacciata anche nell’America di Obama»

Nudi ma liberi. Intervista ad Armando Valladares, il più celebre dissidente cubano




Buio. Per otto anni Armando Valladares ha conosciuto solo una lunga notte, rinchiuso in una cella senza finestre né luce artificiale. Poi due anni di luce violenta e accecante, senza poter dormire né riposare gli occhi. In mezzo, altri 144 mesi di umiliazioni, pestaggi e torture disumane di ogni tipo. Il più celebre dissidente cubano, piccola luce nel buio del regime castrista, avrebbe potuto risparmiarsi tutto questo. I suoi carcerieri gli avevano offerto la possibilità di scegliere: se rinneghi ciò in cui credi, abiuri Dio e affermi di amare il comunismo e Fidel Castro sarai libero. Valladares non ha compiuto questo «suicidio spirituale», diventando uno dei prigionieri di coscienza più famosi al mondo. È sopravvissuto a 22 anni di prigione grazie alla fede e all’arte, le sue «armi», dipingendo e scrivendo poesie, usando anche il suo stesso sangue quando gli è stato tolto ogni altro mezzo.

Rilasciato nel 1982 grazie alle pressioni internazionali, soprattutto del presidente francese François Mitterrand, si è trasferito quattro anni dopo da Cuba negli Stati Uniti, dove il presidente Ronald Reagan l’ha nominato ambasciatore americano alla Commissione delle Nazioni Unite per i diritti umani. Mentre a L’Avana continuano a considerarlo una «spia della Cia», a New York il Fondo Becket per la libertà religiosa gli ha appena conferito la Medaglia Canterbury 2016 per «il coraggio dimostrato nella difesa della libertà religiosa». Dal palco, il dissidente 79enne ha denunciato quei governi occidentali che, al pari del regime cubano, cercano di violare la libertà di coscienza dei cittadini, chiedendo loro di «collaborare con gravi mali». Il premio l’ha ritirato con queste parole: «Lo accetto nel nome delle migliaia di cubani che hanno usato il loro ultimo respiro per esprimere la loro libertà religiosa, gridando, davanti all’esecuzione: “Lunga vita a Cristo re”». Da Castro a Che Guevara, dagli intellettuali affascinati dal regime alle nuove dittature, fino a Obama e alle elezioni presidenziali negli Stati Uniti, Valladares ripercorre con Tempi la sua storia. Senza mandarle a dire.

Quando Fidel Castro prese il potere a Cuba, lei aveva 22 anni. Ha mai sperato e creduto nella rivoluzione?

All’inizio pensai che avrebbe portato pace, giustizia, elezioni libere, rispetto per la dignità del popolo e per i diritti umani. Poi però Fidel Castro sostituì la dittatura di Batista con la sua propria dittatura comunista.

Che lavoro faceva all’epoca?

Ero impiegato come funzionario nel ministero delle Comunicazioni. Lavoravo lì quando sono stato arrestato a 23 anni.

Era il 1960, fu condannato a 30 anni di carcere. Che cosa aveva fatto di tanto grave?

I comunisti chiedevano di esporre in bella mostra su tutte le scrivanie un cartello con questa scritta: “Se Fidel è comunista, inseritemi nella lista perché sono d’accordo con lui”. Io dissi che non l’avrei messo sulla mia. I comunisti mi chiesero allora se ero d’accordo con Fidel. «Se è comunista, no», fu la mia risposta. Così fui marchiato come un potenziale nemico della rivoluzione.

Che cosa aveva contro il comunismo?

È una tirannia atea, una schiavitù scientifica dell’uomo intrinsecamente perversa, che solo in Russia ha assassinato 109 milioni di persone. Mi opponevo perché sono cattolico e credo in Dio.

Ancora oggi la chiamano «traditore». Avrà pur fornito qualche pretesto.

No. Quando mi vennero a prendere non trovarono armi, né esplosivi, né altre cose che potessero compromettermi come cospiratore. Durante l’interrogatorio la polizia politica mi disse: «Non abbiamo niente contro di te, nessuno ti accusa, però abbiamo una convinzione morale: sei un potenziale nemico della rivoluzione e per questo ti condanneremo». Lo fecero: mi portarono alla prigione-fortezza La Cabaña e poi all’Isla de Pinos.

Nel suo libro Contro ogni speranza. 22 anni nel gulag delle Americhe, racconta delle terribili sofferenze che ha dovuto patire in carcere. Che cosa significa essere un prigioniero politico in una prigione castrista?

Raccontare in un’intervista 22 anni di carcere è impossibile. Ma più della mia opinione conta quella della Commissione dei diritti umani dell’Onu e di Amnesty International. Hanno scritto: «A Cuba il trattamento dei prigionieri politici è crudele, disumano e degradante. È caratterizzato da pestaggi, torture, isolamento per lunghi anni, privazione della luce del sole, di assistenza medica, visite e corrispondenza». Io ho passato completamente nudo, rinchiuso da solo in una cella, otto anni senza mai vedere la luce del sole o quella artificiale.

Nudo?

Mi obbligavano a portare la divisa dei criminali comuni, dei ladri, degli stupratori, così da poter dire al mondo che a Cuba non c’erano prigionieri politici. Io mi sono rifiutato e ho preferito restare nudo.

Cos’altro le hanno fatto?

Mi hanno picchiato, mi lanciavano addosso secchi pieni di escrementi e urina dei criminali comuni che si trovavano in carcere. Sono stato costretto ai lavori forzati, sono stato privato del sonno, non potevo parlare con nessuno. Per due anni mi hanno rinchiuso in una cella accecato da una luce perpetua che si rifletteva sulle pareti e il tetto di un colore bianco brillante. Per lungo tempo non mi hanno dato da mangiare per obbligarmi ad accettare la riabilitazione politica.

Che cosa sono le “celle cassetto” di cui parla nel libro?

Sono celle di un metro, un metro e mezzo di altezza, dove il prigioniero non può stare in piedi, lunghe e strette. Si veniva rinchiusi lì per mesi, costretti a vivere in mezzo ai propri escrementi.

Ha mai provato a scappare?

Sì, siamo state le uniche persone in tutta la storia di quella prigione a riuscire a scappare, lasciando gli edifici circolari e uscendo dalla prigione. Eravamo in quattro, abbiamo passato tre giorni nella giungla dell’Isla de Pinos (ma la nave che doveva passare a prenderli non arrivò mai, ndr).

È stato definito il primo prigioniero politico di coscienza cubano. Però avrebbe potuto evitarsi molte sofferenze.

Avrei dovuto accettare la rieducazione politica, rinnegare tutte le mie credenze, rinnegare Dio e implorare di essere riammesso nella nuova società comunista. Per me questo era inaccettabile. Se avessi accettato la riabilitazione politica, sarei tornato libero, le torture sarebbero finite e ogni “colpa” perdonata. Ma sarebbe stato un suicidio spirituale.

Fidel Castro considerava il cristianesimo un nemico?

Bastava essere cristiani, come nel mio caso, per finire in carcere. Lo stesso vale per i Testimoni di Geova: con loro le torture hanno davvero superato ogni limite.

In prigione eravate perseguitati?

Il sacerdote cattolico Miguel Angel Loredo è stato picchiato selvaggiamente per aver celebrato Messa dentro il carcere. Se un prigioniero veniva scoperto con una Bibbia o con qualunque altro materiale religioso veniva picchiato e portato in isolamento.

Che cosa l’ha fatta soffrire di più in prigione?

La cosa più dolorosa era quando uccidevano uno di noi. Tre dei miei compagni di cella furono assassinati. Era come se fossero miei fratelli.

Come si giustifica tanta violenza? Castro una volta disse che «le torture servono ad annientare il nemico». È così?

Le torture non demoralizzano il prigioniero politico. I comunisti cubani hanno utilizzato tutte le torture esistenti, ma non sono riusciti a piegare né demoralizzare i prigionieri. In una pubblicazione ufficiale del ministero dell’Interno, chiamata Moncada, è apparso un articolo nel quale si diceva che «abbiamo provato ogni tipo di piano repressivo per piegare i prigionieri “controrivoluzionari”», così chiamano i prigionieri politici, «ma abbiamo fallito perché erano irremovibili». Io ero tra quegli irremovibili che chiamavano “querce”.

Come ha fatto a resistere 22 anni?

Grazie all’arte e a Dio. La prima mi ha dato la capacità di trascendere: avevo cominciato a studiare arti plastiche sei anni prima di finire in prigione. Sono un pittore e ho cominciato a scrivere seriamente solo in carcere. Dio è stato fondamentale perché mi ha dato la forza di resistere. Non gli ho mai chiesto di tirarmi fuori dal carcere, perché non credo che sia stato Lui ad avermici rinchiuso. Gli ho chiesto solo la fede e la forza di “sperare contro ogni speranza”. E Lui mi ha esaudito.

In pochi anni è passato da carcerato ad ambasciatore. Com’è successo?

Quando arrivai negli Stati Uniti, il presidente Ronald Reagan lesse il mio libro e rimase impressionato. Mi mandò a cercare e mi nominò ambasciatore degli Stati Uniti davanti alla Commissione dei diritti umani dell’Onu. Queste cose possono avvenire solo in America.

Da ambasciatore non è stato tenero con le Nazioni Unite.

La maggior parte dei paesi del mondo odia gli Stati Uniti. Su dieci paesi che ricevono milioni di dollari in aiuti dagli Usa, 9 votano sempre contro le proposte americane, a prescindere dal merito. L’importante per loro è mostrarsi indipendenti. Gli Stati Uniti sono l’unico paese che quando riceve uno schiaffo, mette la mano al portafogli e regala 100 milioni di dollari al suo aggressore. Noi paghiamo più del 35 per cento delle spese dell’Onu per mantenere un esercito di parassiti, nullafacenti e ladri che vivono dei nostri soldi e li utilizzano per cercare di distruggerci.

Fidel Castro, Che Guevara e la rivoluzione cubana hanno avuto un’influenza immensa sull’Europa. Anche in Italia sono stati ammirati. Come se lo spiega?

La maggior parte dei paesi, degli intellettuali, dei giornali europei e del mondo odiano gli Stati Uniti ed esternano questa ostilità appoggiando i crimini di Castro. Semplicemente perché Castro si è opposto all’America. Eppure le stesse identiche persone ripudiavano Pinochet e l’apartheid del Sud Africa. Si stracciano le vesti per i crimini delle dittature di destra, però applaudono quelle di sinistra.

Due pesi e due misure?

Le barbarie e i crimini sono gli stessi e vanno ripudiati sia quando sono commessi a destra sia quando sono commessi a sinistra. Invece c’è sempre un doppio standard sulle dittature. Se non fosse stato per l’America oggi i francesi, gli italiani e tutta l’Europa parlerebbero tedesco. Ma i grandi sterminatori di popoli hanno sempre avuto simpatizzanti. Li hanno avuti Hitler, Stalin, Franco, Mussolini, così come Fidel Castro e Che Guevara, che è stato un vero assassino. Abbiamo avuto tanti Gabriel García Márquez.

Che cosa c’entra il premio Nobel?

García Márquez ha messo la sua penna al servizio della tirannia di Fidel Castro. È stato complice delle torture e dei crimini di un regime che ha sostenuto e difeso in tutto il mondo. Ha detto che Cuba era l’unico paese dove si rispettavano i diritti umani! Questa canaglia è stato delatore del dissidente Ricardo Bofill, che lo accusò portando le prove della delazione fatta alla polizia politica. A Cuba aveva un’amante, Blanquita, che poteva essere sua nipote, e Castro gli regalò una casa perché potesse fare le sue porcherie. Quando un intellettuale utilizza i mezzi che gli sono stati donati per mentire sulla realtà politica e mette la sua penna al servizio di una dittatura, anche se ha grandi doti intellettuali, diventa una minaccia per la società.

Oggi a Cuba il potere è passato da Fidel a Raúl Castro e molti dicono che il regime è cambiato. Cosa ne pensa?

L’unica cosa che è cambiata a Cuba è che sono arrivate alcune migliaia di turisti in più. C’è anche stata una recrudescenza della repressione rispetto agli ultimi anni, come denuncia Amnesty International. Le Signore in Bianco continuano a essere aggredite ogni domenica all’uscita dalla chiesa e i prigionieri politici sono ancora in carcere. Non conosco il numero esatto, le cifre più attendibili vanno dai 150 ai 300.

Però un anno e mezzo fa è iniziata la normalizzazione dei rapporti diplomatici tra Cuba e Stati Uniti. Obama ha promesso di revocare l’embargo dopo 50 anni perché «non ha funzionato». Molti sono certi che la prosperità economica costringerà Castro a cambiare. Non è una “svolta storica”?

Chi dice che l’embargo non ha funzionato, non sa quello che dice. L’embargo non è stato imposto per abbattere Fidel Castro. È stata una forma di rappresaglia del governo degli Stati Uniti in risposta alla nazionalizzazione delle imprese nordamericane operata dalla tirannia di Castro senza pagare una lira di risarcimento. Non c’è stato nessun cambiamento economico a Cuba finora. Tutto ciò che ha promesso Obama non si è realizzato, nessuna impresa americana ha investito a Cuba, neanche una banca americana ha stretto rapporti o effettuato commerci con la banca cubana. Non ci sono stati investimenti.

Perché?

Perché Cuba non ha leggi per regolamentare le imprese straniere e nessuna banca americana si è arrischiata a fare transazioni per timore di multe. Cuba non ha approvato leggi per questo.

Ora il regime lascia più spazio agli imprenditori privati.

Parla dei famosi cubani che lavorano in proprio lucidando scarpe, vendendo artefatti, riparando telefoni cellulari o ricaricando accendini? Devono pagare tasse così alte che, nel 2015, circa 10 mila di questi “imprenditori” privati hanno dovuto restituire le licenze.

Ricevendo il premio dal Becket Fund, ha detto che «il regime di Fidel Castro mi ha tolto tutto, tranne la mia coscienza e la fede». Perché ritiene la coscienza così importante?

Perché senza la libertà di coscienza nessun essere umano può realizzarsi: né spiritualmente, né intellettualmente. E io non faccio eccezione.

Ha anche elogiato «l’atto di ribellione» delle Piccole sorelle dei poveri, che si battono da anni contro l’amministrazione Obama che vuole costringerle a pagare aborto e contraccezione alle loro dipendenti. Davvero pensa, mutatis mutandis, che il loro caso sia simile al suo e che il governo voglia «violare la loro coscienza»?

Certo, è così. Sono felice che la Corte suprema abbia sentenziato in loro favore. È un’altra sconfitta per Obama, che sta cercando di restringere la libertà religiosa negli Stati Uniti.

In Europa e Stati Uniti oggi libertà di coscienza e religiosa sono in pericolo?

Senza dubbio. La libertà religiosa è in pericolo, però l’obiettivo sono le confessioni cristiane, la distruzione dei loro valori. Qui in America ad esempio i tentativi di fare in modo che non si celebri più il Natale sono costanti. Vogliono eliminare Gesù Cristo dal Natale, ma questa celebrazione esiste solo per Lui!

Dalle vette della libertà, al fango delle elezioni. Chi voterà tra Donald Trump e Hillary Clinton?

Hillary Clinton è una delinquente, una criminale. Ha mentito su Bengasi permettendo l’uccisione dell’ambasciatore americano Chris Stevens nel 2012. Se verrà eletta, sarebbe il terzo mandato di Obama, però più radicale. Trump invece viene presentato dalla stampa liberal come se fosse un criminale, un boss della droga, uno stupratore. Ma si tratta degli stessi giornali che hanno creato il mito dei “risultati della Rivoluzione cubana” e di Che Guevara, un assassino trasformato in “santo”. Queste elezioni non sono come le altre. Bisogna senza dubbio votare Trump. Credo che sarà un buon presidente.

di Leone Grotti

Fonte: http://www.tempi.it

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