Il nuovo libro di Anna Bono su immigrati e jus soli

“Non possiamo considerare i bambini immigrati come se fossero tutti orfani”




E’ appena uscito per le edizioni Segno il libro di Anna Bono Immigrati!? Immigrati!? Immigrati!? (con presentazione di Stefano Fontana). Abbiamo posto alla dottoressa Bono, antropologa ed esperta in migrazioni, alcune domande sull’attualità di questo fenomeno, compresa la discussione tutta italiana di questi giorni sulla cittadinanza per jus soli.

E’ in atto in Italia un’ampia discussione in merito alla concessione della cittadinanza ai figli di immigrati nati in Italia (criterio dello jus soli). Qual è la sua posizione in merito?

Lo jus soli in Italia esiste già. Al compimento del 18mo anno i figli di stranieri possono ottenere la cittadinanza italiana a condizione che siano nati e vissuti in Italia. La legge in discussione estende questo diritto. Inoltre adotta lo jus culturae concedendo la cittadinanza ai minori stranieri nati in Italia o entrati quando avevano meno di 13 anni, purché abbiano frequentato regolarmente e con successo per cinque anni uno o più cicli di studio o seguito corsi di formazione professionale. È l’aspetto della legge che mi fa più riflettere, soprattutto pensando ai minori non accompagnati il cui primo e fondamentale diritto, a mio avviso, non è diventare cittadini italiani, ma ricongiungersi con la famiglia – intendendo non solo i genitori e i fratelli, ma la più estesa comunità famigliare – in patria. Non so perché ci regoliamo invece come se fossero tutti orfani.

Secondo lei in cosa consiste una vera integrazione?

Condizione necessaria di integrazione è poter svolgere un lavoro regolare, dignitoso. Quasi il 90% degli immigrati illegali sono giovani tra i 18 e i 34 anni. Per integrarsi hanno bisogno di un’occupazione che li renda autonomi e indipendenti. Il lavoro in nero, irregolare, la prolungata dipendenza totale o parziale dall’assistenza pubblica e privata – questo è il destino in Italia della maggior parte degli immigrati – relega i nuovi arrivati in una condizione di marginalità, ne fa dei cittadini di seconda classe. Inoltre quasi tutti gli immigrati partono da soli, sono senza famiglia in Italia. La mancanza di una famiglia, “primo e principale luogo in cui si forma la persona-in-relazione”, per usare le parole di Papa Francesco, è un altro fattore che ostacola gravemente l’integrazione. Lavoro e famiglia – ha detto di recente il Pontefice – sono le condizioni per uno sviluppo individuale e sociale sostenibile e armonioso.

Gli immigrati pongono il problema “sicurezza” oppure le apprensioni a questo riguardo sono infondate?

Certo che gli immigrati illegali pongono problemi di sicurezza, proprio a partire dal fatto che pochi di loro possono integrarsi nella vita economica e sociale del nostro paese: senza lavoro, come si diceva, e senza famiglia e con remote probabilità di superare questa condizione. Bisogna inoltre considerare che la quasi totalità degli immigrati irregolari provengono da società che ammettono forme di violenza e l’imposizione di limiti alle libertà personali e addirittura le prescrivono.

Molti sostengono che i flussi migratori di massa verso l’Europa sono pianificati. E’ d’accordo?

Pianificati da chi? Con che mezzi? Dove? Con decine di migliaia di centri di reclutamento in tre continenti – America Latina, Africa e Asia – dove gli aspiranti emigranti fanno la fila in attesa di ricevere denaro e indicazioni necessari a intraprendere il viaggio? Al più si può dire che i flussi migratori illegali possano essere assecondati, incoraggiati, favoriti: sicuramente, ad esempio, dai contrabbandieri di uomini, dalle organizzazioni criminali che provvedono al trasporto clandestino degli immigrati e ne ricavano ogni anno proventi miliardari. La pianificazione di cui si parla, per sostituire la popolazione europea, per affermare l’Islam, se anche fosse, dal 2016 è tutto sommato “in crisi”. Rispetto al 2015, infatti, gli arrivi in Europa si sono più che dimezzati. Solo in Italia sono aumentati, del 18%: da 153.842 nel 2015 a 181.045 nel 2016. E come sappiamo si tratta per lo più di giovani maschi, in gran parte africani.

Come valuta l’attuale atteggiamento prevalente nella Chiesa di accoglienza aperta e solidale verso gli immigrati, considerati tutti profughi che fuggono da violenze e persecuzioni?

È un atteggiamento che procede da un equivoco. Si poteva capire, forse, nel 2014 e 2015 quando milioni di profughi sono fuggiti dalla Siria e dall’Iraq e alcune centinaia di migliaia hanno raggiunto l’Europa. Penso a quelli messi in fuga dall’Isis, lo Stato islamico, penso ad esempio alle 300.000 persone, tra cui 120.000 cristiani, che in Iraq in una sola notte, dal 6 al 7 agosto 2014, hanno abbandonato le loro case inoltrandosi nella piana di Ninive incalzati dalle truppe dell’Isis. Ma in Italia anche in quegli anni di profughi ne sono arrivati pochi, nell’ordine di alcune migliaia. Le domande di asilo accolte lo dimostrano. Nel 2015 in Italia è stato concesso lo status di rifugiato, in base alla Convenzione di Ginevra, a 3.555 richiedenti asilo; e nel 2016 a 4.940. D’altra parte il miglior aiuto che si può dare ai profughi, anche a quelli che espatriano e chiedono asilo, è assisterli quanto più possibile vicino a casa, ai parenti e agli amici lasciati indietro, nella speranza che possano farvi ritorno, non progettare per loro un esilio definitivo a migliaia di chilometri di distanza, in terra straniera.

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