Il professor Mauro Ronco commenta il testo in discussione alla Camera: "Con la depenalizzazione si va verso un’abrogazione tacita del reato di aiuto al suicidio"

“Nella legge sul biotestamento c’è un chiaro orientamento eutanasico”




Testamento biologico, suicidio assistito, dichiarazioni anticipate di trattamento, disposizioni anticipate di trattamento, consenso informato. Termini che si sovrappongono e troppo spesso si confondono nelle discussioni pubbliche e private.

La morte di Fabiano Antoniani, ormai per tutti Dj Fabo, ha riportato in cima alle priorità dell’agenda politica l’argomento, delicatissimo, del fine vita. Ieri la Camera ha iniziato la discussione generale sulle “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”. E l’unica certezza, al di là delle inevitabili polemiche, è la confusione.

Serve veramente una legge? Può lo stato occuparsi di questo tema? Quali sono i benefici? E i rischi? Mauro Ronco, avvocato e professore ordinario di Diritto penale all’Università di Padova, presidente del Centro studi Rosario Livatino, non ha dubbi: “Una legge non è necessaria. L’ho detto tante volte, anche quando nella legislatura precedente si cercò di approvare un testo sulle ‘dichiarazioni anticipate di trattamento’”.

Eppure in tanti sostengono che questo è l’unico modo per garantire l’autonomia del medico e quella del paziente, evitando pericolose derive. “Non è così – spiega al Foglio. La legge sceglie, non può esserci una legge che non sceglie. E nel testo in discussione alla Camera – nonostante si parli di ‘tutela’ della vita e della salute dell’individuo – ci sono dei punti che mostrano un orientamento evidentemente eutanasico”.

Il primo, sottolinea Ronco, è quello contenuto nell’articolo 1.7 dove si specifica che “il medico è tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente e, in conseguenza di ciò, è esente da responsabilità civile o penale”. “Si tratta di un’indicazione equivoca, ma non per questo priva di forza, che favorisce comportamenti eutanasici. Certo, non vengono esplicitamente abrogati gli articoli del codice penale, ma con la depenalizzazione si va verso un’abrogazione tacita del reato di aiuto al suicidio liberando il medico da qualsiasi responsabilità”.

Altro punto controverso, secondo il professore, è quello che include, nella rinuncia ai trattamenti, anche quello a idratazione e alimentazione. “È vero – prosegue – ci sono visioni contrastanti all’interno del mondo scientifico, ma quasi tutti sono concordi nel dire che idratazione e alimentazione non sono dei trattamenti, anche se somministrate con strumenti meccanici”.

In ogni caso per Ronco è soprattutto il titolo scelto per la legge a indicare, in maniera chiara, qual è la direzione intrapresa: “Non si parla più, come in passato, di dichiarazioni, ma di disposizioni. La convenzione di Oviedo (primo trattato internazionale sulla bioetica ndr), dice che il medico deve ‘tenere in considerazione’ le volontà precedentemente espresse dal paziente. Ma se parliamo di ‘disposizioni’ non è così. Il medico deve attenersi a quanto deciso dal malato. Peraltro non è prevista alcuna forma di obiezione di coscienza. Anche quando il medico dovesse pensare che il soggetto è curabile, deve attenersi a quello che lui ha stabilito. Peraltro in un periodo diverso e in condizioni di vita normali. Insomma a me pare che questa legge non sia un punto di incontro tra l’autonomia del medico e quella del paziente. Qui prevale la volontà del malato in modo assoluto. Questa normativa vìola la convenzione di Oviedo”.

A questo punto, però, è difficile non sollevare l’obiezione che, davanti a casi drammatici come quello di Dj Fabo, un po’ tutti fanno: non c’è il rischio che, senza una legge, il paziente resti in balìa dei medici e continui a soffrire inutilmente anche quando la sua vita, ormai, non è più degna di essere vissuta?

“L’articolo 32 della Costituzione è chiaro e riconosce il diritto di curarsi, o non curarsi del singolo. La persona può rinunciare alla cura, soprattutto quando rischia di essere futile, ma questa non può tramutarsi in una volontà di essere uccisi. Serve un incontro tra scienza, competenza e volontà della persona. Ma se drammatizziamo lo scontro, tutto questo viene meno”.

Ronco non nega che possano esserci situazioni limite ma, ribadisce, “non vanno esasperate”. “La sofferenza va assistita e curata. Se scegliamo di rinunciare alla ‘tutela la vita e alla salute dell’individuo’, così come scritto nel testo della legge, le derive sono implicite. Basta pensare a cosa è accaduto in Olanda, dove si è passati dalla battaglia per l’abolizione del divieto di suicidio assistito a quella per introdurre l’eutanasia dei minori. Anche nel testo in discussione alla Camera si parla dei minori e si sottolinea che ‘il consenso informato al trattamento sanitario del minore è espresso o rifiutato dagli esercenti la responsabilità genitoriale o dal tutore tenendo conto della volontà della persona minore’, ma in questo caso il diretto interessato viene chiaramente messo in disparte, quasi si trattasse di un soggetto con – mi scusi il gioco di parole – ‘minore dignità’”.

di  Nicola Imberti

Fonte: http://www.ilfoglio.it

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