Mostra di icone russe “Lux Dei”




L’Occidente moderno è assetato di icone. Icone della tradizione ortodossa, in particolare russa. Stanco delle immiserite risorse di tanta “brutta” arte moderna e bramoso, suo malgrado, di “sacro”, esso va cercando nell’arte una ricchezza che da tempo gli manca e lo inquieta. È il contatto con qualcosa o Qualcuno in grado di trascenderlo, di sollevarlo al di sopra dei suoi poveri orizzonti e di colmarlo di quel senso ultimo e pieno da tempo perduto e verso il quale nutre una disperata nostalgia. La Mostra di icone russe “Lux Dei. Quando l’arte racconta la fede”, inaugurata alla Sala del Giubileo di via Mazzini 1, il 26 ottobre, va incontro proprio a questa nostalgia, la accoglie e la guida, spalancando le “porte regali” su un luogo dello spirito ove è dolce smarrirsi per poi ritrovarsi con una veste nuova.

Come ci racconta il curatore e organizzatore della mostra, Giovanni Boschetti, oggi l’Europa è sempre più attratta dal mondo delle icone. Purtroppo la maggior parte di esse sono di pessima qualità ed è raro avere la possibilità di acquistare degli esemplari autentici e veramente preziosi. Anche in questo settore del collezionismo sono all’opera l’inganno e la mistificazione, favorite dall’ignoranza degli acquirenti e dalla mancanza di scrupoli dei venditori. Le icone che formano la collezione esposta nella Sala del Giubileo – l’8 novembre chiude i battenti quindi affrettatevi a visitarla (nel caso fosse troppo tardi e aveste interesse ad avere ulteriori informazioni, magari un eventuale acquisto potete contattare la nostra redazione) – sono state scelte con cura e sapienza da Boschetti, esperto in icone e pittura russa moderna ed Avanguardie, oltre che regolarmente iscritto al Collegio Periti Italiani. Dopo una vita dedicata allo studio dell’arte russa, della teologia e della Chiesa ortodossa d’Oriente, Boschetti ha fondato l’Academia Ikon Rus che si pone l’obiettivo di visionare e di acquistare, tra le innumerevoli icone circolanti in Europa, solo quelle autentiche e realizzate secondo tutti i crismi dell’iconografia sacra russa.

Le opere esposte sono esempi di rara bellezza e perfezione: un’armonia di forme, linee e colori, che aprono lo sguardo sugli archetipi eterni del divino. Subito, nella contemplazione delle immagini del Cristo, dei suo Angeli e dei suoi Santi e della Vergine Maria, sua Madre, colta nelle struggenti espressioni della Tenerezza, balza all’occhio la differenza rispetto alla tradizione occidentale. La composizione dell’icona non è una semplice operazione estetica, tecnica e soggettiva, ma un atto sacro a cui l’artista si prepara con digiuni e preghiere. La pittura infatti è come l’ingresso del sacerdote biblico nel Sancta Sanctorum o l’ascesa di Mosè al monte della Rivelazione: non può esserci macchia o contaminazione alcuna, bisogna togliersi i calzari davanti al roveto ardente. La lunghezza della preparazione spirituale coincide con la lunghezza dell’esecuzione che richiede molto tempo, cura, attenzione, raccoglimento profondo. Per rendere l’incarnato del Cristo ci vogliono a volte sino a 15 pennellate: ogni volta bisogna aspettare che il colore, una lucida trasparenza quasi incorporea, si asciughi e poi ripetere l’operazione, fino a quando il volto ha raggiunto quella luce e quella sfumatura che narrano insieme, nell’amalgama di tocchi più terrosi e tocchi dorati, l’umanità e la divinità del Cristo. La passione sempre più forte che l’Occidente nutre per le icone nasce sia da questo mondo spirituale svelato e insieme nascosto nelle sacre immagini, sia dal linguaggio adoperato. Un linguaggio fisso, preciso, canonico, che gioca su infinitesime variazioni mai legate alla soggettività dell’artista ma alla manifestazione stessa di un volto del divino. Mentre l’arte sacra occidentale è affidata all’ispirazione dell’artista che ogni volta varia i suoi simboli e le sue immagini – non esiste un tipo fisso del Cristo, della Vergine, dei Santi e di tutte le altre raffigurazioni -, l’iconografo attinge ad uno spartito fisso di figure, di tipi inalterabili. Il volto di Gesù e della Madonna è ogni volta lo stesso, lo si può subito riconoscere, non può mutare. Se mai le diverse icone sono progressivi affinamenti e articolazioni del dialogo tra artista, fruitore e Divinità. Il trascendente è eterno, immutabile e infinito. L’occhio dell’uomo lo può esplorare fino a un certo punto: ciò che appare al confine tra la punta dell’anima e il regno di Dio passa attraverso il pennello e i colori che mostrano e insieme celano, dicono e insieme tacciono, portano all’uomo le Sante Parole della Verità e insieme il vasto silenzio del Mistero.

Questa oggettiva grandezza, questa certezza sull’identità e il significato delle immagini che guardiamo, questa limpidezza assoluta che non lascia alcuno spazio all’interpretazione e al dubbio, è la grande forza del mondo delle icone. L’uomo occidentale divenuto miope, ormai privo di lenti per vedere le cose nel loro disegno chiaro e definito, trova nell’icona la vista perduta e con essa la capacità di guardare, riconoscere e fare proprie le verità e la Verità di Dio, uniche, inalterabili e non passibili di mutamento, indisponibili a ogni lettura umana che, in quanto offuscata dalla nostra fragilità, è sempre e solo troppo, troppo umana. Qui, nelle icone, è Dio che ci parla e a noi non resta che tacere, contemplare e ascoltare. 

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