La madre incinta è colpita da ictus e cade in coma irreversibile, tenuta in vita artificialmente. Il bambino nasce vivo e sopravvive grazie alle attenzioni di tutti. Nessuno ne parla.

Miracolo della vita in Ungheria




Sentite questa. A Debrecen, Ungheria orientale, una donna incinta di 31 anni, colpita improvvisamente da un ictus al terzo mese di gravidanza, mai più ripresasi, finita poi in coma irreversibile e dichiarata quindi – a norma degli odierni standard medici – clinicamente morta a livello cerebrale, è riuscita a dare alla luce con parto cesareo un bambino alla ventisettesima settimana dopo essere stata tenuta ‘artificialmente’ in vita per tre mesi. Il piccolo, di cui per ovvi motivi non si conosce l’identità, è nato sottopeso ma completamente sano e nel frattempo è tornato a casa col papà e i nonni dove sembra crescere senza problemi. Inutile dirlo, si tratta di un caso pressoché unico al mondo anche se pare che non sia proprio la prima volta in assoluto che si riesca a portare a termine una gravidanza da una mamma cerebralmente morta. E’ però di certo l’unico caso al mondo di una nascita riuscita così prematura. Quello che è accaduto in quell’ospedale in quei tre mesi di coma vale un film: avuto notizia che anche in coma il bambino era ancora in vita e si muoveva, il papà e i familiari si sono recati quotidianamente al capezzale della mamma instaurando un rapporto continuo fatto di carezze al pancione e fitti dialoghi chiamandolo già per nome. Di notte, poi, la luce della sala rimaneva comunque accesa con musiche e filmati appropriati in sottofondo. Ma le stesse infermiere hanno cominciato ad alternarsi facendosi ‘conoscere’ dal bambino in modo che questi sentisse sempre delle voci attorno a sé. Finalmente, alla ventisettesima settimana il bimbo è nato sano e salvo tra lo stupore di medici, infermieri, familiari, pazienti e giornalisti. Cioè, di mezzo mondo. Nella drammaticità della vicenda, quindi, un lieto – e quantomai inatteso – fine. Tenuta in segreto sulle prime, la notizia ha fatto già il giro del mondo e le stesse ambasciate ungheresi ai quattro angoli del globo sono state ufficialmente interpellate da studiosi e ricercatori per saperne di più. E però, c’è sempre un però, diceva quello. Anzi, noi ne diciamo due.

            Il primo è di ‘metodo’, e cioè: voi avete saputo qualcosa di questa notizia incredibile? L’avete letta da qualche parte? No? Beh, non è strano? Siamo di fronte a qualcosa di inaudito ed eclatante su un tema pure spesso oggetto di dibattiti infuocati – come il senso della maternità e la vita in generale – eppure dai mezzi di comunicazioni mainstream, diciamo così’, la cosa non viene giudicata degna di rilievo alcuno, a quanto pare. Qualcosa vorrà pur dire. Forse perché non è una notizia ‘utile’ per la visione del mondo e della società che si vuole portare avanti da certe parti? Già, ‘forse’, è proprio così. Ma che non lo si dica in giro, mi raccomando. E veniamo quindi al secondo ‘però’, quello più sostanzioso. Tutta questa vicenda dovrebbe quantomeno far seriamente riflettere (e forse indurre anche a un esamino di coscienza) tutti quelli che (e ce ne sono tanti) fanno sempre i predicozzi in tv sull’autodeterminazione e la vita non degna di essere vissuta, la libertà dell’individuo eccetera eccetera. Tutti quelli che forse quella spina che teneva in funzione il sistema di ventilazione per alimentare gli organi in quell’ospedale l’avrebbero staccata da un pezzo. Magari dopo due secondi. Perché quella donna, era, con tutta evidenza, ‘un vegetale’. Ora a casa mia, non so a casa vostra, una donna che partorisce un bambino di solito si chiama ‘mamma’ e una ‘mamma’, sempre di solito, è una persona umana, non un vegetale. Ecco, se siamo onesti, quello che è accaduto a Debrecen dovrebbe farci un pò ridimensionare le nostre moderne, assolutissime pretese di onnipotenza e indurci a riflettere sulla grandezza e la profondità del mistero della vita in quanto tale che inevitabilmente ci supera e ci trascende. E  che, più che parole e slogan in libertà, richiede contemplazione e stupore per essere compreso. Lo stesso che devono avere avuto quei medici che hanno creduto e sperato – contro ogni speranza, verrebbe da dire biblicamente – che quel miracolo poteva succedere davvero. E lo hanno creduto e sperato da uomini di scienza ovviamente. Perché la scienza vera illumina e cerca di spiegare la creazione, non la distrugge. Ma se invece avessero detto, loro per primi, che davanti ai loro occhi c’era un vegetale, una vita non degna di essere vissuta e che non aveva senso continuare a occupare quella stanza in un moderno ed efficiente ospedale oggi di certo avremmo un bambino in meno e tanto cinismo in più. E poi magari ci si lamenta pure che non ci sono più ideali, valori, motivazioni profonde per tenere insieme una società sempre più liquida e frammentata. Da che pulpito. Abbiamo bisogno di speranza e di ragioni per vivere, oggi più che mai: ed è particolarmente significativo, almeno così ci pare, che ultimamente queste provengano perlopiù da quei Paesi usciti dal socialismo reale che per decenni hanno sperimentato sulla propria pelle che cosa significhi vivere senza speranza e senza alzare mai gli occhi al Cielo. Che però, per quanto possiamo ignorarlo o negarlo, è sempre lì. E continuerà a esserci. Dopotutto, c’era prima di noi e anche senza di noi. Almeno questo, dovrebbe essere normale buon senso.

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