E’ uscito da pochi giorni, ma nelle librerie cattolcihe è già stravenduto. Si tratta del libro di Massimo Gandolfini, neurochirurgo, psichiatra, padre adottivo di 7 figli, presidente di Vita è e vice presidente nazionale di Scienza & vita, intitolato Mamma e papà servono ancora?, Cantagalli, Siena, 2015.

Mamma e papà servono ancora? E’ già best seller




Il testo, di carattere scientifico, ma accessibile, tratta di gender, fecondazione eterologa, adozione, psicologia. Ne forniamo un brevissimo estratto:

…Si sente molto spesso reiterare – in modo automatico ed acritico – una frase, diventata uno slogan: “una mole considerevole di studi scientifici dimostra che – ai fini del benessere del bambino – non esiste differenza fra adozione da parte di una coppia omosessuale rispetto ad una coppia eterosessuale”. L’argomento è stato affrontato ed analizzato in dettaglio in numerosi studi (ai quali rimandiamo), limitandoci ad esporre, in generale, i punti deboli di questi lavori, che li rendono non accettabili sul piano scientifico e non credibili sul piano sociale, soprattutto quando si dovesse trarre da questi delle conclusioni che facciano da sfondo per scelte legislative e giuridiche.

Gli aspetti che limitano gravemente la credibilità di questi studi (ad esempio i 59 studi che l’APA utilizza per sdoganare le famiglie omogenitoriali) sono:

• l’utilizzo di campioni di piccole dimensioni, non rappresentativi in termini quantitativi (si va dalle poche decine ad un massimo di 500 persone);

• la selezione dei soggetti sottoposti allo studio è del tipo “di convenienza” e non casuale (randomizzazione): cioè i partecipanti non sono stati scelti casualmente fra la popolazione, ma sono stati reclutati attraverso annunci, pubblicità e mailing list della comunità gay;

• utilizzo addirittura della fattispecie “amicus brief”, cioè un saggio offerto spontaneamente da un dato soggetto, non direttamente interrogato;

• i questionari somministrati sono “self report”, cioè compilati dagli stessi genitori omosessuali sulla condizione di salute del proprio figlio; uno strumento, quindi, che non ha neppure i requisiti minimi di neutralità ed oggettività (sarebbe come se – per capire se mangiare la carne fa bene o no – facessimo rispondere ad un gruppo di vegetariani stretti);

• i gruppi di controllo, cioè i campioni di bimbi scelti per il confronto, non sono omogenei rispetto al gruppo in esame: ad esempio, si sono analizzati bimbi di coppie divorziate e risposate, figli di single, figli di conviventi senza specificare il tempo della convivenza …

• lo stesso livello economico dei genitori è molto eterogeneo e, quindi, non paragonabile: il livello economico delle famiglie gay è molto elevato (mediamente dagli 80 ai 250 mila dollari all’anno), mentre il reddito medio delle famiglie di confronto è di 60 mila dollari/anno;

• il livello culturale ed il titolo di studio è altrettanto disomogeneo, a netto vantaggio delle famiglie gay (laurea o titolo equipollente).

Inoltre, non si può tacere la faziosa disparità di giudizio nel valutare i vari lavori: da una parte si attribuisce grande valore scientifico a report con le caratteristiche appena elencate, dall’altra si alza forte la voce dell’attacco e del discredito verso lavori ben più completi ed impegnativi, ma che hanno il difetto di giungere a conclusioni non “gay-friendly”.

L’esempio forse più significativo in tal senso è rappresentato dallo studio condotto da Mark Regnerus su 3000 giovani, fra 18 e 39 anni (quindi maggiorenni), cresciuti in coppie omosessuali, cui è stato sottoposto un questionario da compilare personalmente (in “Social Science Researh”, vol.41 (4):752-770, 2012). Il dato che ne è emerso è che vi è un “significativo aumento di problematiche psicofisiche rispetto ai figli di coppie eterosessuali”

Regnerus venne attaccato con epiteti del tipo “odioso bigotto, gregario dell’Opus Dei, vergognoso, bugiardo omofobo”, autore di “dati intenzionalmente fuorvianti per screditare i genitori gay e lesbiche … scienza spazzatura e disinformazione pseudoscientifica, con forte pregiudizio cattolico”, tanto da richiedere il suo licenziamento dall’Università del Texas. Avviata la verifica da parte delle autorità accademiche, viene composta una commissione d’inchiesta che ha analizzato l’intero studio di Regnerus ed il 29 agosto 2012 si giungeva alla conclusione che il lavoro è ineccepibile in tutti i suoi aspetti.

Storia del tutto analoga con il lavoro “It’s not the same: report on child development at same-sex couple”, di Mertinez, Fontana, Romeu (maggio 2005), che concludeva: “Nessuno degli studi dello sviluppo dei bambini cresciuti da coppie omosessuali dimostra nulla, non soddisfacendo i requisiti minimi scientifici … Al contrario, alcuni dati degli studi suddetti ci portano a concludere che i bambini allevati da coppie omosessuali sono esposti – più spesso che un bimbo in una coppia etero genitoriale – a comportamenti o situazioni svantaggiose”. Vengono, quindi, elencate le possibili situazioni svantaggiose:

• problemi psicologici: bassa autostima, stress, incertezza sul proprio futuro (ad esempio la scelta del partner o decidere se avere figli o meno) e disturbo dell’identità sessuale;

• disturbi del comportamento: tossicodipendenza, abitudini alimentari disfunzionali, basso rendimento scolastico;

• alta incidenza di traumi familiari: separazione dei genitori (ad esempio, le coppie svedesi omosessuali mostrano un più alto tasso di separazione rispetto alle coppie sposate eterosessuali, + 37% nei maschi e + 200% nelle femmine);

• abusi sessuali genitoriali (Cameron P. e Cameron K. , 1996, riportano il 29% di casi d’abuso nei genitori omosessuali, contro 0,6% dei bimbi con genitori eterosessuali);

• la scelta di genere omosessuale è otto volte maggiore rispetto al bimbo allevato da una coppia eterosessuale (Trayce Hansen, 2013, riporta una probabilità sette volte maggiore).

A proposito di quest’ultimo punto, è interessante un lavoro di Walter Schumm (2010, in Journal of Biosocial Science, 42: 721-742) in cui si riporta che il 34,3% delle famiglie omosessuali maschili ed il 57,3% delle famiglie omosessuali femminili hanno un figlio con orientamento non eterosessuale. In particolare, davvero impressionante è il dato che il 61% delle figlie cresciute con due madri lesbiche mostrano un orientamento non eterosessuale…

Fonte: http://www.libertaepersona.org

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