Perché “morale” e “identità” non rimangano definizioni da vocabolario vanno aiutati quei luoghi dove esse sono insegnate ed educate

L’Occidente moribondo e la necessità di difendere la libertà (cioè gli uomini liberi)




Occorrerà tornare a rileggerselo più volte il discorso che il rabbino e filosofo inglese Jonathan Sacks ha pronunciato al Templeton Prize. Secondo il pensatore che dialogò anche con Benedetto XVI oggi la «caduta della natalità potrebbe significare la fine dell’Occidente». Un discorso lungo e ricco di spunti sull’indolenza morale ormai congenita in quella parte di mondo che, dopo aver garantito per secoli prosperità e progresso, oggi pare ripiegata su di sé, immemore della sua grandezza e sempre più propensa a pensare che basti premere «un tasto su Facebook o Google per poter rovesciare i tiranni».

Non sono cose nuove e non sono “cose cattoliche”. Da anni, raffinate intelligenze ci mettono in guardia da questa apatia che pare aver avvolto un Occidente beotamente gaio. Perdita del senso morale, della propria identità, della propria storia sono i sintomi di quell’“odio di sé”, come lo definiva Ratzinger, che oggi fa dell’Occidente il grande malato spirituale del mondo. «A un certo punto, l’Occidente ha abbandonato le sue convinzioni», ha detto Sacks, illudendosi che «la morale non fosse nient’altro che l’espressione di un’emozione».

Ma dire questo, benché indispensabile, ancora non basta: non c’è moribondo che sia guarito grazie a un buon discorso. Perché “morale” e “identità” non siano solo definizioni da vocabolario, occorre difendere quei luoghi in cui queste parole sono vivace esperienza ed esempio controcorrente. Il discorso, ancorché urticante, ce lo lasceranno, più o meno, sempre fare.

Il problema sono le scuole, le comunità, le opere. È lì che l’alternativa alla sonnolenza occidentale si esprime, è vissuta, è insegnata. È lì che la libertà non dorme sui guanciali forniti da un narcotico potere.

di Emanuele Boffi

Fonte: http://www.tempi.it

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