Presentato alla libreria Feltrinelli di Trieste "Parole perfette", il nuovo libro di Etta Paliaga: "Oggi penso che rifuggire dalla verità sia la più grande delle schiavitù".

L’inascoltato e inappagato desiderio dei giovani di credere in qualcosa di vero e di buono




«Tutti i grandi sono stati bambini una volta. Ma pochi di essi se ne ricordano», scriveva Antoine de Saint-Exupéry (1900-1944) nell’incantevole fiaba “Il piccolo principe” (1942). Ma a ben considerare l’atteggiamento di eccessivo rigore e chiusura che spesso gli adulti assumono nei confronti delle nuove generazioni, si può tranquillamente affermare che non si sono solo dimenticati della loro infanzia, ma anche della loro giovinezza. Quella giovinezza che prolunga, sia pure con una radicalità e uno spirito di ribellione assenti nei più piccoli, quella tendenza al sogno, alla fantasticheria e al desiderio di avventura e novità che i bambini vogliono vivere e realizzare ogni giorno.

L’anima giovane, così intesa, con il suo braciere in cui ardono in ogni istante innumerevoli e contrastanti tensioni verso un’esistenza vera, forte e degna di essere vissuta, si dispiega in alcune delle sue coloriture dominanti nel libro di Etta Paliaga “Parole perfette” (Falzea Editore, Reggio Calabria 2015, pp. 129, euro 12,00). L’opera è stata presentata lunedì 1 dicembre presso la libreria Feltrinelli, alla presenza dell’autrice affiancata per la lettura di alcuni passi particolarmente significativi del romanzo da Davide Francesco Zetto, studente all’ultimo anno presso il liceo classico “Francesco Petrarca” e allievo del Tartini dove studia pianoforte.

“Parole perfette” è un romanzo che combina diverse forme di espressione: il flusso di coscienza, che ci fa entrare nell’intimo dei personaggi; la narrazione vera e propria che svolge in modo lineare e semplice l’avvincente intreccio; il dialogo vivace tra i personaggi che riproduce fedelmente l’idioma giovanile, con il suo gergo spesso impenetrabile agli adulti.

I contenuti sono realistici, diretti, immediati, mai gravati da elucubrazioni o giudizi fuori campo che appesantirebbero il testo. Si racconta la vicenda di una giovane, con una vita famigliare durissima alle spalle, che viene trascinata in una storia d’amore tormentosa e sofferta, in cui si incarna una delle dinamiche negative più diffuse oggi tra i giovani molte volte coinvolti in relazioni sentimentali poco felici. Nel caso della protagonista, Margherita, si tratta di un rapporto fondato sulla tragica dinamica tutta psicologica vittima-carnefice, dominatore e dominato, che costringe la giovane a vivere un’esistenza di segregazione e dipendenza umiliante. La sua storia si intreccia con quella di altri giovani: i diversi fili narrativi connessi a ciascuno di loro si intrecciano e si fondono intorno ad un unico centro, rappresentato da una trasmissione radiofonica in cui ciascuno è libero di raccontarsi in assoluta libertà.

Tra esitazioni, crolli emotivi, paure, cose dette e non dette, la vicenda progredisce e si allarga trovando nel dialogo e nella comunicazione una sorta di saldo telaio su cui gli aggrovigliati fili di tante vite erranti e confuse si distendono e si ordinano, mostrando alla fine un abbozzo di disegno compiuto, aperto al nuovo e a un benefico cambiamento.

In filigrana, il romanzo mostra un tracciato delicato e sommesso che tocca, senza mai sviscerarlo e appesantirlo con quelle affermazioni programmatiche tipiche di tanti astratti manifesti educativi, il tema della sete spirituale e della brama di senso di cui i giovani soffrono e che a volte esprimono in forme indirette e magari travestite di ribellione, disobbedienza, caos, trasgressione ad oltranza. Al fondo di “Parole perfette” si intuisce, soprattutto nella soluzione conclusiva che appena adombra una scelta di vita in qualche modo liberatrice e ricca di buone potenzialità, la volontà dell’autrice di intercettare dietro il cosiddetto disagio giovanile proprio quella fame di significato, di pienezza, di bene e di verità che troppe volte imbocca una strada buia e deviante.

La sfida per gli adulti è proprio riuscire a cogliere anche negli errori e in tante esperienze negative e distruttive dei giovani questo filo d’oro, fatto di aneliti spirituali insoddisfatti e di un inascoltato e inappagato desiderio di credere in qualcosa di vero e di buono che appaghi la sete di amore e di verità propria ad ogni uomo. Un filo d’oro che le difficoltà della vita spesso nascondono con i fili neri e rosso cupo del dolore, del fallimento, della solitudine e dell’incomprensione. Come accade con le pietre preziose allo stato grezzo, ancora sepolte nella terra e nascoste in tunnel quasi irraggiungibili: il cercatore di pietre le trova e l’orafo le riporta al loro splendore, rimuovendo il fango disseccato che le nasconde e trovando l’incastonatura adatta a farne risaltare il valore e la beltà. Tocca agli adulti l’arduo compito di farsi cercatori di “gemme” e orafi sapienti, riuscendo ad afferrare il filo luccicante che brilla segreto nell’anima di tanti ragazzi, di dipanarlo e di tesserlo in un ordito armonioso e pacificante, in un disegno che faccia risplendere la bellezza della verità. Come riconosce alla fine la protagonista del romanzo, congedandosi dal lettore con un seme di speranza e uno spiraglio di luce che consola: «Oggi penso che rifuggire dalla verità sia la più grande delle schiavitù perché la menzogna alla lunga t’inchioda».

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