Liberaci dal Male




È dal 1964, e precisamente a partire dall’Istruzione Inter oecumenici, che non risulta comune l’espressione “preci leonine”. Dapprima derubricate, poi messe in soffitta. Ora, se ne riparla dopo oltre cinquant’anni.
In un comunicato della Santa Sede, il Papa chiede a «tutti i fedeli, di tutto il mondo» di «concludere la recita del Rosario», durante il mese di ottobre, «con l’antica invocazione “Sub tuum praesidium”» e «la preghiera scritta da Leone XIII “Sancte Michael Archangele”».
Probabilmente la cosa dice ben poco. I più ignorano l’esistenza della preghiera a San Michele Arcangelo. Forse, chi è in età ricorda che l’orazione al “Principe delle milizie celesti” veniva recitata obbligatoriamente, fino alla riforma liturgica, al termine di ogni “Messa non cantata”.
Se non si vuole liquidare sbrigativamente l’argomento bisogna tenere in evidenza la stretta correlazione tra l’origine della supplica a San Michele e la verità cristiana sul Maligno.
Questa preghiera, composta dallo stesso Leone XIII in un momento particolarmente amaro della storia della Chiesa e della Santa Sede, legato alle vicende della questione romana, viene da lui inserita nel 1884 nella liturgia ordinaria, divenendone parte integrante per più di ottant’anni.
Neanche cent’anni dopo, un altro grande pontefice intravvede l’opera del Maligno all’interno della Chiesa: Paolo VI. È la solennità dei Ss. Pietro e Paolo del 1972; il fine intellettuale Montini, durante l’omelia, ha la sensazione che «da qualche fessura sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio». Nella fase delicata e travagliata del dopo Concilio, la frase enigmatica sorprende tutti. Eppure nel novembre dello stesso anno si rende ancora più esplicito con un intero discorso sul demonio durante un’udienza generale: «Sappiamo che questo essere oscuro e conturbante esiste davvero e che con proditoria astuzia agisce ancora; è il nemico occulto che semina errori e sventure nella storia umana».
E siamo all’epoca e alla richiesta di papa Francesco. È ricorrente nella sua omiletica e nei suoi discorsi il riferimento al maligno che agita le acque su cui naviga la barca di Pietro. Per Francesco, Satana non è un mito, né tanto meno una metafora simbolica del male (come vorrebbe una certa teologia razionalista), ma una presenza reale e incombente. Ne parla chiaramente, disinvolto, senza farsi scrupoli. Il Papa sa molto bene, sulla scia di Sant’Ignazio, che il diavolo «si comporta come un frivolo corteggiatore che vuole rimanere nascosto e non essere scoperto» (cfr. Esercizi spirituali, XIV regola) ed esercita il suo influsso sulla persona, la comunità e la società.
Per questo Francesco chiede di pregare la Santa Madre di Dio e San Michele perché la Chiesa sia protetta «dal diavolo che sempre mira a dividerci da Dio e tra di noi». È l’arma della fede contro l’abilità di Satana e – parafrasando Charles Baudelaire – l’astuzia di non far credere alla sua esistenza per meglio raggiungere i suoi scopi.
Il bene e la vita della Chiesa, così pure la risoluzione dei suoi problemi, non sono il prodotto di un efficiente apparato istituzionale o di un impegno etico, ma un miracolo che sempre accade, perché opera di Dio.

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