A conclusione della processione cittadina del Corpus Domini, il Vescovo sveglia la Città anche sui temi della vita, della famiglia, dell'educazione dei bambini e dei giovani e su quello dell'intrapresa e dello sviluppo.

L’Eucarestia sveglia la Città




Alla fine della processione del Corpus Domini, che quest’anno si è tenuta domenica 22 giugno, il Vescovo tiene solitamente un discorso rivolto non solo alla Chiesa ma anche alla Città di Trieste. La processione appena conclusa, infatti, manifesta il significato non solo religioso ma anche civile e pubblico dell’Eucarestia. La salvezza di Dio coinvolge ogni aspetto della vita umana, compreso quello della convivenza sociale e politica. Dall’Eucarestia non nasce solo un atteggiamento spirituale ma una dinamica di amore divino e di verità che investe ogni ambito della vita.

Quest’anno l’Arcivescovo Giampaolo Crepaldi ha voluto ancora tenere fede a questa tradizione ed ha avuto parole molto significative su alcuni aspetti che non vanno nella vita pubblica triestina e non solo. Il Vescovo ne ha parlato con tono delicato, ma inequivoco.

«Doverosamente dobbiamo domandarci – si è chiesto l’Arcivescovo -: quale è l’apporto più importante, più grande che la nostra Chiesa può offrire alla nostra città di Trieste? Non meravigliativi per la risposta che sto per dare a questa domanda: sono profondamente convinto che il contributo più grande e più vero che possiamo dare alla nostra città, ai suoi abitanti, al suo integrale sviluppo, sia proprio l’Eucarestia. Perché? Perché, cari fratelli e sorelle, è nella e a causa dell’Eucarestia che il mondo è salvo. Senza di essa il mondo intero ed in esso la nostra città sarebbero già crollati».

E’ la presenza dell’Eucarestia nella città che rende possibile agli uomini che vivono in essa «di partecipare al Corpo di Cristo e costruire così un’autentica comunione fraterna. Siamo giunti fin qui in questo Colle, per dire alla nostra città che ciò di cui ha bisogno, ci ascolti o non, è la presenza di Cristo eucaristico».

«Ci ascolti o no»: non si tratta di superbia o di autosufficienza, ma del dovere di dire sempre la verità e di ottemperare al mandato del Signore, l’unica cosa su cui saremo veramente giudicati. La Chiesa non cerca l’applauso del mondo, ma sente di avere nei suoi confronti un dovere, che il mondo la ascolti o no.

L’Eucarestia è una presenza che «non può essere chiusa nel tempio, ma che attraverso noi suoi discepoli diventa costruttiva di una vera comunità, di una comunità che nella giustizia e nella solidarietà si apre a chi è povero; una comunità capace di coltivare la vita, tutta e sempre; una comunità che ha fiducia nelle sue famiglie e le protegge da insensati bombardamenti; una comunità che educa i suoi figli, bambini e giovani, senza irretirne lo sviluppo con illogici programmi formativi che rischiano di comprometterne la sana e naturale crescita; una comunità civile dedita a difendere il lavoro e la voglia di intrapresa tanto necessarie per il suo sviluppo presente e futuro; una comunità ben governata da persone esemplari e dedite al bene comune; una comunità per un umanesimo integrale e solidale».

I riferimenti sono fatti con tocco delicato, ma preciso. «Coltivare la vita, tutta e sempre» ci richiama al dramma dell’aborto, dell’eugenetica e dell’eutanasia, fenomeni tristissimi che oggi si vivono nell’indifferenza. «Una comunità che educa i suoi figli, bambini e giovani, senza irretirne lo sviluppo con illogici programmi formativi»: la frase si riferisce alla violenta penetrazione dell’ideologia del gender nelle scuole con programmi di precoce sessualizzazione e di educazione all’ideologia omosessualista. «Una comunità civile dedita a difendere il lavoro e la voglia di intrapresa tanto necessarie per il suo sviluppo presente e futuro», discorso molto importante per una città che non può più vivere di rendita.

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