Questa volta andiamo direttamente al punto senza troppi giri di parole e senza inutili premesse perchè non serve indorare la pillola: quanti di voi sanno che in Romania sono esistiti fino a pochissimi anni fa decine e decine di campi di concentramento? No, non ad opera di Hitler, intendiamo: dopo, molto dopo, fatti dai rumeni per uccidere altri rumeni, tra cui moltissimi cristiani. Praticamente per tutta la durata della quarantennale dittatura comunista seguita alla seconda guerra mondiale. Quanti di voi ne sono al corrente? e del fatto che uno di questi lager (Pitesti) fosse considerato già dal premio Nobel Aleksandr Solzenicyn – passato a sua volta per i gulag sovietici, il che è tutto dire – come “il più terribile atto di barbarie del mondo moderno”? che l’obiettivo di questa autentica rete concentrazionaria del male fosse non tanto e non solo uccidere a sangue freddo gli avversari politici (cioè tutti gli anticomunisti in questo caso) ma anche e soprattutto torturare, seviziare per il gusto di seviziare, giorno e notte ininterrottamente, con un livello di sadismo forse mai raggiunto nella storia recente europea? quanti lo sanno? e soprattutto: interessano a qualcuno questa memoria e le sue vittime innocenti oppure siccome sono cattolici rumeni chissenefrega, affari loro, noi abbiamo già i nostri problemi?
Comunque, a ricordarcelo arriva ora un libro meritoriamente tradotto dalle Edizioni Dehoniane di Bologna che raccoglie le lettere strazianti di uno dei tanti Vescovi clandestini rumeni che sono rimasti in Patria negli anni della terrificante dittatura, Ioan Ploscaru, morto nel 1998 (cfr. I. Ploscaru, Catene e terrore. Un vescovo clandestino greco-cattolico nella persecuzione comunista in Romania, pp. 480, Euro 30,00). Pochi cenni per inquadrare meglio di che cosa stiamo parlando: dopo la II Guerra Mondiale, all’indomani della presa del potere da parte dei comunisti appoggiati da Mosca, siamo nel 1948, la Chiesa rumena greco-cattolica (comprendente i cattolici di rito orientale, storicamente i più numerosi nel Paese) viene decretata ipso facto fuori-legge. Chi può decide allora di fuggire all’estero, ma la maggioranza dei fedeli e dei sacerdoti, tra cui l’intera gerarchia episcopale, resta nel Paese in clandestinità, a proprio rischio e pericolo. Ploscaru, che era stato appena consacrato Vescovo per ordine di Pio XII, viene arrestato con l’accusa di tradimento (in quanto suddito di una ‘potenza nemica’, il Vaticano) e condotto in carcere. Qui, senza mai essere processato, passerà ben quindici anni, quattro dei quali in completo isolamento. Quando riuscirà ad uscire, poi, nel 1964, lo aspetteranno i servizi di sicurezza della tristemente nota Securitate, che sorveglieranno praticamente ogni sua mossa giorno dopo giorno, per altri venticinque anni. Fino alla caduta del regime, nel 1989. Ma questo è ancora niente: come migliaia di altri cristiani, quello che Ploscaru subisce sulla propria pelle negli anni di prigionia supera di gran lunga i peggiori film dell’orrore: una serie di torture inimmaginabili che andava dalle bastonate inflitte sui piedi nudi in marcia sotto la neve a temperature siberiane alle fustigazioni sulla schiena ripetute fino a staccare la pelle, alle punizioni insensate nelle celle sotterranee allagate dei lager, dove l’acqua arrivava fino al ginocchio e i prigionieri erano costretti a convivere con i loro stessi bisogni. Sorvoliamo, solo per decenza, sulle numerose torture a sfondo sessuale. Che cosa aggiungere? Onestamente, difficile dire qualcosa di sensato.
Davanti a queste pagine spaventose semplicemente mancano le parole e si apre l’abisso più inesplorato del male, con il suo mistero indecifrabile e le sue perenni domande. Anche conoscendo le dinamiche storiche e politiche infatti, facciamo fatica a spiegare come mai un uomo, un ragazzo o un bambino (perchè in quei lager c’erano anche bambini cristiani) debbano essere torturati in questo modo per il solo fatto di portare una talare, esporre una croce, dirsi pubblicamente cristiani. Nel libro si legge quello che tra gli storici del Novecento ormai è assodato da tempo e cioè che l’ordine di distruggere la cristianità rumena fedele a Roma provenne direttamente da Stalin alla fine degli anni Quaranta, ma nemmeno questo basta a metterci la coscienza in pace. Il motivo probabilmente è che a livello istintivo avvertiamo – anche se non riusciamo a spiegarlo bene in parole – che quello che accadeva in quegli anni in Romania era la riproposizione, in termini terreni, dell’eterna lotta tra bene e male o, detta in termini più esatti e biblicamente corretti, tra il regno di Dio e il regno di Satana. Nulla di più e nulla di meno. Letteralmente. Siamo forse noi cristiani annacquati di oggi che non siamo più abituati a ragionare in questi termini ma ancora fino a pochi anni fa per gli stessi rumeni (che non è che poi abbiano chissà quale tradizione spirituale alle spalle) davanti all’esplosione del mysterium iniquitatis sotto forma dell’ateismo fondamentalista di Stato era un fatto acclarato. Quando a un giovane seminarista che riuscì ad avere miracolosamente salva la vita ma vide tutti i suoi amici impazzire uno dopo l’altro fu chiesto come spiegasse quelle torture folli ripetute con matematica puntualità ogni giorno, se desse più colpa a Stalin o Petru Groza (il primo dittatore rumeno), il ragazzo rispose con il filo di voce che gli rimaneva soltanto una cosa: “Lucifero”.
Siccome ancora negli ultimi giorni in tv su Chiesa e ideologie si sono sentite alcune sciocchezze in proposito sarà bene tenere testi del genere a portata di mano, giusto per ricordarci ogni tanto da dove veniamo e a quale prezzo spaventoso sia stata pagata la libertà della Chiesa.
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