L’Epistolario Magris – Marin




Credo che l’epoca delle lettere stia poco a poco tramontando. Anche dei biglietti d’auguri, specie quelli accuratamente scelti per le principali festività sacre dell’anno, piccoli gioielli di poesia e tenerezza che un tempo le famiglie si scambiavano. Senza voler criticare il trionfo del web e della posta elettronica, che sono uno strumento validissimo di ricerca, di lavoro e anche di socializzazione, ciò che mi interessa sottolineare è il fatto che questi abbiano purtroppo soppiantato quasi del tutto le vecchie lettere tanto care ai nostri nonni e bisnonni. La riflessione mi è stata ispirata dal bel libro “Ti devo ciò che sono. Carteggio con Biagio Marin”, messo insieme da Claudio Magris e curato da Renzo Sanson per le edizioni Garzanti. L’Epistolario raccoglie le lettere che i due si sono scambiate già a partire dagli anni ’50, quando Magris era ancora un ragazzo, fino alla morte di Marin nel 1985.

Un’amicizia antica quella tra Marin e Magris. Un’amicizia suggellata da una promessa dello scrittore al poeta: mai si sarebbero separati nello spirito e mai il più giovane si sarebbe ritratto di fronte ai doveri di un vero figlio nei riguardi del padre. Fossero pure lontani fisicamente, si sarebbero sorretti, nutriti e confortati nella comune appartenenza ad una vocazione sì grande, ma anche tanto dura, dolorosa, difficile, persino rischiosa.

In questo Epistolario, che fotografa i diversi passi di questa comune navigazione nel mare della vita e dell’arte di due anime grandi per quanto diverse, troviamo due interessanti spunti di meditazione relativi da una parte alla crisi del dialogo reciproco, del costante confronto intellettuale e dall’altra ai profondi e tortuosi meandri in cui viaggia la creatività umana, il cosiddetto genio, delizia ma anche tormento degli artisti di ogni tempo.

Il tramonto della classica lettera, il cui valore intellettuale, spirituale ed affettivo possiamo riscontrare soprattutto negli Epistolari di tanti celebri artisti, comporta anche un declino dell’anelito a conoscere, a cercare un senso, a ragionare sulla propria vita e sulle proprie profonde aspirazioni alla felicità. La lettera, come il diario, ti costringe ad indagare quotidianamente il tuo stato interiore, a farti delle domande decisive e a cercarvi una risposta anche attraverso il dialogo con l’altro. Aiuta a ragionare, a capire, a sviscerare le grandi questioni del vivere. Nei messaggi della posta elettronica o sulla chat o twitter non vi è più nulla di tutto questo: solo frasi mutile e brutte che vanno alla deriva in un mare di nullità.

L’altro aspetto, relativo alla vocazione dell’artista e del suo destino, domina gran parte delle pagine del libro: da una parte Marin, con la sua sensibilità perennemente ferita dall’esistente e alla ricerca infinita di conforto e soprattutto di approvazione; dall’altra Magris, giovane, colto, intelligentissimo e dotato di un raro talento creativo e di una potente capacità di penetrazione delle forze luminose ma anche oscure che scorrono nel grembo della vita come fiumi carsici. Dalle loro parole, dai loro scontri, dalle incomprensioni e affettuose riconciliazioni traspaiono il privilegio e le afflizioni di un dono quale quello del talento e dell’ispirazione artistica. Da poeta, Marin, attaccato come una conchiglia alla propria isola di sabbia e sole, vive giorno e notte nell’ascolto della voce segreta delle cose e si sente chiamato da esse a dirne il tacito messaggio. Da intellettuale e scrittore, Magris scandaglia gli abissi dell’uomo, specie di quello sradicato e inquieto del nostro tempo, scegliendo come laboratorio di studio e di verifica delle sue intuizioni proprio la Mitteleuropa.

Un Epistolario quello tra Marin e Magris da leggere e centellinare poco a poco, per ritrovare il gusto e il senso della vera amicizia, quella cantata dai grandi classici, che lega il maestro al discepolo e viceversa. Per interrogarsi continuamente sulle proprie forze, le proprie vocazioni e sul senso perduto delle grandi domande e delle grandi risposte che ci rendono questa vita degna di essere vissuta sino in fondo, nella gioia per la sua bellezza e nella sofferenza per i suoi paradossi ed enigmi a volte senza umana risposta.

 

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