Le poesie di Chiara Galassi




 Le due citazioni dal libro delle “Poesie” del poeta latino Catullo, che aprono e chiudono la breve silloge della triestina Chiara Galassi “La barca della luna” (Salento Books, 2012, pp. 73, euro 15,00). sono già la cifra del mondo lirico di questa autrice elegante e ispirata. Infatti la poesia di Catullo fu per la letteratura romana uno dei segni più riusciti di una nuova stagione letteraria dominata da valori inediti rispetto a quelli tradizionali: il gusto del frammento, il labor limae, la raffinata cesellatura delle parole, il tocco delicato e la rarefatta calligrafia dei sentimenti e delle emozioni umane.

Al vasto respiro dell’epica e agli impeti appassionati della tragedia, questa nuova poesia sostituiva un respiro lieve, un’impronta estetica attenta al particolare nella sua immediata bellezza. Nessun fine celebrativo o funzionale alla mentalità pragmatica del mondo romano, ma la quiete, la contemplazione e il silenzio che fioriscono nell’otium negotiosum.

Le poesie della Galassi sono brevi, frante, con versi composti spesso da una sola parola che, così isolata, brilla di tutti i suoi fuochi, come una gemma nella sua incastonatura d’oro.

È una parola che non dice, non svela, non afferma, ma suggerisce, accenna, allude. È la stessa dimensione dell’haiku, classica forma poetica giapponese composta da tre versi: in questa brevissima strofa il poeta profonde non una conoscenza, un pensiero compiuto o una conclusione definita, ma un “presentire” qualcosa di inafferrabile che sprigiona dal fluttuante mondo dell’apparenza.

Attraverso lampeggianti immagini naturali, barlumi di sentimento, echi di memorie e presagi indefiniti, ogni lirica si affaccia su un mondo di cose e presenze che sono sempre simboli di un “oltre” sfuggente. E allora il destino, il senso stesso di esistere sono come “un libro vecchio/scritto in cinese”. Un codice infinito, bello, misterioso, di cui si cerca la chiave di accesso, per scoprire che la sola via è quella della parola poetica.

Un’immagine ricorrente è quella della rosa.

Questo fiore può essere scelto ad emblema di tutto il mondo lirico della poetessa. Esso ci riporta al mistico Angelus Silesius e alla sua “rosa senza perché”: bella nel suo sfavillare gratuito, nella sua purissima palpabile grazia. A ricordarci — e di qui il sapore di “ascoltare” l’incantevole sciabordio della “Barca della luna” — che il senso di tutto a volte è proprio questo silenzioso sostare ai piedi del mistero e della sua beltà.

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