Le Femen e la nuova questione femminile




Tra gli eccentrici quanto singolari fenomeni di costume saliti alla ribalta negli ultimi anni vanno annoverate certamente le Femen, il ristretto gruppo di giovanissime militanti femministe ucraine che girano per il mondo denudandosi tra la folla, o tra i vip, nel bel mezzo dei più grandi e importanti happening, politici, culturali o religiosi che siano. Fondate nel 2008 per protesta (così dicono) contro la società corrotta e patriarcale, cioè a loro dire maschilista, ucraina, in poco più di una manciata di anni sono riuscite a ottenere visibilità praticamente in tutte le manifestazioni possibili e immaginabili del pianeta guadagnandosi invariabilmente le prime pagine dei quotidiani e le aperture dei tg serali. Addirittura c’è già un film, presentato pure all’ultimo festival di Venezia, che gira in questi mesi anche dalle nostre parti: “Femen – l’Ucraina non è in vendita” (versione italiana edulcorata del più forte “Ukraine is not a brothel” inglese, cioè l’“Ucraina non è un bordello”) della regista australiana Kitty Green in cui fanno capolino tutte le protagoniste della vicenda, a cominciare da quella Inna Shevchenko che è diventata universalmente il volto-simbolo della loro lotta al punto che Hollande – per celebrare la nuova festa nazionale della laicità – qualche mese fa in Francia fece coniare apposta un francobollo nuovo di zecca con la sua faccia. Ok, ma perché interessarsene? Direte voi. Se ne vedono tante di cose strane in giro, una più una meno, ormai ci siamo abituati. Ma il motivo è proprio qui: che invece non è affatto solo un fenomeno commerciale né, così almeno ci pare, può essere rubricato come mero folklore. La questione Femen interessa anche noi e la Mitteleuropa proprio perché attorno al ruolo naturale e sociale della donna si sta giocando oggi una battaglia di enorme importanza (non solo culturale, ma anche politica e religiosa) e che di certo – se non altro per gli effetti a lungo termine – ci riguarderà tutti. Quando le Femen tagliano davanti alla tv con la motosega la grande croce in memoria delle vittime (in gran parte cristiane) dello stalinismo o quando si svestono in piazza san Pietro o quando interrompono la Messa di Natale nel duomo di Colonia (per arrivare alle terre tedesche) salendo in piedi sull’altare non si può fare spallucce e girarsi dall’altra parte come nulla fosse facendo finta di niente. E’ evidente che compiendo queste scelte e lanciando determinati messaggi – ben consapevoli del consenso che hanno soprattutto a livello giovanile in Occidente, risultato o meno della loro oggettiva bellezza fisica qui non è rilevante – le Femen fanno più che provocare, insultare, lasciare il sasso nello stagno e scappare: si tratta di un’operazione ben calibrata che suscita reazioni e attira l’attenzione su temi (l’aborto o l’ideologia di genere, guarda un pò) che sono strumentali alla visione del mondo che si vuole propagandare.

Il prossimo Rapporto annuale sulla Dottrina sociale nel mondo dell’Osservatorio Internazionale Van Thuân non a caso tratterà proprio di questo tema perché quando le idee sinistre di un intellettuale da strapazzo attecchiscono per la strada tra la gente comune e guadagnano persino qualche applauso è il segnale che la rivoluzione è già in atto e occorre fare qualcosa prima che sia troppo tardi. Proprio così sono nate, stavolta in Francia, le Antigoni: le ragazze anti-femministe che rivendicando – ugualmente – la loro specificità femminile sono scese in strada (con vestiti tanto casti quanto sono praticamente inesistenti quelli delle Femen) per dire che anche loro sono donne, hanno qualcosa da dire in pubblico e non si sentono per nulla rappresentate da quelle ucraine scalmanate, un po’ isteriche e mezze nude. Anzi, le detestano proprio. Perché così facendo – dicono le Antigoni – stanno distruggendo nell’immaginario tutto quello che c’è (e che resta) di più delicato e fragile dell’identità femminile, cioè la tenerezza, la disponibilità all’accoglienza, il senso istintivo e insopprimibile della maternità. Manco a dirlo, i mass-media, al solito banalizzando e buttando tutto in gossip e sensazionalismo, hanno fatto titoloni a effetto del tipo ‘ecco le trasgressive contro tradizionaliste, votate le più belle’ e idiozie del genere.

Ma in realtà, come dicevamo, la questione è seria e attualissima. Staremmo per dire grave. Di più: inaudita. Perché mai prima di oggi delle donne avevano contestato che si potesse essere mamme e che anzi la maternità fosse in sé nella natura della donna. Certo, c’era stato il ’68 a dire il vero, che infatti stiamo ancora pagando alla grande. Ma anche allora le idee che oggi rischiano di essere dominanti non erano affatto condivise. Il ’68 fu tante cose insieme e fu di certo esplosivo quando scoppiò, anche nella Chiesa (come non ricordare che dopo quell’anno Paolo VI, con la pubblicazione dell’Humanae Vitae, non scrisse più alcuna enciclica chiudendosi in un silenzio drammatico che di certo accelerò la progressiva degenerazione della salute fisica?) ma le conquiste della ‘cultura della morte’ erano ancora lontane da venire. Figuriamoci la questione antropologica. Insomma, e qui volevamo arrivare, non è questione di Femen o Antigoni ma di un’intera civiltà che si autodistrugge (come già e ancora Paolo VI parlò di “autodemolizione”) consegnandosi alla decadenza tout-court. Per dirne una, se nella civilissima Germania ci sono donne coraggiose come Gabriele Kuby e Birgit Kelle che vanno in radio e tv da donne a dire queste cose ci sono pure altrettante donne (se non di più) che le contestano vivacemente e anzi, fosse per loro, gli impedirebbero proprio di parlare. Poi uno dice che fine ha fatto la solidarietà femminile. Più nel nostro piccolo, ognuno di noi forse conosce situazioni simili e magari persino qualche ragazza che si affaccia ora all’adolescenza o ne è appena uscita che è lo specchio vivente, suo malgrado, di quanto stiamo dicendo per sommi capi. Perché le idee giuste, la famiglia e l’educazione ce le avrebbe pure solo che tutti gli altri (e anzi a volte tutte le altre) le dicono che quella sbagliata è lei. Uno dice: vabbè, cambia scuola o amicizie no? Certo, si può cambiare tutto, potendo e volendo, fermo restando che il contesto educativo è quanto di più sensibile possa esistere a quell’età, ma i problemi e le questioni serie restano tutte intatte. Non è che se lo struzzo mette all’improvviso la testa sotto la sabbia il leone sparisce. Anzi, di solito fa una brutta fine. Questo lo diciamo non per terrorismo ma per realismo. Se poi uno ha dei problemi seri col realismo, come si suol dire, non è evidentemente affar nostro.

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