Le acquasantiere di Orietta Berti




«Il grillo disse un giorno alla formica:”Il pane per l’inverno tu ce l’hai! Perché protesti sempre per il vino? Aspetta la vendemmia e ce l’avrai». Finché la barca va lasciala andare».

Uno dei maggiori successi di Orietta Galimberti, in arte Berti, è stato “Finché la barca va”, che non è l’inno del qualunquismo ma piuttosto un consiglio prudenziale a sapersi accontentare, come consiglia nella canzone persino al fratello: «Mi sembra di sentire mio fratello che aveva un grattacielo nel Perù. Voleva arrivare fino in cielo e il grattacielo adesso non l’ha più».

Forse non tutti sanno che all’inizio della sua lunga carriera, nel 1965, la “capinera dell’Emilia”, come veniva denominata, aveva interpretato Suor Sorriso, la suora domenicana belga, al secolo Jeanne Deckers (1933-1985), che nel 1963 aveva ottenuto un clamoroso successo in tutto il mondo, soprattutto con il disco “Dominique”. Nell’interpretazione di Orietta Berti i brani della suora belga, che morì suicida nel 1985 nei pressi di Bruxelles senza tuttavia aver mai rinnegato la fede cattolica, divenivano di accessibile comprensione pure in italiano.

Un altro appellativo che esprimeva la bravura della cantante reggiana fu “l’usignolo di Cavriago” (dal paese nativo) dove suo padre, appassionato cultore di lirica, aveva iniziato la figlia facendole studiare canto. Nel 1967, anno del suo matrimonio, la Berti presentava al Festival di Sanremo un altro brano divenuto famoso: “Io, tu e le rose” a cui succedeva, nel 1968 al Disco per l’estate un altro pezzo, “Non illuderti mai”, cantato spesso nelle taverne e nelle case dal popolo italiano: «Ma tu che cosa credi, che il mondo sia di pietra, la goccia batte il sasso e se ne va. Ma non conosci il pianto di quella che vuol bene come me e tu cambi bandiera (…). Amore tu non hai pietà di me perché cambi bandiera».

Anche se maggiormente conosciuta per le canzoni d’amore, Orietta Berti ha interpretato anche canzoni di denuncia sociale, come nel brano: “Via dei ciclamini” del 1971, dove denunciava il fenomeno degradante della prostituzione: «In Via dei Ciclamini al 123 vendevano le bambole vestite come me». In altre canzoni: “Per scommessa” e “La vedova bianca”, entrambe del 1972, la Berti stigmatizzava la donna considerata come un oggetto e le condizioni di vita degli emigranti fino alla morte sul lavoro del marito (nella “Vedova bianca”). Nel 1981 Orietta Berti presentava al Festival di Sanremo una canzone, “La barca non va più” (scritta da Bruno Lauzi e da Pippo Caruso), che andava a rivisitare le condizioni di quella barca che dieci anni prima aveva regalato a lei, in termini di successo anche commerciale, quel favore di pubblico che ora faticava a mantenere.

In altre canzoni meno famose, Orietta Berti ha salvaguardato le genuine tradizioni umane e cristiane. Penso al bel brano: “Settimo giorno” in cui il valore della domenica quale giorno di riposo e di rigenerazione è suggellato alla fine dal riconoscimento della presenza del Creatore: «Il settimo giorno è giorno di festa, perfino il buon Dio ha detto ora basta»; penso ad un altro pezzo, “Incompatibili ma indivisibili”, nel quale auspicava la saldezza dell’istituto familiare: «Coi nostri lividi in fondo all’anima (…) come due naufraghi su questa zattera, incompatibili ma indivisibili (…) e contro tutti siamo qui, con due caratteri così, incompatibili ma indivisibili». Cantando e collezionando si impara, come ha fatto Orietta Berti con la sua fantastica raccolta di acquasantiere, a mantenere viva la tradizione del bel canto e dei nobili oggetti che rimandano alla fede popolare.

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