L’abbacinante splendore del Tutto




nagel

E adesso è il turno di Thomas Nagel, classe 1937. La teoria dell’evoluzione, dice, è «quasi certamente falsa». Lo sostiene nel suo ultimo libro “Mind and Cosmos: why the materialist neo-darwinian conception of nature is almost certainly false”, recensito da Mattia Ferraresi su “Il Foglio” (“Né con Dio né con Darwin”, a.XVIII, n.46, p.III).

Dichiaratamente ateo, il noto filosofo naturalizzato statunitense (ma nato a Belgrado), è l’ennesimo studioso che rifiuta di fondare la propria ragione sul conformismo darwinista. Il darwinismo, che non c’entra molto con la serietà scientifica di Charles Darwin, pretende di trasformare un’ipotesi scientifica non dimostrata – la teoria dell’evoluzione appunto – in certezza inconfutabile. Ma la teoria di Darwin è, viceversa, confutabilissima e di fatto confutata, in sede scientifica, innumerevoli volte. Interessante, ad esempio, la tesi del biochimico Michael J. Behe, che ha dimostrato anni fa come le strutture biochimiche complesse siano del tutto «irriducibili» in complessità («irreducible complexity»).

In Italia è stato molto attivo il genetista Giuseppe Sermonti, critico su Darwin già da un trentennio. Jean Rostand (1894-1977), biologo e accademico di Francia, sostenne che «la natura vivente appare come ancora più stabile, più fissa, più ribelle alle trasformazioni» di quando Darwin pubblicò nel 1859 “L’origine delle specie” (su “Le Figaro Litteraire”, 20/04/1957). L’elenco degli scienziati scettici nei confronti dell’evoluzione delle specie è lungo e indica che la contrapposizione non è tra evoluzionisti e creazionisti, ma tra persone ragionevoli o meno. È ora abbastanza chiaro che la suddetta diatriba è stata messa in campo da chi ha il secondo fine di opporre la fede alla ragione ed è del tutto pretestuosa: la teoria darwiniana è inattendibile dal punto di vista paleontologico, genetico, biologico e biochimico, prima ancora di qualsiasi considerazione religiosa.

Ma, tornando a Nagel e all’articolo di Ferraresi, il problema non è tanto di dimostrare la fondatezza o l’infondatezza scientifica dell’evoluzione (che è compito delle scienze naturali), ma di contrastare la concezione fortemente materialista della natura imposta dagli evoluzionisti. Nagel è un filosofo e da filosofo si è accorto che l’evoluzionismo nasconde un «dogmatismo materialista». A sua volta, tale materialismo si fonda sull’assunto «riduzionista» contemporaneo, secondo cui la realtà è abbondantemente spiegata e interpretata “riducendo” i concetti al numero minimo sufficiente. Così, per una mentalità di questo tipo, l’uomo è spiegato a sufficienza descrivendolo come un ammasso di cellule. Oppure, se si volesse spiegare l’arte, sarebbe sufficiente “ridurla” a un concentrato di colori.

Non pare dunque necessario credere in Dio o tirare fuori la teologia per capire che in questo modo di pensare c’è un qualcosa di vagamente cervellotico. L’ateo Nagel, difatti, già dal 1974, nell’articolo “Che effetto fa essere un pipistrello?”(su “The Philosophical Review”), notava che, se la coscienza soggettiva dell’uomo volente e conoscente e quella istintiva del pipistrello dovessero essere “ridotte” a semplici attività cerebrali elettrochimiche, uomo e pipistrello vivrebbero in due mondi diversi, poiché hanno una percezione differente della realtà oggettiva. La percezione umana, cioè, nel suo costante riferimento al mondo oggettivo della scienza, non sarebbe in nulla decisiva rispetto all’animale, circa la descrizione del cosmo.

In “Mind and Cosmos” Nagel critica allora il materialismo perché, riducendo la coscienza a stimolo soggettivo – e che per questo, quindi, «dev’essere tenuta fuori dalla porta» nello studio oggettivo della natura – distrugge la stessa realtà oggettiva che inizialmente era intenzionata a proteggere. Il filosofo è contrario ad un’idea di evoluzione fondata esclusivamente su un processo fortuito di eventi, seppure incanalati dalle leggi fisiche. È contrario, specialmente, ad una scienza che escluda a priori «l’ideale filosofico di trovare un singolo ordine naturale che unifica tutte le cose».

Cartesio almeno, dice Nagel, rinunciò ad un programma unificatore. Lo scientismo moderno invece pretende di unificare tutto, scartando però tutte quelle realtà oggettive che non riesce a cogliere o a spiegare. Preferisce ridurre il campo dell’epistemologia pur di non ammettere di non riuscire a spiegare come, dalla materia morta, sia scaturita la vita.

«La domanda di Nagel – scrive Ferraresi – suona così: quale principio unitario può spiegare l’esistenza della vita, degli organismi, dell’uomo, la sua evoluzione, la comparsa della mente, i desideri, i valori, l’intenzione, senza uscire dall’ambito della natura e senza ridursi all’ambito della materia»? È del tutto evidente, per il filosofo, che se anche non fosse considerata l’esistenza di Dio, è comunque insufficiente rimanere nell’ambito materiale per dare una spiegazione unitaria al tutto.

«Quello di Nagel – conclude Ferraresi – è un invito ad allargare la ragione per inquadrare in tutto il suo abbacinante splendore un cosmo irriducibile al paradigma della scienza galileiana».

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