“Questa sera è festa grande, noi scendiamo in pista subito… finché vedrai sventolar bandiera gialla tu saprai che qui si balla e il tuo cuore batterà”.
Il successo di questa canzone (Bandiera gialla, oltre 10 milioni di copie vendute) resa famosa nell’interpretazione di Gianni Pettenati nel 1966 l’ha fatta diventare un cosiddetto brano cult di quegli anni ’60, culminati nella rivoluzione dei costumi del ’68. Un anno dopo, infatti, Pettenati (con Gene Pitney) porterà al successo un altro brano dal titolo paradigmatico: “La rivoluzione”. Di quel periodo di fremiti giovanilistici, di utopie libertarie e di pacifismo ad oltranza, congiunto con droga e sesso libero, è testimone ingenuo anche questo brano: “Ci sarà la rivoluzione, nemmeno un cannone però tuonerà. Ci sarà la rivoluzione, l’amore alla fine, vedrai, vincerà. E basteranno poche ore per fare un mondo migliore, un mondo dove tutti saranno perdonati”. Si poteva e si doveva perdere la “tramontana”, come suggerisce un altro omonimo titolo di successo del cantante piacentino: “Son qui che soffro, son qui che lotto tra il bene e il male e per il filo di quella lana ho perduto la tramontana”.
A questo punto una persona potrebbe sospettare che l’interprete di queste canzoni inneggianti sogni e desideri irreali, speranze malposte e ideali vaghi e illusori, sia un personaggio datato e scomparso inevitabilmente, con la stessa fine delle ideologie sessantottine, dal proscenio attuale. Niente di più erroneo. Gianni Pettenati, ultimo di sedici fratelli, è stato uno dei più colti cantanti e musicisti del panorama della musica leggera italiana: vincitore di un concorso canoro nel 1951 all’età di sei anni, dopo aver studiato solfeggio, si è diplomato a 21 anni in violoncello. Cresciuto in una famiglia di “melomani” (il padre, appassionato di opera lirica, dall’età di 6 anni gli insegnerà numerose romanze), Gianni Pettenati dopo aver studiato grafica, si dedicherà al teatro, recitando i drammi di Luigi Pirandello. In quegli anni di ebbrezza rivoluzionaria e degli slogans, ora divenuti risibili, come ad esempio: “La fantasia al potere”, la bandiera gialla del movimento giovanile sventolava nelle balere (precedenti le discoteche), nei raduni hippy, per le strade (on the road), nelle radio (come l’omonima trasmissione radiofonica in onda dal 1965 al 1970, condotta da Gianni Boncompagni e Renzo Arbore, rigorosamente vietata ai maggiori di 18 anni). “Bandiera gialla”, simbolo della quarantena per epidemia, rappresentava così la riscoperta della libertà, dei capelloni, dei balli moderni, della contestazione, della trasgressione. Per una persona amante dei libri, autore di romanzi, appassionato di filosofia e di pedagogia come Gianni Pettenati, “Bandiera gialla” rappresenta ora, secondo le testuali parole dell’interprete: “Una di quelle canzoni che rovinano un cantante … Ti marchia a vita”.
Cantando si impara a non lasciarci cullare dal successo apparente, dalle mode passanti, dall’immaturità di qualsivoglia ideologia ( sia pure ingenuo giovanilismo). Gianni Pettenati, al contrario di quella innocente rivendicazione antiautoritaria che è emersa da tante sue canzoni, ha voluto ringraziare i suoi genitori: “Un grazie particolare a mia madre che mi ha allevato in modo sano, pulito, con tanto buon senso”. Cantando impariamo ad aiutare Pettenati nel suo appello davvero liberatorio: “Bandiera gialla ormai ha 50 anni: è ora che si sposi con qualcuno e mi lasci perdere”. Vogliamo sostenerlo in questo autentico desiderio di sana e cristiana libertà?
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