Depredati e privati di ogni cosa, persino dell’acqua e del contenuto dei biberon dei neonati. Nell'articolo di Anna Bono la via crucis dei cristiani perseguitati dall'Isis e non solo.

La passione dei cristiani in Siria e Iraq




di Anna Bono

Sono oltre 100 milioni i cristiani oggetto di discriminazioni, persecuzioni e violenze compiute da regimi totalitari o da seguaci di altre religioni. Lo afferma un dossier della Caritas intitolato “Cristiani perseguitati: tra terrorismo e migrazioni forzate” pubblicato nel luglio del 2015. La situazione più dolorosa e disperata è quella dei cristiani del Medio Oriente: in particolare quelli di Iraq e Siria, rispettivamente in seconda e quinta posizione nella classifica 2016 di Porte Aperte. La minaccia per loro proviene dall’Isis, lo Stato Islamico creato nel 2014 da Abu Bakr al-Baghdadi.
L’ultimo Indice globale del terrorismo ha calcolato che quell’anno siano morte in attacchi terroristici compiuti dall’Isis 6.073 persone su un totale di 32.685 vittime in 67 Stati. Ma le perdite di vite umane in Medio Oriente vanno oltre i morti per gli attentati: uomini, donne e bambini giustiziati, uccisi durante gli scontri armati, caduti sotto i bombardamenti, morti di stenti, malattie, disperazione; e ancora, torturati, stuprati, umiliati, ridotti in schiavitù.

La truce violenza dell’ISIS
Ormai la violenza jihadista non lascia speranze. Il più recente rapporto dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, relativo al 2014, parla di 370.000 profughi e 3,6 milioni di sfollati iracheni assistiti, su 37 milioni circa di abitanti. Sono cifre elevate, ma che quasi scompaiono a fronte di quelle relative alla Siria, il Paese con il numero di gran lunga maggiore di persone in fuga sia in termini assoluti che relativi: nel 2014, 3,88 milioni di profughi e 7,36 milioni di sfollati su una popolazione totale di circa 17 milioni.
Si stima che 900.000 cristiani abbiano abbandonato l’Iraq e mezzo milione la Siria da quando è iniziata la guerra civile nel 2011. Probabilmente circa un profugo siriano su otto è cristiano. Solo da Aleppo ne sono partiti 100.000. Così i cristiani che hanno vissuto in Medio Oriente per quasi 2000 anni ora sono sul punto di scomparire, ridotti oggi al 6% della popolazione, mentre mezzo secolo fa erano ancora il 20%.
Il 29 giugno 2014, pochi giorni dopo la caduta di Mosul nelle mani dei suoi miliziani, Al Baghdadi si autoproclamava Califfo e fondava lo Stato Islamico. Il 18 luglio emanava un editto con forma di legge: “Cristiani della città di Mosul – proclamava – dovete scegliere fra tre possibilità: o vi convertite all’Islam, o pagate la tassa di sottomissione (quella che l’Islam prescrive di imporre agli infedeli costretti in stato di dhimma, sottomissione), oppure dovrete affrontare la spada”. All’indomani dell’editto, gli ultimi 5.000 cristiani rimasti nella città partivano per non dover abiurare la loro fede, non fidandosi dell’assicurazione che, pagando la dhimma, avrebbero avuta salva la vita.

La caccia al “Nazareno”
Nei giorni precedenti i militanti dell’Isis avevano incominciato a scrivere con la vernice sulle pareti esterne delle case dei cristiani la lettera “N” dell’alfabeto arabo, iniziale di “Nazareno”, termine con cui spesso i musulmani chiamano i cristiani. «Prima sono stati depredati e poi lasciati passare» racconta parlando degli esuli di Mosul l’inviato speciale della rivista Tempi Rodolfo Casadei nel suo libro “Perseguitati perchè cristiani” (Mimep-Docete, 2015): depredati e privati proprio di ogni cosa, persino dell’acqua e del contenuto dei biberon dei neonati, versati a terra, affinché i profughi viaggiassero sprovvisti di tutto, anche del poco che avevano potuto trasportare in sacchi e valigie. Fu ancora peggio poche settimane dopo, quando l’attacco dell’Isis nella piana di Nineve mise in fuga in una sola notte, dal 6 al 7 agosto, 300.000 persone, 120.000 delle quali cristiane.
Ad aggravare la condizione dei cristiani e delle altre minoranze contribuisce un notevole sostegno all’Isis nei villaggi arabi sunniti: anche da parte di persone non convinte alla causa della guerra santa, ma solo interessate a partecipare al saccheggio delle proprietà abbandonate.

Un impoverimento per tutti
È una tragedia immane per i cristiani che partono senza sapere se potranno mai tornare e sopravvivono in condizioni difficilissime, ammassati nei centri di accoglienza allestiti per loro; ed è una tragedia per i paesi che, costringendoli a espatriare, si privano della loro presenza preziosa. «Noi cristiani siamo lì come fattori di riconciliazione, di pace – diceva intervistato nel 2015 dalla rivista Tempi il vicario apostolico latino di Aleppo Georges Abou Khazen – siamo l’unico gruppo religioso che ha buone relazioni con tutti gli altri gruppi, inoltre siamo fattori di cultura, di modernizzazione».
Con il vescovo di Aleppo, Monsignor Antoine Aido, e con il patriarca melchita Gregorio III Laham, il vicario apostolico chiedeva all’Europa e al mondo aiuto si, per i profughi, ma soprattutto di impegnarsi per la pace, per mettere fine all’esodo: «i cristiani siriani sono grati per l’appello del Papa all’accoglienza – spiegava a settembre a Radio Vaticana Monsignor Audo – ma il nostro desiderio come cristiani e come Chiesa è rimanere nel nostro Paese e facciamo di tutto per tener viva la speranza».

 

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