La nuova silloge di Chiara Galassi




Castalia è il nome di una ninfa della mitologia greca. Si narra che il dio Apollo si invaghì di lei non corrisposto. La ninfa, per sfuggire le brame del dio, si tuffò nelle acque di una fonte vicina al Parnaso — il monte consacrato alle Muse, divinità tutelari dell’ispirazione artistica — e venne trasformata da Apollo stesso in un fiume. Secondo questa versione del mito le acque in cui si sciolse la ninfa fuggitiva acquistarono il potere di ispirare i poeti, qualora ne bevessero.

“Castalia” è il titolo dell’ultima silloge poetica di Chiara Galassi (Salento Books, Lecce 2015, pp. 103, euro 13,00), poetessa triestina imbevuta di classicità sia nei contenuti che nelle forme. In quest’opera rileviamo subito un elemento inedito, perlomeno rispetto alla sua precedente raccolta da noi recensita: la presenza, molto tenue ma efficace, di brevi poesie in dialetto ove la cadenza sciolta e famigliare del vernacolo declina in un clima amichevole e caldo le tematiche ricorrenti dell’autrice.

La scelta del titolo “Castalia” rivela la sorgente della silloge che è una percezione del mondo, della vita, della natura e dell’animo umano che possiamo giustamente definire “classica”. La Galassi è poetessa classica nei temi scelti. L’amore, può essere potenza che afferra, travolge, scompone l’anima e la “ricompone” con impeto gioioso: «(…) non volevo incontrati / non ti volevo amore / che mi avresti travolto /; e reso immune» (“Da prima”). Ma è anche incontro tra “Amore e Psiche” in cui il vento della passione è modulato dal pensiero che “veglia”. Il destino lega le trame variopinte della vita in un intreccio ora dai colori grevi di malinconia, ora dalle sfumature tenui e dolcissime dell’“aurora dita di rosa”, la Rododaktilos Eos di epica memoria. Il respiro del verso è un vento che dilata il cuore, che porta le voci delle sirene, che stringe nella bellezza fuggitiva dell’attimo la pienezza rorida di splendore che straripa dall’essere di ogni cosa. Ma è la poesia, accanto al tema dell’amore e alle costanti meditazioni sui chiaroscuri della vita, ad essere la materia prima della sua poesia. Come nella visione classica antica, la poesia della Galassi sgorga dalle acque della fonte Castalia, simbolo del soffio spirituale che invade l’animo dell’artista rendendolo veggente e profeta. Il vasto perpetuo movimento delle cose, che assomiglia a un velo prezioso e brillante mosso dal vento, spinge dall’interno il movimento stesso della forma. Questa ne incarna, nelle sonorità e negli echi, la musica primigenia: «Mi culla il tuo respiro / mistero antico / sulle mie parole / ogni stupore / ogni meraviglia / ti porto gocce / lontananze colme / sa il vento / senti raccoglie / nuvole coralli» (“Mi culla”).

Anche il dialetto, lessico famigliare per eccellenza e come tale lingua del cuore e dell’intimità, si presta a questo gioco armonioso di corrispondenze tra contenuto e forma: «Vento te chiedo / sotto el vecio castagno / la luce semplice / de un verso de Virgilio» (“La luce semplice”). Incontri, lampeggianti stupori, eventi quotidiani e mitiche rimembranze convivono con ricordi personali, allusioni volutamente velate da una nebbia lunare. E a dirne i flussi e riflussi nelle mareggiate del vivere, la poetessa inventa o rielabora con mano delicata gli eterni simboli legati alla comune condizione umana. Simboli che sono a un tempo figure raffinate e semplici, tratte dal Parnaso del mito o dall’osservazione delle cose quotidiane e della natura.

Anche la forma poetica, lo stile, sono stati bagnati nelle acque della Castalia. La cifra della classicità aurea è misura di ogni verso: nitore, labor limae, essenzialità, eleganza, chiarezza, resi palpabili dalla stessa struttura del componimento, fatto di versi brevi e da ricorrenti enjambement. Quest’ultimo è una figura retorica della poesia che spezza la frase così che il suo significato compiuto si snodi in più versi, con articolazioni sospese e suggestive della sintassi, pause, sospensioni che afferrano il pensiero e lo trattengono sulla cresta dell’onda ispiratrice così da accendere vieppiù nel cuore e nell’intelletto il desiderio di procedere e il piacere di ascoltare.

Un palpito leggero ma inebriante sospinge, come una brezza gentile, il succedersi dei versi, sigillando l’alto valore lirico della Galassi. Il suo slancio è sempre memore della grande impresa che da millenni compie la poesia decantando dalle apparenze l’essenza, sin dal canto epico del “cieco aedo” (“Cavallo di Troia”). E come la ninfa Castalia inseguita da Apollo, anche la Galassi lega la sua poesia al nume delle arti, del Sole, delle profezie e dei sogni, i mitici regni nei cui palazzi la poesia è sempre ospite gradita e corteggiata (“Apollo”): «Sette giorni di oblio / chiedo ad Apollo / mentre danza il sirtaki / sopra il mare di Sifnos / è un’alba strepitosa / con i bei fili d’oro / tessono il peplo / di un dio felice». Ancora una volta una metafora del poetare: un peplo intessuto d’oro, dono di un dio che inonda lo spirito di felicità, sapienza e inquietudine eroica.

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