La Grotta: tra speleologia e mistica




La natura è una “foresta di simboli”, scriveva il poeta francese Charles Baudelaire. Ma il mondo dei simboli è anche una creazione umana, una “foresta” di segni sommamente significanti attraverso i quali l’uomo da sempre ha cercato di dare voce a verità profonde e misteriose, soprattutto nella sfera religiosa, mitologica, spirituale e mistica. Tra questi simboli, quello della grotta o caverna è uno dei più ricorrenti e trasversali a innumerevoli tradizioni religiose, mitiche e ascetiche. La grotta, e tutte le altre realtà ad essa collegate come l’abisso, l’orrido romantico, gli inesplorati fondali degli oceani, le miniere che si diramano in bui labirinti dentro la terra, fino alle immagini fantastiche dell’al di là infero presso gli antichi pagani come nel cristiano Dante che edifica il suo Inferno sull’immagine di una voragine sotterranea, tutte queste figurazioni rientrano nel perimetro dei simboli naturali.

All’inizio di maggio, presso il Museo Revoltella,  il “Civico Museo di Storia ed Arte” di Trieste, la “Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio” del F.V.G. e la “Società Friulana di Archeologia” (sezione Giuliana) hanno presentato al pubblico italiano il prestigioso volume “Il ripostiglio della Grotta delle Mosche presso Canzian d’Isonzo”, un catalogo scientifico in sloveno-italiano del materiale recuperato nel 1912, attraverso gli scavi di J. Szombathy, nella Grotta delle Mosche presso San Canziano/Škocjan, edito dal Narodni Muzej Slovenije di Lubiana a cura di B. Teržan, E. Borgna e P. Turk. L’opera, dedicata a questo luogo di culto protostorico alle divinità infere — una cavità verticale di 50 m —, recensisce 500 reperti costituiti da armi, ornamenti e manufatti risalenti alla tarda età del bronzo e alla prima età del ferro, tra il XII e il VII secolo a.C.

I moderni studi speleologici e geologici vertono prevalentemente sull’aspetto scientifico, storico e avventuroso della grotta che, come tutte le altre realtà fisiche e naturali, viene studiata e perlustrata con gli strumenti della scienza, della paleontologia e dell’archeologia, oppure vissuta come luogo di esercizio sportivo o di avventuroso cimento. Molto scarsa è la bibliografia sulle valenze simboliche della grotta nella storia dell’umanità, mentre non si contano le pubblicazioni che recensiscono e ordinano secondo parametri scientifici il patrimonio sterminato di cavità e grotte che sembrano convergere verso il centro infuocato della terra. Anche su questo fronte dunque è idealmente misurabile il cambiamento dei parametri conoscitivi e culturali della modernità, così diversi da quelli spiritualmente e religiosamente connotati del passato. A partire dalla fine del 1600 e l’inizio dell’epoca illuminista, infatti, lo studio delle grotte diventa una nuova scienza chiamata speleologia. Una scienza che poco a poco si spoglia di ogni attributo simbolico e iniziatico, sganciandosi dal terreno vitale in cui gli antichi trapiantavano tutti i fenomeni naturali, leggendoli come simboli della manifestazione divina.

Se già presso l’uomo primitivo, il regno sotterraneo dei metalli aveva una valenza sacrale che investiva il lavoratore dei metalli di un ruolo più che umano — sorta di sacerdote che celebrava un rito misterico di propiziazione e di devozione verso la madre terra elargitrice di tesori nascosti —, anche ai primordi della nostra civiltà, nel mondo greco arcaico e poi classico, la grotta o caverna era figura legata al sacro e al divino. Ne danno testimonianza l’Ade sotterraneo, dimora di anime dolenti e di divinità oscure, i siti degli oracoli nella maggior parte dei casi vicini o dentro le cavità rocciose, i miti legati alla sfera sotterranea come quello di Orfeo che cerca Euridice nell’Orco per riportarla sulla terra o di Ercole che vuole annientare Cerbero. Anche il pensiero filosofico,  nella speculazione di Platone, si serve dell’immagine della grotta per raffigurare lo stato delle anime ancora immerse nell’ignoranza e lontane dallo splendore del mondo delle Idee e della suprema Verità. Enea stesso, nel poema di Virgilio, consulta le anime dei morti e in particolare quella del padre Anchise abitatore dei radiosi e beati Campi Elisi — l’unica eccezione nella visione tetra e cupa dell’Ade propria alla mitologia classica —, scendendo nelle viscere della terra per conoscere il proprio Fato.

Nell’antica mitologia indù la caverna è simbolo della nascita e della rinascita, luogo fisico ma anche spirituale ove si cela l’“embrione dorato” o scintilla divina  accessibile solo a chi, con la meditazione e la contemplazione, sia riuscito a far risalire il respiro vitale dell’essere dalla parte inferiore del corpo a quella superiore, ove intelligenza, sapienza e illuminazione vibrano all’unisono nella luce increata.

Con il cristianesimo la grotta diventa simbolo della nascita divina, nell’evento della Natività a Betlemme, e simbolo di morte e rinascita con il seppellimento di Gesù in un sepolcro-grotta e la sua resurrezione dalla stessa. Grembo che dona la vita e grembo oscuro dove la morte si trasforma in vita gloriosa ed eterna: i cristiani condensano intorno all’immagine della grotta il messaggio più profondo della loro fede. Cristo è disceso agli Inferi, negli abissi della terra da dove ha trascinato alla luce tutte le anime del passato e lui stesso è risorto nel buio di una cavità funebre ove le spoglie mortali si sono trasfigurate nel divino e incorruttibile splendore di un nuovo corpo, tutto luce e fulgore, lo stesso corpo che avremo anche noi quando verrà la nostra ora di discendere nella terra e nella terra attendere il Giorno dei giorni.

Ma intorno alla caverna si sono condensati anche numerosi miti, in verità ammantati di fiaba, fioriti in età cristiana: Carlo Magno che dorme un sonno millenario in una grotta misteriosa, re Artù che vive nascosto nelle viscere infuocate dell’Etna, le cavità profonde ove giacciono immensi tesori custoditi da animali fantastici. Senza dimenticare la vitale importanza che la grotta ha avuto, in virtù delle sue risonanze simboliche legate all’evento di Cristo morto e risorto, presso i Padri del deserto che vivevano da eremiti dentro cavità scavate nella roccia, con il fine di purificarsi e di diventare degni della salvezza promessa. Lo stesso San Benedetto, padre del monachesimo occidentale, trapianterà in Italia e poi in Europa l’esperienza del romitaggio, andando a vivere inizialmente in una caverna rocciosa e impervia. Dall’esperienza solitaria poco a poco si giunse all’esperienza del cenobio, ovvero un sito composto di più grotte ravvicinate ove gli asceti seguivano e condividevano il medesimo cammino spirituale. Dal cenobio nasceranno poi i monasteri, cittadelle ideali poste sotto l’egida del Cristo e della sua Parola.

Oggi vivere in una grotta è impossibile. La grotta si esplora, si studia, con i dovuti permessi e autorizzazioni. Nessun alone mitico o religioso. Nessuna traccia neanche della speculazione immaginifico-barocca di personaggi del 1600 come Athanasius Kircher, il gesuita autore di “Mundus subterraneus”, o come il nobile sloveno Johann Valvasor che realizzò un monumentale lavoro di studio perlustrando gran parte delle grotte del nostro carso, e in particolare le Grotte di Postumia, e riproducendone le meraviglie tra incubo e sogno, arte angelica e distorsione demoniaca, con delle incisioni dall’aura metafisica e allucinata. Secondo Valvasor, e con lui abbiamo gli ultimi strascichi di una visione misterica e iniziatica del mondo sotterraneo, le Grotte di Postumia — con le loro concrezioni e formazioni dall’aspetto spaventoso che ricordano certi mostri orrendi posti tra i contrafforti delle cattedrali gotiche —, sarebbero opera diabolica, una sorta di grande sala istoriata da demoni in un’epoca ancestrale, quasi un’anticamera degli inferi.

Lo stesso Dante, secondo alcuni studi, potrebbe aver tratto ispirazione per il suo Inferno a forma di imbuto rovesciato, da una delle grotte del litorale carsico nord-orientale che visitò personalmente durante un soggiorno nelle nostre terre. Fantasia o realtà? Rimane, in assenza di una risposta chiara e certa, la specularità tra la concezione dell’inferno dantesco e certi orridi o abissi sotterranei che si sprofondano nel nostro carso.

Un ultimo sussulto di speculazione iniziatica, a dire la verità molto affascinante ma tinta con i colori fiammeggianti del delirio, si ha tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 con alcune società ermetiche che elaborano, sulla scia dei romanzi fantastici di Willis George Emerson (1856-1918), la teoria della terra cava o dell’Agartha, regno sotterraneo che percorre tutta la terra e che governa segretamente le sorti del mondo. Dall’Agartha secondo queste speculazioni verrà un re-sacerdote, chiamato il “Corrucciato con la ruota”, che spazzerà via dalla terra un regime totalitario e globale instaurato dopo una terza guerra mondiale dall’integralismo musulmano divenuto padrone del nostro pianeta. Ritornerà la pace e con la pace l’età dell’oro in cui tutto sarà luce, concordia e beatitudine, come nel perduto Eden. Di questa visione stupisce solo una cosa: essa ha radici molto antiche e venne ripresa all’inizio del ‘900, quando non vi era alcun pericolo legato alla diffusione violenta dell’Islam, come invece accade oggi.

A parte queste speculazioni dal gusto puramente erudito e colto, grande importanza ha il simbolo della grotta anche nella Bibbia. Per citare uno dei tanti passi che hanno la grotta come sfondo o scenario, ricordiamo la storia di Giona nel ventre della balena. Dio lo ha inviato a predicare a Ninive, capitale della corrotta e potentissima Assiria, ma Giona si rifiuta di obbedire, sia perché ha paura degli spietati assiri sia perché è nemico delle commistioni con popoli pagani, possibile causa di corruzione e di infedeltà. Ma alla chiamata di Dio nessuno può sottrarsi, tanto che il profeta, fuggiasco su una nave in viaggio verso la remota Tarsis e nascosto nel buio della stiva, viene prima travolto da una tempesta che fa quasi naufragare il vascello e poi, su sua stessa richiesta come gesto propiziatorio in grado di placare la furia del mare e del cielo, chiede di essere gettato in mare ritenendosi responsabile dell’uragano, segno dell’ira scatenata da Dio contro di Lui. Infatti,  non appena viene allontanato dalla nave, il mare ritorna quieto e il nubifragio cessa. Quanto a Giona, una volta gettato in mare , viene ingoiato da una cetaceo immenso e spaventoso. La grotta-stiva della nave, luogo del nascondimento e della disobbedienza alla chiamata di Dio, diviene la grotta-ventre del pesce ove il negativo può volgersi in positivo, la luce sbocciare dalla tenebra. Due ordini di valori: il buio della stiva come viltà che rifiuta, il buio del ventre del pesce come inizio di una vita nuova fecondata da Dio. Il mare, ove Giona discende prigioniero di un mostro marino, è a sua volta una grotta più grande e profonda, teatro di una metamorfosi in bilico tra morte e vita. Il mare per gli ebrei è simbolo del male, dell’ignoto, delle forze scatenate della natura sulle quali Dio, nei giorni di tempesta, cavalca come un cherubino fiammeggiante. Ma è anche il faccia a faccia con l’oscurità interiore, sempre minacciosa e sul punto di travolgere l’uomo se vi si sprofonda senza stringere la mano di Dio.

Anche nel ventre della balena Dio perseguita Giona con la sua chiamata finché il profeta inviato ma recalcitrante, percosso e saggiato nel profondo simboleggiato dal ventre-caverna del pesce, risponde alla chiamata. La cavità buia, minacciosa e ignota, si fa qui luogo di meditazione, di scavo interiore, di revisione dolorosa dei propri errori e soprattutto della propria intenzionale sordità verso Dio. La chiamata echeggia sempre dentro di noi, specie nelle tante piccole grotte silenziose e deserte in cui a volte sentiamo il bisogno di rifugiarci. E per questo non occorre essere speleologi o esploratori audaci ed esperti di grotte fatte di roccia. Basta ogni tanto chiudere le porte della nostra casa e della nostra anima, per sedere al centro della nostra coscienza, nel segreto e ogni volta venire nuovamente a capo di noi stessi e riascoltare ciò che Lui ha sempre e ancora da dirci.

 

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