Kirill a Valaam: ‘Il male non può dominare per sempre; il bene alla fine vince’




Il Patriarca ortodosso di Mosca in visita, insieme al Presidente Putin, al monastero sul Lago Ladoga, che era in rovina sotto l’atesimo sovietico negli anni ’60, mentre oggi “rifiorisce con vigore inatteso”. Interessantissimo il richiamo al simbolismo del luogo e al suo significato anche per l’oggi. Ne prediamo atto per i segnali di indubbia rinascita, senza voler per questo fare l’apologia dell’Oriente slavo e alimentare, solo perché viviamo una crisi senza precedenti, incongrue spinte ad aderire a ciò che comunque non è interamente ‘nostro’ e mostra segnali ‘contro corrente’ rispetto all’Occidente disfattista.
“Con il completo restauro del monastero del SS. Salvatore della Trasfigurazione di Valaam, abbiamo una dimostrazione che il bene alla fine vince sul male”: lo ha dichiarato il Patriarca di Mosca e di tutte le Russie Kirill (Gundjaev) durante l’omelia per la festa della comunità. Come ogni anno, il Patriarca visita l’isola monastica sull’immenso lago Ladoga, a nord di San Pietroburgo, nel giorno della festa dei fondatori Sergij e German di Valaam (11 luglio). Quest’anno, per celebrare il pieno ritorno del monastero alla sua missione, alla funzione ha preso parte anche il presidente Vladimir Putin.
Il santuario sull’isola del nord è uno dei luoghi simbolici della prima evangelizzazione della terra russa. Secondo la leggenda, lo stesso apostolo s. Andrea si spinse fino al lago al confine con la Finlandia, dopo aver visitato le regioni di Costantinopoli e Kiev, disperse i pagani e piantò una croce sull’isola dove sarebbe sorto il monastero, quasi mille anni dopo. In effetti, ben prima del Battesimo della Rus’ di Kiev nel 988, le tribù degli slavi e dei variaghi (normanni) si cominciarono a fondere nell’estremo nord, la cosiddetta Rus’ di Ilmen che gli scandinavi chiamavano la Gardariki, terra delle città (gard) e dei laghi.
L’antica Rus’ nacque per collegare il nord al sud, la “via dai variaghi ai greci” lungo la quale viaggiavano pellicce, cera e miele, e su cui s’installò il cristianesimo bizantino-slavo, divenuto quindi ponte anche tra oriente e occidente. Il monastero di Valaam rappresenta le radici di quella grande edificazione di una parte estrema dell’Europa cristiana. Conobbe la sua massima fioritura nel ‘500, quando arrivò a contare quasi 1000 monaci, per essere poi progressivamente abbandonato e definitivamente chiuso durante la guerra tra i sovietici e i finlandesi, nel 1940.
Il patriarca, nativo di San Pietroburgo come il presidente, ha ricordato di aver visitato l’isola da giovane monaco, nel 1969, ed ebbe l’impressione che ogni speranza di rinascita del monastero fosse ormai perduta. Cinquant’anni dopo la chiusura, nel 1990, cominciò invece la ricostruzione. “Il Signore ha rialzato il convento dalla polvere, non solo le mura del monastero, che oggi splendono di una bellezza superiore a quella passata, ma la stessa vita monastica rifiorisce oggi con vigore inatteso”, ha dichiarato Kirill.
Il capo della Chiesa russa ha voluto rincuorare tutti coloro che anche oggi cadono in preda allo sconforto e alla disperazione, di fronte alle crisi e alle incertezze della vita contemporanea: “Il male non può dominare per sempre, esso verrà sempre sconfitto. A volte non ci basta una vita per assistere alla sua rovina, a volte invece diventiamo testimoni viventi della vittoria del bene”.
Il giorno dopo, 12 luglio, il Patriarca ha celebrato una solenne liturgia nella cattedrale dei Ss. Pietro e Paolo a San Pietroburgo, luogo della fondazione della “capitale del nord” nel giorno della festa dei principi degli apostoli. La cattedrale funge anche da tempio funerario degli zar Romanov, e in particolare della famiglia dell’ultimo zar Nicola II, canonizzato nel 2000 come martire della fede di fronte alla violenza dell’ateismo rivoluzionario. Lo zar e i suoi familiari vennero fucilati nel luglio 1918 a Ekaterinburg, e le loro spoglie, su cui continuano le indagini di un’apposita commissione per verificarne la piena autenticità, furono trasportate a San Pietroburgo dopo la canonizzazione.
La festa dei santi Pietro e Paolo cade il 12 luglio per il ritardo ortodosso nel calendario, in realtà è lo stesso 29 giugno delle altre Chiese. Quest’anno è stata celebrata con particolare solennità, in quanto si considerano 1950 anni dal martirio dei due apostoli, fissato tradizionalmente all’anno 67, durante la prima persecuzione di Nerone. In essa si è concluso il “digiuno di s. Pietro”, il più lungo dopo la Quaresima e uno dei quattro grandi digiuni ortodossi (gli altri sono quello della Dormizione e di Natale). La Chiesa russa ritrova così il proprio legame con i primi araldi del Vangelo, e la propria vocazione di “popolo nuovo” chiamato a far rinascere il cristianesimo nel mondo intero
Fonte: http://www.asianews.it

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