Ancora oggi nel mondo cattolico le considerazioni sulla Costituzione italiana appaiono talvolta controverse. Da un lato abbiamo chi come Danilo Castellano ritiene che la Costituzione non sia altro che la via per l’affermazione dell’ideologia radicale e quindi del liberalismo anticattolico, dall’altra chi reputa la Costituzione conforme al Vangelo e quasi una traduzione della più autentica Dottrina sociale della Chiesa.

Il pensiero cattolico e i principi della Costituzione italiana




Il pensiero cattolico e i principi della Costituzione italiana

Ancora oggi nel mondo cattolico le considerazioni sulla Costituzione italiana appaiono talvolta controverse. Da un lato abbiamo chi come Danilo Castellano ritiene che la Costituzione non sia altro che la via per l’affermazione dell’ideologia radicale e quindi del liberalismo anticattolico, dall’altra chi reputa la Costituzione conforme al Vangelo e quasi una traduzione della più autentica Dottrina sociale della Chiesa.
Durante i lavori dell’Assemblea costituente della Repubblica italiana la cultura cattolica attraversò uno dei più ferventi periodi del Novecento. Il mondo culturale cattolico dell’epoca sembrava però caratterizzato da due correnti che sebbene partissero dalle stesse premesse tuttavia giungevano a conclusioni abbastanza discordi. Per semplificare possiamo dire che da una parte vi erano i giusnaturalisti, rappresentati in modo emblematico dai padri gesuiti della Civiltà Cattolica; dall’altra i personalisti, rappresentati invece dai costituenti democristiani legati soprattutto a Giovanni Battista Montini (allora membro della Segreteria di Stato vaticana). Le questioni tra loro dibattute erano legate soprattutto a un’idea di “natura” che intesa in modo diverso veniva a determinare anche una diversa visione dell’etica. Francesco Occhetta ad esempio fa notare che mentre i gesuiti non includevano gli aspetti della storicità, della relazionalità e della libertà umana nella fondazione di una legge naturale che, in ultima istanza, doveva essere generale e astratta, i personalisti concepivano il diritto naturale più come «un metodo per il raggiungimento di cose giuste».
La ripresa dei temi giusnaturalistici cominciò a riaffermarsi nel XX secolo, durante e dopo la Seconda guerra mondiale, e ciò emerge con forza anche nei radiomessaggi natalizi trasmessi durante il periodo bellico e post-bellico. Nel 1942 nel messaggio natalizio Pio XII bolla come «postulato erroneo il positivismo giuridico, che attribuisce un’ingannevole maestà alla emanazioni di leggi puramente umane, e spiana la via a un esiziale distacco della legge dalla moralità». In quell’epoca il dibattito tra filosofi del diritto, come reazione allo statalismo dei regimi totalitari, iniziò a convergere all’insegna della “rinascita del diritto naturale”. Infatti in modo emblematico i regimi venivano considerati giuridicamente un imprescindibile effetto del positivismo giuridico, che non vede nient’altro se non il diritto positivo costituito dalle norme poste dal potere politico in un preciso territorio e in un determinato periodo storico. Estrema conseguenza di ciò è che una legge posta dal potere sovrano dello stato è giusta e va obbedita a prescindere dal suo contenuto. Per questo, ricorda Filippo Pizzolato, il positivismo giuridico «era considerato colpevole di avere disancorato il diritto dalle sue profonde radici morali e teologiche e di averlo reso disponibile per tutti gli scopi, anche quelli più distruttivi». Le ripetute e gravi violazioni dei diritti umani che si verificarono durante il secondo conflitto mondiale resero urgenti i richiami a valori che superando la contingenza del diritto positivo vedessero attribuito ad alcuni principi morali un carattere giuridico, in modo tale da condurre a un riconoscimento di alcuni diritti come anteposti alla creazione normativa e indisponibili a manipolazioni eccessivamente arbitrarie del potere sovrano dello stato. Il gesuita Antonio Messineo nel 1943 in un articolo per la rivista La Civiltà Cattolica scrive: «se si accetta il relativismo, negatore di princìpi universali e immutabili di diritto, il perpetuo ondeggiamento delle leggi e il soggetto nella loro formulazione e promulgazione dovrebbero essere una continua necessità della vita sociale, che non sarebbe più ordine ma caos». Ciò che potrebbe impedire gli arbìtri per Messineo è la giustizia distributiva, ma se questa viene negata dalla legge, l’unico criterio insindacabile e assoluto viene posto e reso efficace da chi detiene il potere sulla cosa pubblica, per questo anche lo stato costituzionale deve seguire la legge morale per non cadere in una gestione arbitraria del potere. In Italia le nuove aperture al giusnaturalismo trovarono la massima rappresentazione simbolica nel Convegno dell’Unione dei Giuristi Cattolici Italiani del 1948. Gli Atti, dal titolo, Diritto naturale vigente, «esprimevano bene la pretesa di stabilire un nuovo ponte tra diritto naturale e diritto positivo, tra giustizia e effettività: ponte favorito dalla lettura giuspositivistica della nuova Costituzione italiana e in particolare dei suoi principi fondamentali», come scrive Francesco D’Agostino.
Il personalismo del XX secolo, a cui si ispirava parte del mondo cattolico, era invece fondato soprattutto sul pensiero e sulle opere di Jacques Maritain. Per Maritain «lo stato è uno strumento al servizio dell’uomo» ed «è solo quella parte del corpo politico il cui fine specifico è di mantenere la legge, promuovere la prosperità comune e l’ordine pubblico e di amministrare gli affari pubblici». Egli rifiutava l’impianto liberale del costituzionalismo francese secondo cui la società libera è una società vuota, priva di princìpi sostanziali ma dotata di criteri procedurali in grado, al massimo, di delimitarne l’agire. Era un errore per lo stato considerarsi “il tutto” di una società, per questo a fondamento di una nuova democrazia «si rendevano necessarie una “decentrazione” progressiva e una “destatalizzazione” della vita sociale». Maritain stesso dirà che: «per reagire ad un tempo contro gli errori totalitari e quelli individualistici era naturale che si opponesse la nozione di persona umana, impegnata come tale nella società, ad un tempo all’idea dello Stato totalitario e all’idea di sovranità dell’individuo». Inoltre per i personalisti cattolici la revisione del concetto di persona doveva tenere in considerazione le categorie di storia e trascendenza, «come punto di incontro tra interiorità ed esteriorità e come momento della saldatura fra pubblico e privato». Essi ritenevano che per organizzare a livello istituzionale la società e superare la dicotomia tra pubblico e privato bisognasse considerare il pubblico come «lo spazio del potere legittimo moderno, che accentra, razionalizza, amministra contrastando il particolarismo del liberalismo degli inizi del Novecento», e il privato come «la sfera della libertà della persona e della proprietà, che può esistere e svilupparsi nelle condizioni di sicurezza e pace sociale garantite dallo stato».
La tradizione del pensiero cristiano da sempre afferma che il diritto naturale sia il fondamento del diritto positivo, per questo la protezione dei diritti della persona umana, nonché l’aspirazione alla realizzazione del bene comune della società, testimoniano, come sostiene Gorczyca, di trovare la loro «giustificazione nelle esigenze morali della natura metafisica dell’uomo». Interessante però è ciò che Francesco Occhetta ha fatto notare, nel periodo che va soprattutto dal 1945 al 1947, durante i lavori dell’Assemblea costituente a cui parteciparono anche costituenti cattolici. Egli mette in luce come nonostante il mondo cattolico di allora cercasse di ispirare il proprio agire politico all’enciclica di Leone XIII, Aeterni Patris, che mostrava come la filosofia tomista fosse la più adeguata per riformare la società, tra i cattolici emergevano comunque spiccate differenze. Ad esempio, le idee non convergevano in posizioni analoghe nella considerazione su quali dovessero essere i fini del diritto e dello stato, sulla considerazione della storia e della cultura di un popolo e di un Paese, e sul rapporto tra natura e i princìpi della Costituzione. Le posizioni appaiono a volte inevitabilmente distanti come dimostra un articolo pubblicato nel 1956 su La Civiltà Cattolica dal p. Messineo, rappresentante della corrente cattolica giusnaturalista. Egli scrive infatti che: «l’umanesimo integrale non è un umanesimo intrinsecamente cristiano, non è l’umanesimo dell’uomo rigenerato dalla grazia, della società attraverso l’uomo fermentata e santificata, delle relazioni la cui legge deriva da una natura elevata e appartiene all’ordine trascendente della rivelazione. È un umanesimo soltanto estrinsecamente cristiano; ad esso possono infatti aderire persino l’agnostico e l’ateo, il razionalista e il miscredente. Nella sua sostanza l’umanesimo integrale è, dunque, un naturalismo integrale».
Il mondo cattolico però trovò concordanza soprattutto su uno dei valori guida della Costituzione, quello della dignità della persona umana. Gli articoli 2 e 3 della Costituzione definiscono il valore della persona umana sulla base dei princìpi della libertà individuale e della solidarietà. Per Occhetta «i costituenti hanno scelto di dare alla libertà individuale una finalizzazione che orienti e responsabilizzi la stessa libertà individuale».
C’è poi chi vede dei palesi richiami al giusnaturalismo negli articoli 2, 3 e 29 della Costituzione. Nell’art. 2 ad esempio si afferma che «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale». Se la Repubblica infatti “riconosce” questi diritti se ne può dedurre che essi siano considerati come diritti naturali, ovvero preesistenti allo stato e non creati giuridicamente da esso. Ma c’è chi mette in guardia e vede soprattutto negli articoli 2 e 3 solo una via per l’affermazione di ulteriori nuovi diritti. Infatti fa notare Castellano che la sentenza n. 98/1979 ha chiarito la questione rispetto a chi vedeva nel verbo “riconoscere” la recezione nella nostra Costituzione del diritto naturale classico. La Corte costituzionale afferma infatti che i diritti riconosciuti sono quelli e solamente quelli “posti”, anche se interpretabili a fattispecie aperta. Il personalismo espresso dai costituenti cattolici sembra dunque rappresentare meglio, come afferma Livio Paladin, l’opzione fondamentale della Costituzione.
Non si può però del tutto negare che i giusnaturalisti gesuiti e i personalisti costituenti fossero accomunati e mossi dal desiderio e dalla volontà di superare il positivismo giuridico a cui Pio xii attribuiva la responsabilità di aver separato il diritto dalla base morale, teologica e teleologica. Questo però sembra aver portato a diverse conseguenze, alcune attese, altre, non sappiamo se effettivamente volute.

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