Il freddo gelido di Nada




“Sfatta come una polpetta lanciata dalla bocca di un tempo morto che non sa stare al suo posto”.

Nel brano omonimo dell’ultimo suo disco (“Occupo poco spazio”, 2014), Nada riserva una feroce critica alla società contemporanea («Sulle vie illuminate, tra la gente distratta, tra le ombre fuggenti (…) ti ho perduto di vista e adesso che faccio?»), la quale non sa più nemmeno rendere plausibile una speranza per il futuro, come sottolinea nel brano emblematico “L’ultima festa”: «La musica che senti è il funerale di questi anni (…) è tutto un funerale, guarda come piange la gente sotto il cielo di questo avvenire». Questo prendere le distanze da un mondo che ha deluso le aspettative e le rivendicazioni di stagioni rivoluzionarie passate non è solo appannaggio della cantante-scrittrice livornese, se pensiamo a tutte le canzoni del filone della “non appartenenza” che hanno contrassegnato il finale delle carriere di cantanti come Giorgio Gaber, Francesco Guccini, Roberto Vecchioni, solo per citarne alcuni.

In Nada Malanima questi ultimi significativi testi condensano il vissuto e il suo pensiero, come da lei stessa attestato: «Mi sento una maremmana anarchica praticante (…) la natura è la mia religione». Pertanto la dissacrante ed illusoria società attuale deve essere bandita dal cuore di chi ha deposto ogni fallace speranza: «Non mi invitare al funerale della stagione andata male (…) forse mi hai lasciato come un fiore sulla tomba di un mondo che muore». In un altro brano, “Senza un perché”, Nada non riusciva a darsi ragione del nichilismo imperversante: «Tutta la vita gira infinita senza un perché e tutto viene dal niente, niente rimane senza di te…». La confessione amara di Nada non poteva che portare una ventata gelida come nel “Confiteor” del 1973: «Loro non sanno che ho tante tentazioni, che vivo soltanto d’illusioni (…) loro non sanno che scappo da una chiesa perché non credo in niente».

Nada, niente. Così nel brano “Il tuo Dio” del 2014: «Si aprono le porte delle chiese e la voce sale chiara e limpida ad evocare antiche paure, antiche miserie e percorsi inaccessibili si alternano alle preghiere. Amore, amore mio sarò io il tuo dio!». Che tristezza e che pena colmare il vuoto quando non si crede in un Dio che tutto può e che ha creato dal nulla e quindi indipendente, dal punto di vista ontologico, dalle sue creature, Nada compresa.

Potremmo imparare cantando, parodiando le canzoni più famose di Nada, ma che freddo fa… senza Dio! Se non c’è il tepore del Bambino Divino, il calore della Sacra Famiglia stretta ed unita nella mangiatoia, certamente non si può che cantare con Nada: «La notte adesso scende con le sue mani fredde su di me, ma che freddo fa!».

Se non si coglie il valore salvifico della Croce e della preghiera non si può infrangere la monotonia e la solitudine amara dei giorni trascorsi di una vita senza senso: «I giorni miei son tutti uguali come granelli di un rosario. Io sono stanca di pregare». Il freddo gelido di Nada non poteva che cercare di fuoriuscire da un incubo, come asserito nel pezzo “La canzone per dormire” del 2011: «Mamma non riesco più ad uscire dalla stanza, dimmi come faccio (…) fammi ancora una carezza perché io non sono quella nata sotto una buona stella. Mamma, Cristo sta meglio di me».

Con questo freddo gelido persino il cuore non riposava fedele, come attestano ancor oggi i versi della canzone celeberrima, “Il cuore è uno zingaro”, che la fece vincitrice al Festival di Sanremo del 1971, in coppia con Nicola di Bari: «Che colpa ne ho se il cuore è uno zingaro e va, catene non ha (…) finché troverà il prato più verde che c’è raccoglierà le stelle su di sé e si fermerà, chissà?». Il “pulcino del Gabbro”, come veniva denominata Nada, non ha potuto benedire,come l’altro famoso pulcino Calimero, la salutare doccia gelida che l’aveva reso bianco e lucente come tutti gli altri poveri pulcini che si erano insudiciati nelle strade del mondo.

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