Il dialogo si fonda sulla verità e sulla sincerità. Quello tra cristianesimo e Islam è problematico ma necessario. Però realisticamente abbassiamo il livello delle pretese.

Il dialogo alla prova dell’Islam. Miro Kosic interviene nel confronto estivo di Vita Nuova




 

di Miro Kosic

Il dibattito estivo sul “dialogo” ha stuzzicato un botta e risposta che ha evidenziato tonalità  diverse. A orecchio (leggere spartiti di teologia e filosofia è roba da esperti) ho, comunque, colto più dissonanze che consonanze. Dall’etimologia alla filosofia tirando in ballo il pathos e forse qualche passaggio retorico.

Sappiamo che oggi la Chiesa cattolica cerca e pratica di frequente il dialogo con tutte le religioni, in particolare, secondo me, con l’Islam. Fin dal tempo dei dialoghi di Platone, il metodo dialogico è peculiare alla cultura occidentale. Può essere utilizzato per comunicare (e imporre senza violenza fisica) le proprie convinzioni e motivazioni e per correggere gli errori degli altri; oppure per spiegare le proprie convinzioni e motivazioni e ascoltare con mente e cuore aperti le ragioni e le considerazioni degli altri. Questo metodo può coinvolgere persone, gruppi, organizzazioni, ecc.

E’ evidente che il dialogo, inteso come scambio, dovrebbe essere alla base dei rapporti umani. Tuttavia, è importante tenere a mente –  cosa spesso trascurata – che il dialogo, per essere fruttuoso, deve essere basato sulla verità  e sulla sincerità . Solo in questo modo, infatti, il dialogo può aumentare il desiderio di favorire la comprensione, per correggere gli stereotipi, per analizzare consonanze e differenze e per stimolare la comunicazione. Altrimenti non solo è inutile, ma può essere molto pericoloso.

Per molti cristiani la ricerca del dialogo è diventata l’essenza della loro fede. Ricordo che negli anni 1960-70 il dialogo tra cristianesimo e marxismo era quasi obbligatorio. Secondo molti, il “dialogo con il mondo” è fondamentale per essere veri cristiani. Il problema è che hanno una strana idea del dialogo: la ricerca a tutti i costi solamente di ciò che può unire ed essere condiviso, anche se generico; riconoscere i numerosi errori ed i peccati dei cristiani; sottolineare la bontà  degli altri, le loro qualità; fingere che la stessa parola abbia lo stesso significato anche per gli interlocutori; soffermarsi sempre e solo sulla superficie dei problemi; ecc.

Per molti cristiani il dialogo interreligioso (ripeto, soprattutto quello tra Cristianesimo e Islam) è oggi necessario e indispensabile. Non dimentichiamo che il dialogo può essere istituzionale, quando si tratta di istituzioni di entrambe le parti; teologico, concentrato, cioè, soprattutto su questioni teologiche e filosofiche; spirituale, con la partecipazione a esperienze di culto comuni; comunitario, ossia il dialogo connesso alla vita quotidiana, che riguarda questioni pratiche di interesse comune. Non è così per tutti. Quando si  parla di religione per i musulmani il dialogo è qualcosa di diverso. La loro critica del Cristianesimo è profondamente radicale, sorretta dalla loro interpretazione di chi era Cristo e di ciò che è successo a Lui, agli apostoli, a San Paolo, e dalla loro verità  sulla fondazione della Chiesa, sulla storia, ecc. In breve, per i musulmani i cristiani hanno contraffatto la rivelazione divina (ad esempio, affermando la divinità di Cristo), hanno diffuso dottrine errate (per esempio, quella della Santissima Trinità  che rende i cristiani politeisti, il peggio che si possa immaginare per l’Islam), hanno commesso errori gravi nelle pratiche religiose. Ciò significa che i cristiani dovrebbero semplicemente correggere i loro errori in base a ciò che suggerisce l’Islam; o, meglio, convertirsi all’Islam – la vera religione – dal momento che il Cristianesimo si fonda su una distorsione colpevole dei fatti e delle parole di Dio.

Ci sono, inoltre, almeno due pesanti ostacoli reali nel dialogo con i musulmani: a) l’inganno, l’occultamento della verità , la dissimulazione, la “taqiyya” (rinnegare esteriormente la propria fede), non solo sono permessi, ma in determinate circostanze obbligatori; b ) l’uso di narrazioni diverse, uno per il mondo esterno all’islam e uno per il mondo interno, è pratica comune, e ciò rende problematico un vero dialogo.

Rebus sic stantibus, a mio parere, il dialogo è impossibile. Se andiamo avanti con “discorsi” fuorvianti, non fondati sulla verità , non ci sarà  alcun vero miglioramento nelle relazioni tra cristiani e musulmani. Tuttavia, poiché è in atto un conflitto che non può essere negato, se vogliamo cercare di costruire un mondo migliore penso che sarebbe più proficuo assumere una prospettiva diversa, cominciando con il sostituire termini come “dialogo” e “dialogo interreligioso con l’Islam” con “interazione” e “trattativa”. Saranno meno allettanti, però possono indicare un percorso concreto per evitare, se si è ancora in tempo, di cadere in una spirale di distruzione.

Una risposta a “Il dialogo alla prova dell’Islam. Miro Kosic interviene nel confronto estivo di Vita Nuova”

  1. Silvio Brachetta ha detto:

    Caro Miro, il dibattito estivo è stato tutto tranne che un “botta e risposta”.
    Si è trattato invece di piccoli saggi, non facilissimi ma ordinati, che hanno richiesto molta fatica e dedizione da parte degli autori.
    Il risultato, con tutta evidenza, ha prodotto più consonanze che dissonanze.

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