Nell'omelia della Messa per il Patrono dei Giornalisti, l'Arcivescovo Crepaldi delinea un figura di professionista coraggioso sia sul piano della libertà di coscienza che su quello delle verità da scrivere.

Il Vescovo sui Giornalisti coraggiosi




Il discorso rivolto dal Vescovo Crepaldi ai giornalisti, convenuti in Vescovado per festeggiare il loro santo Patrono venerdì 24 gennaio 2014, è stato alto nella proposta e realistico nelle considerazioni. Il problema, ha detto il vescovo, è sempre quello di vedere nelle  cose più di quanto esse sono: anche il giornalismo, con il suo frequente cinismo, è una attività umana che può venire elevata e resa atta ad esprimere più di se stessa. Se la fede cristiana non fa questo, finisce per lasciare le cose così come sono, il mondo così come è. Ma la Chiesa, che ama il mondo, non lo vuole lasciare così com’è, proprio perché lo ama. Ciò vale anche per i giornalisti e il giornalismo.

Il Vescovo ha dato tre indicazioni. La prima è di non cercare scorciatoie. Il mondo ha le sue esigenze, il giornalismo ha la sua logica, la competenza ha le sue richieste. Il cattolico giornalista non può passarci sopra. Chi scrive male o racconta bugie non solo non è giornalista ma non è neanche cattolico. La prima cosa da fare – ha detto il Vescovo – è di essere bravi giornalisti: “Un santo non può scrivere dei brutti pezzi di giornalismo, anche se non sarà mai santo solo perché scrive buoni pezzi di giornalismo”.

La seconda indicazione riguarda la coscienza: il lavoro decisivo si svolge sempre nel cuore dell’uomo. Anche i giornalisti hanno una coscienza, devono avere una coscienza. Anche il giornalista deve dire dei “no” e non può scrivere tutto. E’ in questi casi che viene fuori il coraggio del giornalista, quando la coscienza dice di rinunciare a qualcosa, magari a vincere una corsa professionale. C’è l’idea che il giornalista debba comunque informare e che non debba mai astenersi dallo scrivere. Non è vero. “Anche nel giornalismo – ha detto il Vescovo – esistono i “non possumus”.

La terza indicazione ha condotto lo sguardo progressivamente ancora più in su. La buona fede non basta, l’onestà personale è fondamentale, la coerenza morale pure: ma c’è anche l’oggettività della verità che il giornalista dice. La strada del male è  lastricata di buone intenzioni. Occorre anche che quanto scriviamo sua buono e vero. Anche il giornalista è, in fondo, un testimone: egli racconta cose che gli altri non hanno visto né toccato. La sua credibilità è prima di tutto soggettiva, legata alla affidabilità della sua persona, ma è anche oggettiva, legata alla verità di quanto scrive.

La fede cattolica cosa ha a che fare con tutto ciò? Secondo il Vescovo, essa illumina il giornalista sia dentro di sé, nella sua coscienza, sia fuori di sé nelle cose da dire, perché rafforza il coraggio morale e intellettuale della verità.

(Foto di Francesco La Bella)

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