Il Comune di Roma si accinge a realizzare un quartiere "a luci rosse" per la prostituzione. Sarebbe una scelta disumana. Sentiamo cosa ne dicono alla Comunità di don Benzi, che andava dalle prostitute e chiedeva loro "Do you love Jesus"?

Il Comune di Roma si piega alla tratta delle schiave




di Lorenzo Bertocchi (www.lanuovabq.it)

“Dopo il traffico di armi e droga la schiavitù è la terza attività illegale più lucrativa al mondo”. Così mi dice Irene Ciambezi, portavoce del Servizio Anti-tratta dell’Associazione Giovanni XXIII. L’ho cercata perché, pensando alla giornata internazionale contro la tratta di persone, voluta dal Papa per oggi, il mio pensiero è andato direttamente a loro. Ai figli di don Oreste Benzi, gente che su questi temi mette in gioco la vita.

La schiavitù nel 2015 è una realtà, bisogna farsene una ragione. Secondo i dati dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) ci sono circa 21 milioni di persone nel mondo costrette al lavoro forzato, di queste circa il 55% sono donne e ragazze. 4,5 milioni sono costrette alla schiavitù sessuale. Poi ci sono vari lavori forzati (ad esempio in agricoltura, in edilizia, nel lavoro domestico), il traffico di organi e anche i bambini-soldato. Perfino l’accattonaggio.

In Italia fa la parte del leone la schiavitù per prestazioni sessuali, nel 2013 secondo Eurostat e Associazione Giovanni XXIII, sono state 120.000 le donne vittime di sfruttamento della prostituzione e della tratta, di queste circa un 37% arrivano nel nostro Paese ancora minorenni. Subiscono violenze sessuali, fisiche e psichiche.

“Partono dai loro paesi, soprattutto Nigeria, Romania, Albania e Bulgaria, pensando di liberarsi da una situazione di degrado. – mi dice Irene – Generalmente si tratta di giovani donne che vivono situazioni di profondo disagio familiare e vengono ingaggiate da sfruttatori che si propongono come protettori, a volte come fidanzati. E promettono lavoro e soldi facili. Il più delle volte le portano in Italia, Spagna e Germania. Le mete predilette”.

E come fanno ad arrivare qui senza che nessuno le identifichi?

Le ragazze ci raccontano che il livello di corruzione alle frontiere è altissimo. A volte la Polizia sale sul treno, controlla tutti, tranne loro. Insomma, dicono che passano stranamente inosservate. C’è una rete molto complessa che però è anche ben radicata.

Ma perché proprio Italia, Spagna e Germania?

Semplice, perché altri paesi hanno politiche proibizioniste più precise ed efficaci.

Ok, poi quando arrivano qui che succede?

Vengono addestrate alla prestazione che, il più delle volte, dovranno fornire partendo dalla strada. Gli si dice come vestirsi, come adescare. E poi attentamente “controllate”. La violenza la subiscono dai protettori, ma anche dai clienti che il più delle volte sono uomini dai 40 ai 60 anni, in gran parte sposati o fidanzati. Sono sempre più frequenti i fenomeni di vera e propria violenza di gruppo, anche in contesti di appartamento. Ci sono casi drammatici. A Verona si sta vivendo una situazione orrenda con il caso di una donna deceduta in dicembre e che ancora non ha subito degna sepoltura. Perché il suo cadavere è ancora lì, fermo, per le indagini. Siamo stati a fare una veglia, presente anche il Vescovo della città, nel distributore di benzina dove Maria Letizia è stata uccisa. Un distributore pieno di telecamere, lungo una statale molto trafficata, ma sembra di assistere a una manifestazione di indifferenza generale.

Quindi, nonostante il cliente sia spesso l’uomo della porta accanto, non manca la violenza…

Questi clienti, che sono milioni, sono parte in causa di questa colossale operazione di sfruttamento. Don Oreste lo diceva chiaramente. Va anche detto che il più delle volte, nel 70% dei casi proprio i clienti chiedono rapporti sessuali non protetti. E questo ci permette di sottolineare un altro problema che riguarda la diffusione di malattie e anche la modalità di lotta nei confronti della tratta. Dal 2000 in Italia ogni Comune può disporre di una unità di strada che ha un approccio sanitario: raggiunge le ragazze in strada per dare preservativi e proporre visite mediche. Nient’altro, nessuna offerta di altre forme di protezione e liberazione. Ma questo approccio di mera “riduzione del danno” si mostra fallimentare. Da 15 anni stiamo finanziando un programma che non dà alcun frutto. Le ragazze che intervistiamo e incontriamo ci dicono chiaramente che i protettori vogliono che offrano rapporti non protetti perché i clienti vogliono questo. E questo vale per le ragazze in strada, ma anche in appartamento, nei centri massaggi, nei motel, negli alberghi. Ovunque.

Si potrebbe dire che la realtà è meno scontata di come spesso viene dipinta, magari con un facile e cinico umorismo?

Ci sono realtà incredibili. Vorrei raccontare la storia di una giovane ragazza albanese che abbiamo conosciuto quando aveva 24-25 anni, incinta. Si prostituiva in una città del Nord Italia, aveva file di clienti in strada. Le donne incinta vengono messe appositamente in strada dai loro protettori, per fornire prestazioni che valgono molto di più. Fino a 200 euro. E le situazioni che vengono ricercate dai clienti sono oltre ogni immaginazione. L’abbiamo avvicinata e inizialmente si negava, sosteneva che era una sua scelta. Poi però sapevamo che viveva in un albergo preciso, frequentava persone precise. Abbiamo insistito e dopo parecchio tempo si è fidata. Al settimo mese di gravidanza ha accettato il nostro aiuto e l’abbiamo accompagnata alla prima visita medica. Poi il bambino è nato ed è entrata in una delle nostre case di accoglienza. Dopo pochi giorni, di notte, la ragazza esce, tra l’altro la casa è in un contesto molto isolato, e non si ritrova più. Noi riteniamo che sia stata prelevata, perché di notte, con un bambino piccolo, era abbastanza improbabile potesse andare lontano. Denunciata la scomparsa, dopo poco tempo ritorna in strada e qui viene ritrovata dai carabinieri e avviata ad altri circuiti di recupero. L’indagine ha portato alla scoperta di un gruppo albanese che, appunto, gestisce ragazze incinta che vengono fatte prostituire. Vi sono casi accertati di donne bulgare che vengono messe in strada in dolce attesa, per maggiori guadagni, e in più quando nasce il figlio questo viene venduto.

Tutti ricordiamo don Oreste Benzi sulla strada con un rosario in mano che si avvicina alle ragazze e dice: “Do you love Jesus?” Come proseguite la missione?

Oggi la nostra associazione in Italia ha 19 unità di strada che vanno incontro alle ragazze con quello stesso obiettivo. Vogliamo dare la possibilità di ricostruirsi una vita, di liberarsi. La nostra ricetta è molto semplice: viene e vedi. Mettiamo in campo la nostra vita, le invitiamo a vivere in famiglia, nelle nostre famiglie. Ci mettiamo accanto alle persone, non proponiamo un istituto, ma di condividere la vita con noi. Per uno o due anni si porta avanti un lavoro di recupero e reinserimento sociale, secondo un programma previsto dal Ministero. Facciamo alfabetizzazione, formazione professionale e anche supporto legale nel caso la ragazza si senta di denunciare gli sfruttatori (cosa che consigliamo sempre, senza forzare). Ogni persona ha una dignità, come ripeteva sempre don Oreste, e quindi prima di tutto la si accoglie.

Continua così l’opera di don Oreste, anzi continua un opera di ormai 2000 anni. Nell’antichità metà della popolazione romana era schiava e nello schiavo si colpivano anima e corpo, cioè più che considerarle persone, erano cose. Il cristianesimo ha invertito la rotta: tutti figli dello stesso Padre, “non c’è più schiavo, né libero” dirà S.Paolo. E’ la profonda dignità di ogni uomo che viene alla luce. La schiavitù perdeva il suo fondamento nella natura, ma l’aveva nel peccato e il peccato era stato redento. Una via di libertà che riguarda tutti.

“Ne era ben consapevole don Oreste, dice Irene, che metteva sempre al centro la dignità della persona. Diceva: “nessuna donna nasce prostituta: c’è sempre qualcuno che la fa diventare”. E poi: “Si vorrebbe ridurre queste creature a meri oggetti di piacere, addirittura le si pretenderebbe al servizio della collettività, rinchiuse come animali nei recinti, docili come bestiole ammaestrate al servizio dei viziosi, sottoposte a visite mediche per preservare i loro clienti dalle malattie e soddisfare i loro desideri nel modo migliore. Il tutto sovvenzionandolo con le tasse dei cittadini – quindi anche le mie – che sono chiamati a mantenere il vizio dei ricchi e dei potenti che vogliono trastullarsi con i corpi dei nuovi schiavi”.

Anche Irene, insieme a tanti, continua così quell’opera iniziata 2000 anni fa. Quella di indicare la via della libertà autentica. La Chiesa anche oggi continua a pregare e riflettere perché si spezzino le catene.

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